Costume
Il maschio si è “rotto”. Come e perché in due libri di Gauchet e Risé
- Marcel Gauchet – La fine del dominio maschile – Vita e Pensiero, Milano 2019
L’arco tematico di questo volumetto è teso nella prima parte alla ricostruzione sintetica del complesso percorso culturale, biologico e religioso che ha condotto all’istituzione del dominio maschile, e nella seconda parte raduna invece le analisi sul suo lento e inesorabile declino nonché sugli effetti prodotti negli scenari attuali del rapporto tra i sessi.
Da dove è arrivata nella storia umana la supremazia del maschio e a quale necessità culturale e sociale rispondeva questa supremazia? Questa è la prima domanda. Gauchet dice che intanto esiste una società in quanto essa è in grado di assicurare la continuità della propria cultura e l’identità della propria organizzazione al di là dell’avvicendarsi dei suoi membri, che nascono e muoiono.
Ora, questa delicata operazione di riproduzione collettiva, di lascito culturale (oltre quello biologico) dei presenti-viventi ad altri presenti-viventi è garantito da potenze esterne, rispetto ai presenti-viventi medesimi attraverso il sistema di credenze garantito dalla religione. Sono gli antenati, gli dèi, la tradizione a garantire questa delicata manovra. È pertanto la struttura religiosa che guida la comprensione e la gestione della funzione riproduttiva stessa, funzione che ne costituisce la base indispensabile, nel suo duplice aspetto di riproduzione biologica e riproduzione culturale.
Gauchet afferma che il dominio maschile in sintesi è stato per millenni nient’altro che l’incarnazione istituzionalizzata della superiorità dell’ordine c u l t u r a l e rispetto alla precarietà della vita b i o l o g i c a. «Alle donne il dono della vita, agli uomini la vittoria sulla morte, rappresentata dall’esistenza della società e dalla presa in carico religiosa e politica della perpetuazione di questa esistenza».
La seconda parte tematica del libro risponde alle domande: quando è crollato il sistema patriarcale-maschile e perché, e quali sono stati i suoi effetti. Gauchet dice innanzi tutto: la gestione di quel vecchio universo patriarcale maschile è passato dal dominio religioso, del sacro e della tradizione, al dominio della politica. È stato il “politico” che si è fatto carico della istituzione della permanenza collettiva che prima era di appannaggio della religione. Ma con una differenza non da poco perché il modo in cui il “politico” produce l’identità di sé della collettività nel cambiamento è agli antipodi rispetto alla continuità organica e all’unità sostanziale ricercata dalla religione.
Quanto al momento in cui sarebbe avvenuta la caduta del predominio maschile e la conseguente transizione dal vecchio ordine al nuovo, che è quello sotto i nostri occhi, esso è collocato da Gauchet negli anni Settanta del secolo scorso, ed è stato epocale e subitaneo. La disgregazione del vecchio ordine è avvenuta come una sorta di collasso improvviso, un «terremoto antropologico»lo definisce Gauchet . «Tutto il sistema di obblighi e divieti che inquadrava la sessualità e la riproduzione è crollato su se stesso, e a una velocità stupefacente se pensiamo al formidabile spessore dei secoli su cui poggiava».
Gli effetti di questa caduta sono stati molteplici. Se prima al centro c’era il padre e la famiglia (pater familias) adesso al centro c’è l’individuo atomizzato che spesso fa astrazione dal suo sesso. Non manca come effetto collaterale il fatto che venga a cadere la famiglia come nucleo originario e l’emergere, di contro, della categoria di “genere” e « la sua volontà di smarcarsi dalla connessione tra biologico e sociale»con la sua ribellione all’anatomia «come destino»; il calo della natalità («il figlio del desiderio, è più raro del figlio del caso» ); la rimozione del tabù dell’omosessualità intesa come figura anti-riproduttiva per eccellenza; la caduta del principio paterno (che sembra aver messo in un angolo anche la psicoanalisi freudiana che su quel principio trovava non poco fondamento) e dunque la caduta del dominio maschile che perde con esso il suo più solido punto di appoggio.
Si aggiunga a questo scenario la caduta oltre a quello “privato” del padre patriarca che agisce all’interno della famiglia l’incrinamento del riflesso “pubblico” del maschile, come ad esempio quello del “guerriero” (vedi Risé di seguito) e altri effetti collaterali per la comprensione dei quali rimando alla lettura del libro.
Devo dire senza polemica che a lettura ultimata mi è sembrato di trovarmi immerso negli scenari dell’agenda Pillon. Dico ciò ad adiuvandum per il lettore curioso che volesse abbordare le fonti filosofiche, diciamo “alte”, di simile approccio, che potrebbe diventare però un martello politico a breve. Ma tornando al libro confesso che ho faticato non poco a collegare tutti i nessi e a scioglierne tutti i nodi tematici, proprio perché spesso esposti con densa stringatezza, senza riferimenti bibliografici e con intonazione apodittica. Soprattutto il ruolo della religione mi risultava oscuro. Perché mai la religione, cosa c’entrano Dio o gli dèi? Se Gauchet non avesse citato con un certo rispetto un libro di Engels di tematica affine (“L’origine della famiglia, della proprietà e dello stato” Roma, Editori Riuniti, 1976) probabilmente non ne sarei venuto a capo.
