Costume

Il pensiero antimeridiano. Il dibattito intellettuale sul Sud

29 Settembre 2022

1. Il pensiero meridiano di Franco Cassano

Il romanzo Spatriati di Mario Desiati Premio Strega di quest’anno (urly.it/3nv-j) celebra in alcuni suoi luoghi una carrellata di letterati e intellettuali pugliesi. Non poteva mancare in questo contesto di orgoglio locale l’accenno al pensiero meridiano di Franco Cassano (1943-2031), in particolare l’elogio di uno degli atout di tale pensiero, la lentezza, e perciò vi si legge come proposta suggestiva tipica del Sud «essere lenti come un vecchio treno di campagna, come chi va a piedi e vede aprirsi magicamente il mondo, perché andare a piedi è sfogliare il libro e invece correre è guardarne soltanto la copertina», che è una citazione millimetrica e testuale dal libro di Cassano seppur non virgolettata nel romanzo. Nel testo di partenza Il Pensiero meridiano invero le modulazioni del ragionamento del noto sociologo dei processi culturali  raggiungono in tema vertici di melismo elegiaco parossistico alla Pane, amore e fantasia con delle anafore stordenti:
«Andare lenti sono le stazioni intermedie, i capistazione, i bagagli antichi e i gabinetti, la ghiaia e i piccoli giardini, i passaggi a livello con gente che aspetta, un vecchio carro con un giovane cavallo, una scarsità che non si vergogna, una fontana pubblica, una persiana con occhi nascosti all’ombra. […] Andare lenti è ruminare, imitare lo sguardo infinito dei buoi, l’attesa paziente dei cani, sapersi riempire la giornata con un tramonto, pane e olio […] Andare lenti significa poter scendere senza farsi male, non annegarsi nelle emozioni industriali».

Il libro Il pensiero meridiano di Franco Cassano è del 1996 ma le sue proposte meridiane sono articolate anche nel successivo volumetto Tre modi di vedere il Sud (2009). Sono i lavori dai quali parto per la disamina della proposta di Cassano. Ad essa farò seguire il tratteggio delle forti obiezioni di Francescomaria Tedesco contenute in Mediterraneismo, che reca il significativo sottotitolo Il pensiero antimeridiano.

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Il succo del discorso di Cassano è questo: tutti affermano che il modello culturale occidentale coi suoi alti consumi e stili di vita è insostenibile se esteso a tutto il mondo (Donald Sassoon, rammento io, in una sua intervista immaginaria a Marx, si chiedeva che cosa ne sarebbe del pianeta se tutti cominciassero a deodorarsi le ascelle), ebbene se così è, dice Cassano: «ci si deve chiedere: la tutela di modelli culturali non-produttivistici è una nostalgia irrealistica o non è piuttosto il problema fondamentale dell’umanità nei decenni futuri?».

Il fatto è che questa sua preoccupazione non insensata né illegittima, venga estesa non solo a tutti i Sud del mondo, ma soprattutto al nostro Sud Italia, che di diritto anche se non di fatto apparterrebbe già all’Occidente, ma che viene fermamente invitato a restare dov’è e com’è. Non a decrescere felicemente (Serge Latouche è tuttavia ampiamente citato) ma semplicemente a desistere dallo sviluppo. Di qui parte la sua serrata ed alata meditazione densa di ambiguità fantastica, che sbocca in una proposta paradossale di massimizzazione dei vantaggi del ritardo del nostro Mezzogiorno, in direzione di un Sud Italia orgogliosamente antisviluppista, antimoderno, antiindustriale, e in un discorso saggistico ove gli accenti insistono sull’autonomia (un Sud che pensa il proprio modello e non lo subisce) e sulla resistenza alla crescita «esponenziale», «smisurata» dell’economia capitalistica, e sbocca in quelle implicazioni lirico-meliche della lentezza di cui sopra. La strada indicata a questo Sud mediterraneo in antitesi alla velocità dell’homo currens dell’Europa fredda, al «monoteismo», al «predominio», all’«idolatria», al «nichilismo» e allo «scatenarsi incontrollabile» della tecnica, in avversione al calcolo, al razionalismo dei processi economici, al parossismo produttivistico del Nord, alla «merda industriale del mondo», all’«oscenità della proprietà», all’«ossessione competitiva», alla «modernità imperiosa, settentrionale e atlantica», alla «ferocia nuova e unidimensionale del turbocapitalismo», ecc., ecc., è di una nobile e strenua resistenza. Si propone in forma vaga

