Costume
Il limite invisibile tra diritto di cronaca e fatto di cronaca
Già la settimana scorsa mi sono occupata di un particolare aspetto legato al diritto di cronaca.
I diritti legati all’informazione sono da sempre materia di discussione in ambito sociale, politico e giuridico ed oggi sempre più attuale.
Il diritto di cronaca, o diritto di informare, infatti, costituisce una delle articolazioni della libertà nel diritto, di esporre e divulgare informazioni in relazione a fatti considerati di pubblico interesse.
L’articolo 21 della Costituzione non garantisce e non può rappresentare da solo, la base per la costruzione del diritto di cronaca.
Bisogna equilibrare il peso di tale onere giuridico con l’altrettanto tutelato diritto alla riservatezza nonché nelle norme penali relative ai delitti contro l’onore.
Ai fini dell’esercizio del diritto di cronaca gli organi di informazione possono pubblicare, divulgare le notizie relative ad un fatto.
La pubblicazione, non deve però compromettere il corretto svolgimento del processo e il diritto delle persone in esso coinvolte, al rispetto della propria dignità e della propria riservatezza. Per evitare che la diffusione di notizie relative all’indagini possa ledere la reputazione degli indagati, il codice vigente prevede (artt.114, 115 e 329 c.p.p.) i casi in cui esiste un obbligo del segreto su tali atti.
Bisogna fare una distinzione tra procedimento dal processo penale.
Il procedimento è integrato dalla fase delle indagini preliminari che servono per acquisire elementi di prova e, per decidere, se esercitare o meno l’azione penale.
Con l’esercizio dell’azione penale si acquisisce la qualità di imputato ed inizia il processo penale. L’assunzione della prova è, quindi, riservata al dibattimento con l’eccezione dell’incidente probatorio per le prove non rinviabili al dibattimento stesso.
Quindi, nel processo accusatorio il pubblico ministero svolge le funzioni di informazione, investigativa, ad acquisire le conoscenze necessarie, gli elementi probatori per l’esercizio o no dell’azione penale.
La fase delle indagini preliminari, dove la polizia giudiziaria si colloca quale organo di indagine, ha l’obiettivo di ricercare cose e tracce pertinenti al reato e di individuarne l’autore. Gli elementi probatori acquisiranno dignità di prova, solo successivamente, in sede dibattimentale, attraverso il contraddittorio tra difesa e accusa.
Qui che si colloca l’art 329 del c.p.p. relativamente al segreto di indagine, dal momento dell’acquisizione della notizia di reato fino alla chiusura delle indagini preliminari.
Si può allora precisare che, gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria, sono segreti fino a quando l’indagato, non può averne conoscenza e comunque non oltre la chiusura delle indagini preliminari.
L’obbligo, che riguarda anche i testimoni e le parti private, cessa a partire dal momento in cui la persona sottoposta alle indagini può avere conoscenza dei singoli atti. Quando l’indagato viene a conoscenza dell’atto relativo alla sua imputazione, ciò fa venire meno il segreto.
Ma quali sono adesso gli “atti conoscibili”? A tale riguardo senza dubbio sono gli atti assunti con la stessa presenza della persona sottoposta alle indagini; altrettanto conoscibili sono gli atti c.d. garantiti, cioè gli atti in cui il difensore ha diritto di assistere, il segreto viene meno da tale momento, altrimenti, nel caso cioè in cui il difensore sia stato assente, il segreto viene meno dal momento del deposito del verbale.
Così ancora, salve le ipotesi di segretazione, si è ritenuta non coperta dal segreto, la diffusione della notizia dell’arresto dell’indagato.
Al fine di rendere la disciplina del segreto adeguata alle concrete esigenze di espletazione delle indagini, ci sono due eccezioni, quando è necessario per la prosecuzione delle indagini il pubblico ministero può:
– consentire, con decreto motivato, la pubblicazione di singoli atti o di parti di essi coperti da segreto;
– disporre il divieto di pubblicazione di singoli atti non più coperti dal segreto quando la conoscenza può ostacolare le indagini riguardanti altre persone.
Il legislatore, al fine di dare piena attuazione alla tutela della riservatezza del procedimento penale, ha previsto, accanto al regime di segretezza sopra illustrato, il divieto di pubblicazione degli atti e di immagini.
Per gli atti non coperti da segreto sussiste un divieto limitato di pubblicazione che è assai circoscritto.
La ragione d’essere del divieto, che è quella di assicurare il corretto, equilibrato e sereno giudizio del giudice del dibattimento, viene meno, man mano che il procedimento si svolge.
Tuttavia, anche per quello che riguarda gli atti coperti da segreto assoluto, non rientrano nel divieto di pubblicazione, l’espletamento di attività procedimentali che si sostanziano in fatti storici direttamente percepibili.
La notizia recepita direttamente da un testimone di un avvenimento, che in quanto tale non tenuto al segreto, può essere diffusa a mezzo stampa. Al contrario, se detta notizia è tratta dalle dichiarazioni fatte dalla stessa persona alle autorità preposte alle indagini, la sua divulgazione costituisce reato.
La segretezza degli atti di indagine subisce alcune significative deroghe collegate alla volontà del legislatore di assicurare la cooperazione tra organismi istituzionali e la circolazione degli atti tra procedimenti connessi e collegati.
Come accennato, esiste una relazione fra la libertà di informare (il diritto di cronaca) ed il reato di diffamazione, laddove le libertà di manifestare un pensiero e divulgarlo non può sfociare nella libertà di diffamare chiunque altro.
