Costume

Il comico è dissacrante, la piazza centralissima e la cronaca tradisce se stessa

3 Dicembre 2018

Il tg della sera ha dato notizia di una condanna per un «presunto ricatto». E va benissimo esser garantisti ma, insomma: si può esserlo persino oltre il giudizio di una corte? Si può raccontare un reato oramai accertato in dibattimento come se fosse ancora presunto? No, non si può. Tuttavia, accade. E non accade per una forma d’estremo garantismo; non sempre, almeno. Accade invece che la lingua dell’informazione, nel suo ripetersi automatico, si mostri esausta e logora, e che certe debolezze – le quali non sarebbero che vezzi da concedersi ogni tanto – stanno invece divorando ciò che non si dovrebbe, trasformando le parole in luoghi comuni, privandole d’un senso, rendendole irreali e con ciò rendendo irreale la realtà stessa che quelle parole dovrebbero raccontare.

Certe parole, insomma, svuotate dall’uso reiterato, costruiscono col tempo idee stereotipate e infine raccontano una realtà che non esiste davvero. Ecco, allora, che un reato può tranquillamente essere presunto nel racconto giornalistico, nonostante un giudice si sia oramai pronunciato. Si arriva così – ed è questa la questione più seria per un cronista – alla negazione stessa della cronaca. Ed è una negazione persino inavvertita.

Naturalmente, non accade d’improvviso. Ci si arriva lentamente, ci si arriva – appunto – inavvertitamente. Ci si arriva per approssimazione e, poi, per l’abitudine all’approssimazione. Ci si abitua, ad esempio, a metter parole in coppia e sempre le stesse, e che nessuno le separi! E poi si ripetono quelle parole senza che da queste emerga più un senso: il comico è sempre dissacrante e la piazza è centralissima. Ed è tutto un fiorire già stanco di luoghi comuni: le ricerche incessanti, la tragica fatalità, l’omicidio efferato, la decomposizione è sempre e soltanto in avanzato stato di, i fatti sono sempre al vaglio degli inquirenti, le spiagge ovviamente son bianche e l’acqua cristallina, la pioggia sferza, la scia di sangue è lunga, ogni criminale è un boss, il piatto povero, la suggestiva cornice, l’albergo di charme, la morsa del gelo, l’oasi di pace, gli antichi sapori, la gara di solidarietà, il grido d’allarme, il luogo del disastro, le prime luci dell’alba. E ancora: è caldo record, cala il sipario, il rifiuto è netto, il funzionario è solerte, l’ottimismo è cauto, la fuga è rocambolesca, l’omicidio passionale, l’episodio boccaccesco, il bottino magro, l’intervento tempestivo. E infine il tempo: il tempo che sembra sempre essersi fermato, non appena si voglia dire di un luogo dall’atmosfera appena più rarefatta di quella della metropoli.

Ci sono anche parole ed espressioni utilizzate quasi come vezzi, e che invece nella ripetizione immotivata sembrano la dimostrazione – direbbe Pessoa – della vacuità prolissa delle cose. Ecco, dunque, l’alto e il basso, ecco il giacimento culturale, ecco la sinergia, la resilienza, le buone pratiche, i talenti, i saperi e i sapori,  il borgo, le eccellenze, il monito.

Ecco, insomma, sempre meno parole e sempre le stesse per esprimere idee sempre più stereotipate, per raccontare ciò che accade e dire d’una realtà che, così raccontata, appare piatta e uniforme quando invece la realtà è sempre complessa e articolata e non è mai uno stereotipo, se non forse nell’idea che ne ha chi in questo modo la racconta.

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