«un’idea del Sud come forma di vita dotata di una sua specifica dignità, capace di liberarsi da ogni complesso d’inferiorità, e quindi di leggere criticamente alcuni aspetti cruciali della modernità, in particolare le devastazioni prodotte dal fondamentalismo del mercato e dall’assunzione della competizione come valore fondante».

Insomma, lungi dal costituire una patologia, il Sud secondo Cassano rappresenta l’occasione per l’avvio di un percorso autonomo e di una visione più ricca e complessa di quella che viene celebrata dai cantori delle «magnifiche sorti e progressive». In questo campo semantico in cui il vocabolario ostile è rivolto tutto in direzione dell’economia di mercato sembrano agire in Cassano, nel prendere a schermo il povero Sud coi suoi dannati problemi,   tutti i suoi malumori antimercatisti del già simpatizzante comunista dell’école barisienne che egli era fino alla Caduta del Muro di Berlino,  allorché egli scriveva su Avvenire (il 28 agosto 1994): «Interroghiamoci pure sul comunismo ma cerchiamo anche di fare il calcolo delle vittime e dei danni causati dalla globalizzazione dell’economia e dalla “repressione fredda” che ne deriva».

Ma c’è di più. Quando Cassano s’avvede che anche in Marx persiste «una fortissima fiducia nel progresso e un’acuta tensione antagonistica» dalla quale bisogna tenersi discosti, il mio sospetto di lettore va al di là del piccolo processo alle intenzioni che gli ho intentato, perché pur restando nell’ambito della koinè di sinistra non si può non ricordare, circa il contenuto latente del suo pensiero meridiano, le forti aderenze con la nozione di “anticapitalismo romantico” – cioè quella critica romantica della civilizzazione borghese moderna basata su valori sociali o culturali precapitalistici – individuata dal pensatore marxista Lukács, categoria dentro cui Cassano mi pare sia rimasto intrappolato.

È evidente che il pensiero meridiano condivide con quest’ultima categoria un disperato tentativo di rigenerare il mondo attraverso la restaurazione dei valori qualitativi, sottratti alla tirannia delle macchine e dei libri contabili. È un Sud da instradare idealmente nei processi vitali di una Gemeinschaft, di un petit village, al riparo della meccanizzazione e del calcolo razionale del capitalismo.