Tirando giù Engels dai miei scaffali vedo nella IV prefazione del 1891 a questo suo lavoro che egli si appella (criticandola in parte ma apprezzandola molto) alla teoria di Johann J. Bachofen circa il passaggio dal matriarcato primigenio al patriarcato. (“Il matriarcato”, 1861). Bachofen attraverso una «indagine diligente», dice Engels, della “Orestiade” di Eschilo, aveva “dimostrato” che il passaggio dal matriarcato (continuità biologica) al patriarcato (continuità culturale) sarebbe avvenuto attraverso l’introduzione di «dèi di nuova stirpe»garanti del nuovo equilibrio dei rapporti maschio/femmina, e del diritto patriarcale nascente, uscito vittorioso nella lotta contro il vecchio ordine matriarcale. La religione secondo Bachofen aveva perciò causato i mutamenti storici nella reciproca posizione sociale dell’uomo e della donna. Ma Engels aveva però accusato Bachofen di “misticismo” perché, sostenendo egli il materialismo storico, non poteva riconoscere il primato al fattore religioso rispetto allo sviluppo dei reali rapporti, economici, esistenti tra gli uomini.
Ma dato per acclarato il ruolo della religione, nella ruminazione cui ho sottoposto la lettura m’è venuto subito da riflettere sul fatto che quella religione a fondamento della trasmissione culturale e della coesione della comunità, non è molto comprensibile ove la consideri in astratto e non fai mai riferimento ai soggetti che la animano, la “gestiscono” quando non la “inventano” (secondo il punto di vista di un d’Holbach per esempio autore di un libello sull’impostura sacerdotale) ossia il clero, i preti, i mullah. E sono quei preti che hanno presidiato per secoli la camera da letto dei popoli e dalla quale sono stati finalmente estromessi, quei teologi che hanno riconosciuto l’anima alla donna solo nel VI secolo dell’era nostra o che nei paesi non cristiani impiccano omosessuali e impongono veli alle donne. E quanto alla rimozione del tabù dell’omosessualità, ebbene l’istituzione di tale tabù è frutto del dio dei cristiani più che degli dèi greci, popolo presso il quale era praticata impunemente.
Infine sembrerebbe che Gauchet trascuri uno dei portati più consistenti, duraturi e “giusti” della rivoluzione dei costumi sessuali degli anni Settanta, quella che Hobsbawm riconosce come la più grande rivoluzione della storia: l’emancipazione femminile. Ma qui si svela l’ impostazione di fondo di Gauchet, ed egli esce allo scoperto. Forte appare l’intento che egli voglia ricacciare il genio fuoriuscito dentro la lampada quando scrive:
La subordinazione delle donne al servizio della forza del legame famigliare rappresenta il solo supporto rimasto in grado di fornire una figura plausibile alla gerarchia degli ordini di realtà e alla sua capacità di normare le istituzioni umane. È stata la prima, resta la sola in campo. Funge da argine estremo contro lo scatenarsi dell’onda democratica (corsivo e grassetto mio).
Ultima nota. Sembra che Gauchet giudichi ormai persa la partita da questa parte del mondo e si affidi alla resistenza alle innovazioni dei costumi sessuali di altre religioni quando scrive:
È vero, quest’analisi è condotta dal punto di vista della dinamica interna al percorso occidentale moderno, ed è quindi legittimo interrogarsi sulla sua possibile estensione ad altre forme di civiltà, culturali e religiose, nelle quali le resistenze al processo potrebbero mostrarsi molto più vigorose rispetto all’universo che ci è famigliare. L’importanza conservata dalla famiglia e dai legami di parentela nella vita sociale, da un lato, e il radicamento ancora forte della religione e, più in generale, della strutturazione religiosa dei rapporti sociali, dall’altro, potrebbero in effetti opporre barriere ben più solide al raggiungimento dell’uguaglianza tra i sessi (corsivo e grassetto miei).
Io vi ho letto un ellittico “per fortuna che esistono e resistono i musulmani”… Sono intonazioni di fondo che non possono non indurci a respingere con decisione molte asserzioni di questo libro, pur restando perplessi su molte esagerazioni ed esasperazioni sortite da quel terremoto antropologico che è stata la rivoluzione sessuale degli anni Settanta.