L’ordinamento italiano partendo dall’art. 2 della Costituzione, abbracciando la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, la Convenzione Onu sui diritti del fanciullo, la legge sulla stampa, il Testo unico o Codice della Privacy e la legge sulla professione giornalistica, estende un’ampia rete di norme che rendono prioritaria la tutela della vita privata e dell’onore dei cittadini.
Anche la Corte Costituzionale sancisce che l’onore, comprensivo del decoro e della reputazione, è tra i beni garantiti dalla carta fondamentale:
– <<in particolare tra quelli inviolabili, in quanto essenzialmente connessi con la perso umana>>.
La Cassazione è tornata sul tema dei diritti sulla personalità umana con una sentenza limpida e di altissimo valore umano:
– <<In tema di diritti della personalità umana, esiste un vero e proprio diritto soggettivo perfetto alla reputazione personale anche al di fuori delle ipotesi espressamente previste dalla legge ordinaria, che va inquadrato nel sistema di tutela costituzionale della persona umana, traendo nella Costituzione il suo fondamento normativo, in particolare nell’art.2 >>
– L’espresso riferimento alla persona come singolo rappresenta certamente valido fondamento normativo per dare consistenza alla reputazione del soggetto
– <<Infatti, nell’ambito dei diritti della personalità umana, con fondamento costituzionale, il diritto all’immagine, al nome…non sono che singoli aspetti della rilevanza costituzionale che la persona, nella sua unitarietà, ha acquistato nel sistema della Costituzione. Trattasi quindi di diritti omogenei essendo unico il bene protetto>>.
(Cass. , Sez. III civ. , 10 maggio 2001, n. 6507)
In tal senso, tornando al diritto sostanziale processuale penale, si può notare come il legislatore, con l’avvento della riforma del giudice unico, è voluto intervenire sul divieto di pubblicare foto di persone colpite da misure restrittive.
In pratica, telegiornali, quotidiani e periodici non possono pubblicare fotografie e riprese televisive di persone arrestate. Tale restrizione è stata dettata come una logica conseguenza del rispetto della privacy e più in generale del principio della tutela della dignità della persona.
L’art. 8 del codice di deontologia sulla privacy ( Regole deontologiche relative al trattamento di dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica pubblicate ai sensi dell’art. 20, comma 4, del d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101 – 29 novembre 2018) pur essendo una norma di rango secondario, impegna in maniera tassativa:
– <<i giornalisti a non pubblicare immagini o fotografie di soggetti coinvolti in fatti di cronache lesive della dignità delle persona e a non soffermarsi su dettagli di violenza a meno che ravvisi la rilevanza sociale della notizia o dell’immagine. Salvo rilevanti motivi di interesse pubblico o comprovati motivi ai fini di giustizia e di polizia, il giornalista non riprende né produce immagini e foto di persone in stato di detenzione in stato di detenzione senza il consenso dell’interessato>>.
In altri termini, si tratta di uno stop alla “gogna mediatica”, censurata anche dalla Corte dei Diritti che riconosce violato il diritto al rispetto della vita privata di una persona inquisita (vicenda poi chiusa col patteggiamento) per associazione a delinquere, evasione fiscale e falso in atto pubblico, per la pubblicazione in prima pagina della propria foto in occasione degli arresti domiciliari.
Lo stesso Garante ha sancito che:
– <<i nomi degli indagati e degli arrestati possono essere resi noti ma il giornalista deve valutare con cautela i giudizi sulle persone coinvolte nei primi passi delle indagini e la stessa necessità di divulgare subito le generalità complete di chi si trova interessato da un’indagine ancora in fase iniziale>>. (Newsletter Garante 8 – 11 novembre 2004, n. 233)
L’Autorità ha sottolineato ancora che la diffusione dei nomi delle persone indagate o arrestate potrebbe mettere a rischio la stessa riservatezza di minori coinvolti.
Particolare attenzione deve essere prestata nella divulgazione delle informazioni da parte delle Forze di Polizia, chiamate a selezionare preventivamente i dati da rendere pubblici, con riferimento soprattutto a dati personali non indispensabili, come ad esempio il luogo di residenza del minore, l’indirizzo dove sarebbe avvenuta la presunta violenza, la foto dell’interessato.
La possibilità di aggirare il divieto attraverso il consenso dell’interessato alla pubblicazione, resta un atto di dubbia validità, già nella sua formulazione.
Innanzitutto, come deve essere dato il consenso?
A tal proposito, viene in soccorso la disciplina ora raccolta nel d.lgs. 101/2018 GDPR, che chiarisce che il consenso è validamente prestato solo se è espresso liberamente, è che la necessità che l’adesione alla pubblicazione venga espressa in forma specifica e documentata per iscritto.
Ma quali sanzioni per chi viola le norme?
L’art. 115 del c.p.p. delinea quali sono le conseguenze per chi si rende protagonista delle violazioni di tale divieto. Tale articolo, fa riferimento a due ordini di conseguenze:
– uno penale;
– uno costituente illecito disciplinare.
La sanzione penale è una contravvenzione che punisce con l’arresto fino a trenta giorni o con l’ammenda <<chiunque pubblica, in tutto o in parte, anche per riassunto o a guisa di informazione, atti o documenti di un procedimento penale, di cui sia vietata per legge la pubblicazione>>.
Più opportuno invece il riferimento all’illecito disciplinare che, oltre ad interessare impiegati dello Stato o di altri Enti Pubblici, si riferisce a persone esercenti una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato (i giornalisti in particolare). Spetta comunque al pubblico ministero informare l’organo titolare del potere disciplinare che dovrà valutare, dopo regolare procedimento, la sanzione da applicare.
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