Ma c’è qualcosa di più significativo: questo Sud-Italia cui è demandata la nobile missione di resistenza eroica alle patologie della modernità non è anatomizzato nelle sue proprie e attuali patologie. Che sono: un ceto politico imbarazzante; una criminalità soffocante; strati popolari specie nei cinque aggregati metropolitani Napoli, Palermo, Bari, Catania, Messina (lista a cui occorrerebbe aggiungere Roma, città totalmente meridionale sotto questo profilo), incompleti dal punto di vista civile; una fuga incessante di tutti i suoi giovani migliori indotti all’espatrio non dagli estetismi giovanili di Desiati (urly.it/3nv-j) ma dai giochi sociali già fatti dal reticolo delle raccomandazioni da una “società chiusa e i suoi amici” (“C’è chi può e chi aspetta” scriveva molti lustri fa Amalia Signorelli); un generale contesto di ritardo economico che non si può convertire in vantaggio seppur regressivo alla Cassano, quando ci si avvede, come è fin troppo facile riscontrare nei sopralluoghi estivi, che i peperoni e i broccoli (gli ortaggi, l’emblema del Sud!), venduti nei supermercati di Sicilia sono made in Holland; così come i pistacchi e le mandorle, made in California; che la tecnica, il calcolo, i processi industriali saranno pure biechi ma diventano risolutivi allorché il noto marchio di birra locale in crisi è rilanciato da una multinazionale ancora olandese che procede al restyling del marchio, si inventa una birra coi cristalli di sale ma salva capra e broccoli… O, che dire di quel brand di ristorazione autostradale tutto made in Sud Italia, che abbiamo visto nascere negli anni, punto di ristoro e primo approccio coi sapori del cibo meridionale quando negli anni Ottanta si facevano i lunghissimi e afflittivi viaggi in autovettura senza aria condizionata e ci si avvedeva del cambio di paradigma già subito dopo Roma nello squallore delle latrine delle stazioni di servizio, ma ecco che c’era questo nuovo marchio, allora con soli due o tre punti vendita, coi suoi saporiti prodotti sudici che si preferivano di gran lunga a quelli sciapi del marchio nordico egemone con le sue pizzette smorte e industriali, e riscontrare quindi, a distanza di quarant’anni, che quel marchio di ristorazione meridionale, coniugando genuina e terragna tradizione culinaria, certo con il sussidio delle esecrande tecniche industriali moderne di un accorto management, ha sviluppato una prepotente crescita moltiplicando a dismisura i suoi punti-vendita e giungendo a insidiare fino a casa sua, nel Nord industriale, il famoso marchio non più leader incontrastato di mercato. Ma dov’è qui l’oltraggio, l’errore, l’inganno di chi adotta con successo le logiche d’impresa salvando l’anima culinaria locale e una proiezione eccellente del Sud nell’universo mangereccio italico? C’è una terza via tra vitreo progresso nordico e lirico regresso meridiano? Ma cosa fanno in Giappone se non coniugare elettronica e kimono? E il Sud non potrebbe coniugare coppole storte e microchip come già si fa in alcuni distretti? Dov’è il delitto?
Senza tacere che questo programma meridiano, alternativo al Nord atlantico, tutto tratteggiato per opposizione e antagonismo e non per qualità interne, non è articolato in proposte concrete.

Di che tipo di economia dovrebbe vivere il Sud delle mucche lente che ricordano l’asin bigio della poesia Davanti a san Guido di Carducci che indifferente alla locomotiva simbolo del progresso séguita a rosicchiare il suo cardo rosso e turchino? Cassano non lo dice, butta lì che spetterebbe

«alle classi dirigenti del Sud scoprire rotte che spesso sono antiche e inedite, saper distinguere, provare a praticare la difficile arte che si propone di aprire l’identità senza disperdere forme di esperienza preziose nel vortice del fondamentalismo della velocità e della produzione, senza farle stritolare dalla progressiva “compressione spazio-temporale”».

Rinvia genericamente al ceto politico del Sud dunque, e a chi legge viene davanti la faccia dell’apulo Presidente di regione con la vasca da bagno piena di “cozze pelose” dono di clientes ossequienti, o quella del Presidente siciliano condannato per collusioni con la mafia, o dell’altro Presidente pugliese comunista immaginario, colto a ridacchiare al telefono con il tirapiedi dell’industriale inquinatore contro un giornalista che stava facendo il proprio mestiere di informatore.

La proposta del pensiero meridiano si precisa ancor più nella sua indeterminatezza evanescente quando tale pensiero è demandato a «custodire la confidenza con forme di vita immobili, lente, stratificate, dove si è spesso più ricchi di relazioni che quando si è collegati telematicamente con il tutto, dove invece delle grandiose protezioni della tecnica ci sono quelle altrettanto grandiose delle religioni». Un passo in cui, oltre la stilettata a Internet (peccato però che al Sud la banda larga sia deficitaria e non si può proprio, come si legge altrove, “internettare” in santa pace, volendo assumere il verbo irridente di Cassano) lascia più che perplessi l’appello alla religione, che nel Mezzogiorno non è certo alta teologia ma soprattutto parossistico culto dei santi, si veda quello imbarazzante di Padre Pio.

Questa idea del Sud, già così indeterminata sfuma addirittura nel flou quando Cassano scrive:

«Il Sud non ha solo da imparare, ma anche qualcosa da insegnare. La sua resistenza al cambiamento non è solo zavorra conservatrice, ma anche la richiesta di una vigilanza critica sul presente e quindi un suggerimento per il futuro. Lo sviluppo può battere strade diverse da quelle già conosciute e all’autonomia spetta il compito di ricostruire percorsi originali e interpretare in forma nuova e aperta le tradizioni».