^^^^
Claudio Risé – Essere uomini- Red edizioni Como, 2002
Ci vuole molto coraggio, confessiamolo, in un momento in cui ogni stupro sortisce una risonanza mediatica sempre più allarmata ed allarmante, dedicare un libro, come questo di Risé (che è stato un guru dei “maschi selvatici”) alla “spinta fallica” e alle ragioni che l’hanno indotta ad arretrare in questo nostro mondo sempre più femminilizzato. Ma poiché non voglio passare tra i bersagli di Risé, ed essere additato fra coloro che hanno trasformato il Fallo da “temibile e sacro” in “oggetto ridicolo” come Risé sostiene abbia fatto Rousseau, credo che qualche distinguo vada fatto. Innanzi tutto quello di levare a Rousseau (che pure ha tante fautes) la colpa di essere uno dei padri dell’Illuminismo e di restare dunque coinvolto nell’accusa (di origine adorniana e che Risé ripete stancamente) rivolta a quel grande moto di idee, ritenuto responsabile di aver ispirato quel potere-sapere della Modernità capitalistica che, fondandosi sul principio utilitaristico, da un lato tenderebbe a stritolare ogni individuo non omologato, dall’altro, inducendolo al consumo e al soddisfacimento dei bisogni – che per Risé è un principio di tipo materno-infantile, per nulla virile -, rintuzzerebbe anche la sua residua “spinta fallica” di ricerca, di invenzione, di rivolta. Ora, Rousseau, è ormai chiaro, non era un illuminista, al massimo un enciclopedista, ma un protoromantico… reazionario. Sicuramente è all’origine di molta della sensibilità moderna e forse anche (ma come romantico!) di qualche arretramento (con la sua sensiblerie un po’ femminea) della possanza del Fallo, sia come forza simbolica culturale che, può darsi, come pratica sessuale. (Che poi Rousseau-persona fosse anche cornuto e non padre dei propri figli abbandonati mi sembra una labile ricostruzione di Risé, affidata solo alla testimonianza della … nonna di George Sand che “lo conosceva bene”).
Qual è il nucleo teorico di questo libro? L’illustrazione della perdita, nel mondo moderno, della forza simbolica del Fallo “che è slancio, dono, rischio, passione” e la vittoria del “pene-cervello”, ossia per dirla in termini extra-psicoanalitici, la sconfitta per mano del processo di civilizzazione – e anche per il guadagno di terreno della controparte femminile – di quell’elemento sorgivo e aurorale e archetipico, ma “forte”, che è la mascolinità selvaggia e dominatrice (incarnate nelle figure- simbolo del Guerriero, dell’Amante, del Ribelle), che dopotutto ha permesso all’uomo di uscire dalle caverne e di dominare il mondo, e tutto ciò a favore di un “pensiero debole” (ce n’è anche per Vattimo) ossia di una mascolinità affievolita e resa slombata dalla rincorsa femminile come si diceva e dal processo di civilizzazione sfociato nel consumismo dopo.
Tutto il libro di Risé è un accorato e “virile” rappel à l’ordre al maschio (e forse perciò avrebbe dovuto essere intitolato “Essere maschi”), con qualche tono di aspro rivendicazionismo di genere che ci tonifica un po’ contro tanto femminismo bellicoso e trionfante. E tuttavia, se il problema della crisi del maschio c’è ed è molto serio considerato che molti maschi, a detta dei terapeuti (e anche delle donne che sempre più lamentano la sparizione del maschio d’antan), si sono “rotti”, resta in piedi qualche dubbio circa l’indicazione delle vie d’uscita suggerite da Risé. Più che appellarsi alla carica simbolica del Fallo sarebbe bene fare i conti con la condizione “storica” raggiunta dalla donna visto che – fuorché al tempo zero della storia – il rapporto fra i due sessi, lungi dall’essere un’astrazione simbolica, è sempre stato una continua lotta/dialettica storico-culturale oltre che biologica. Si resta perplessi, poi, circa la tesi dell’affievolimento della forza fallica per via della condizione passivo-femminea del consumo. Ci si dimentica infatti che dal lato della produzione e dei produttori, nulla della vecchia spinta maschile è stata persa: la “guerra” è tuttora in piedi, si è trasferita nelle imprese e negli imprenditori per nulla docili e arrendevoli. E non sarà difficile, allora, per restare nella terminologia di Risé, vedere sotto i gessati e le grisaglie i vecchi istinti dell’Errante (con tutti quegli aerei da prendere), del Guerriero (con le teste da tagliare e i mercati da conquistare) e dell’Amante (con le storie multiple da mantenere)…
Fuor di metafora il libro è da leggere con molta attenzione non privo com’è di fascino argomentativo, assecondando anche qualche tono fazioso e bellicoso, perché sì “à la guerre comme à la guerre” insomma (e Risé è stato docente di polemologia, dopotutto), ma anche allontanando il più possibile dalla mente – mentre si legge di Virilità, di Volontà di Potenza, di Fallo -, la micidiale battuta di Woody Allen (un altro, forse, roussoviano pene-cervello) secondo il quale Freud si sbagliava quando imputava alle donne l’invidia del pene, invidia spesso tutta maschile.
Devi fare login per commentare
Accedi