Percorsi originali!? Quali? È evidente che siamo ancora al “Carissimo amico”. Credo che non se ne abbia la benché minima idea. Chissà, vien fatto di pensare, forse Cassano vede un altro modo di far sgorgare l’acqua dai rubinetti, di accendere la luce, di fa girare le pale dei ventilatori o di friggere il pesce.
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2. Il pensiero antimeridiano di Francescomaria Tedesco

Mi è stato assolutamente necessario delineare nel dettaglio il pensiero meridiano di Franco Cassano  corredato dalle mie osservazioni critiche, condotte perlopiù a braccio e secondo la mia semplice osservazione partecipante di meridionale emigrato al Nord e di soggiornante balneare estivo in Sicilia, per meglio  lasciare la parola al corposo e articolato saggio accademico e militante ad un tempo, di Francescomaria Tedesco (professore associato di filosofia politica presso l’Università di Camerino) intitolato Mediterraneismo, ma che col sottotitolo Il pensiero antimeridiano intende porsi come esplicito controcanto non solo del pensiero specifico di Cassano in tema, ma di tutta una serie di intellettuali meridionali che hanno pensato il nostro Sud.

La prima obiezione posta da Tedesco a Cassano e ad altri che si sono messi sulla sua scia, è quella di aver elaborato col cosiddetto pensiero meridiano una visione fortemente viziata da orientalismo interno del nostro Sud Italia. Tedesco allude al famoso saggio Orientalismo dello studioso Edward W.Said in cui è ricostruita con una corposa e serrata argomentazione la rappresentazione secolare dell’Oriente, fatta da parte di intellettuali, artisti, diplomatici occidentali, tutta virata su un complesso apparato di visioni, costruzioni mentali, depositi di immagini (sensualità, promesse, terrori, sublimità, piaceri idilliaci ecc), al fine di gestire le proprie relazioni con l’Oriente. L’approccio orientalista si basa, oltre che sui rapporti di forza economici, politici e militari, anche su fattori culturali, cioè su un insieme di nozioni veritiere o fittizie al fine di «esercitare la propria influenza e il proprio predominio sull’Oriente» dice Said. Si tratta insomma del maggior studio in circolazione che ribalta le prospettive e i luoghi comuni di quella porzione di mondo, osservata non più dal punto di vista degli osservatori esterni ma degli osservati interni.

Ora, scrive Tedesco, il vizio nella visione del pensiero meridiano è proprio lo stesso di quello sguardo lanciato dagli orientalisti occidentali sull’Oriente: ossia di vedere il nostro Sud come un Oriente interno, domestico. Tedesco, sulla scia di Said, bolla dunque questa pratica discorsiva come una strumentale «esotizzazione ed essenzializzazione dell’‘altro’», solo che questo ‘altro’ è il meridionale visto e “santuarizzato” (è un mio termine) da intellettuali meridionali, che così agiscono come i Gesuiti che nel corso dei secoli, a partire dal Seicento, considerarono il nostro Meridione alla stessa stregua delle Indie domestiche di quaggiù, (Indias de por acà).

Nell’Alterizzazione, essenzializzazione ed esotizzazione del Mediterraneo sfocia fatalmente il pensiero meridiano che, secondo Tedesco, si propone anche come «la risposta ‘localista’ e ‘minimalista’ alla perdita di senso delle grandi narrazioni», oltre che pensiero esplicitamente antisviluppista se non di tipo regressivo mi pare di poter interpretare, sulla scia di Serge Latouche.

Su questo versante Tedesco offre l’aggancio per un altro tipo di critica. Ricorrendo a Michail Bachtin accenna al “cronotopo idillico” sottostante a questo tipo di narrazione, poiché sotto tale veste si configura dopotutto quella proposta meridiana per il nostro Sud.
Mi è stato facile prelevare dalla mia biblioteca domestica il volume Estetica e romanzo del grande studioso russo. E leggervi la nozione di cronotopo per meglio delucidarla. Di che si tratta? Secondo Bachtin il cronotopo è  una sorta  di motivo narrativo spazio-temporale ricorrente che permea di sé un romanzo, ma diremo noi anche qualsiasi narrazione: un film, una serie, e anche quelle particolari narrazioni ideologiche che sono i programmi politici o le proposte saggistiche come quella del pensiero meridiano. Vi sono vari tipi di cronotopi, da Bachtin elencati con accuratezza: il cronotopo dell’ “incontro”, della “strada”, del “castello”, del “salotto”, ossia motivi narrativi ricorrenti, archetipi nella pratica letteraria alta, cliché in quella bassa (o anche, aggiungo, “parchi tematici” come li chiama Scorsese in polemica contro i moduli narrativi della Marvel), cioè stilemi narrativi usati e abusati, scontati ma in fondo “attesi” dai fruitori popolari, motivi attorno ai quali si avvoltolano mille occasioni narrative e mille trame di romanzi, da Apuleio a Dostoevskij. Tra essi, dice Bachtin, c’è anche il “cronotopo idillico” ripreso da Tedesco, un cronotopo legato a un luogo e a un tempo dati, ovvero «questo concreto cantuccio spaziale, dove vissero i padri e i nonni e dove vivranno i figli e i nipoti», un “idillio” in genere trattato dai singoli voltaggi espressivi degli artisti, o investito da particolare sublimazione filosofica, come appare il nostro Sud sgorgare dalla penna di Cassano. Insomma una bella e buona stilizzazione narrativa, non una via di uscita pratica e percorribile da uno stato di minorità e svantaggio.

Se così stanno le cose in argomento, la stoccata forte di Tedesco ai ragionamenti del filosofo dell’ école barisienne, va riportata per intero:

«In fondo il pensiero meridiano, scrive Tedesco, è un pensiero anti-popolare, che disprezza il popolo e la sua volgarità, le villette coi nani da giardino. Ma sono i subalterni a non potersi permettere la lentezza, lo slow di Slow food, le agavi e i fichi d’india coi muretti a secco, elementi di un’estetica rileccata che non ha niente a che vedere con la gente. Occorrerebbe ricordare che il Sud è quello, e non (solo) le masserie per turisti, i muri a calce. Non c’è autentico che tenga, poiché non c’è vita vera da riscoprire. Poiché non c’è vita vera se non nella falsa».

Molto interessante inoltre, per chi ha seguito le cronache culturali recenti e il dibattito sul nostro Mezzogiorno, la pungente rassegna approntata da Tedesco nella terza parte del suo lavoro su un insieme di personalità, proposte e suggestioni per il Sud che si sono avvicendate sul proscenio culturale anche nazionale nel tempo recente. Si va dal paesologo Franco Arminio, prefato con ovvia consentaneità da Cassano, alle belle riflessioni di Vito Teti, e ai libri nella scia del pensiero meridiano di Mario Alcaro, o anche alle suggestioni di Franco Piperno. Giova soffermarsi su quest’ultimo che «nell’individuare i tre vizi addebitati solitamente ai meridionali nell’opinione nazionale: il favoritismo, il rifiuto della competizione, il disprezzo per il lavoro ripetitivo e faticoso cerca di capovolgerli, facendone dei punti di forza del pensiero meridiano». Così, per limitarci a uno solo di questi fattori, il favoritismo, ossia quella pratica sociale descritta e sanzionata decenni fa in Chi può e chi aspetta da Amalia Signorelli, diventa per Piperno non una pratica spregevole e abietta ma una «logica dello scambio», in cui «ciò che si scambia può non avere lo stesso valore, ma ognuno ottiene ciò che desidera e dona quel che può».

Un libro, questo di Francescomaria Tedesco, profondo, informato, battagliero e brillante, che finito di leggere ho messo in un posto d’onore nella mia biblioteca domestica fra i migliori che sono stati scritti sul Sud negli ultimi decenni, ma ancor più nella mia personale riflessione di meridionale diasporato.

 

 

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