Costume

I bambolotti e lo stillicidio discriminatorio

3 Dicembre 2018

In queste ore le principali testate nazionali stanno titolando sul “no ai bambolotti neri all’asilo“: si tratta della solita goffa ripresa di una notizia di cronaca locale riportata due giorni fa dal Messaggero Veneto, riguardante il consiglio comunale di Codroipo (in provincia di Udine) che ha bocciato una modifica del regolamento degli asili nido accreditati, secondo la quale essi avrebbero dovuto mettare a disposizione dei bambini giocattoli  “che fanno riferimento alle diverse culture e alla cultura di provenienza“, per ridurre i rischi di emarginazione dei piccoli stranieri.

Il solito clickbaiting del titolo farebbe pensare a una surreale forma di razzismo verso i bambolotti; in realtà la faccenda è meno insensata ma ancora più grave, perché ciò che la giunta comunale ha deliberato è la cancellazione di una possibile strategia di integrazione dei bambini di origine straniera e di valorizzazione delle loro culture di provenienza mediante giocattoli “multiculturali” (non solo bambole di diversa carnagione quindi, ma strumenti musicali e altri giochi).

Grazie a questo genere di piccole, ma continue iniziative vessatorie da parte di una certa politica, negli ultimi mesi la nostra società si sta assuefacendo a un vero e proprio mobbing nei confronti degli abitanti di origine extracomunitaria: dal momento in cui si trovano in un barcone in balìa delle onde a quello in cui sono diventati cittadini italiani a tutti gli effetti, non c’è un solo passaggio nel quale il governo e le amministrazioni locali leghiste non abbiano peggiorato le condizioni di queste persone, colpevoli solamente di non poter vantare natali rigorosamente autoctoni.

L’elenco di tutti i provvedimenti discriminatori più recenti dà l’esatta dimensione del fenomeno: chi si imbarca dalle coste africane verso il nostro Paese rischia la vita ancor più gravemente di prima, perché le Ong che si occupavano della ricerca e soccorso dei naufraghi sono state bloccate in tutti i modi e, se operanti, ricevono il divieto di approdo nei nostri porti; chi fa richiesta di asilo (a meno che non sia un minore non accompagnato) non ha più diritto all’assistenza sanitaria non urgente, né all’accoglienza nel sistema Sprar e può finire letteralmente in mezzo alla strada, famiglie con bambini comprese, mentre chi è privo di permesso di soggiorno verrà detenuto nei centri di espulsione (che il ministero dell’Interno intende riaprire a breve termine) fino a 180 giorni; si restringono drasticamente le fattispecie e la durata di quella che oggi è la protezione umanitaria, nonché l’assistenza garantita a chi vi ha diritto. Chi soggiorna legalmente nel nostro Paese si vede poi discriminato in un’infinità di modi, dalle ordinanze ad hoc contro i negozietti etnici alle assurde richieste per accedere a varie prestazioni sociali (casa popolare, mensa scolastica, bonus libri, accesso agli asili), dall’aumento dei costi per il permesso di soggiorno al prelievo sul denaro mandato all’estero con i money transfer. Anche la richiesta di cittadinanza diventa sempre più impervia: i tempi si allungano, i costi lievitano e, ciliegina sulla torta, lo Stato si riserva il diritto di revocarla dopo averla concessa.

A questa persecuzione di Stato va aggiunta, naturalmente, quella che viene indotta nella popolazione dallo sdoganamento di una prassi governativa e di un linguaggio più o meno velatamente razzisti: si va dalle aggressioni verbali a quelle fisiche, a volte con armi (per il momento si tratta per lo più di pistole giocattolo, comunque pericolose, ma l’escalation è dietro l’angolo), dall’isolamento sociale allo sfruttamento lavorativo, il tutto sotto gli occhi indifferenti di una maggioranza sempre più collusivamente silenziosa.

Viene da chiedersi quale sia lo scopo di una strategia che moltiplica i disagi per una parte della popolazione residente nel nostro Paese e aumenta le tensioni sociali, senza portare benefici immediati ed evidenti a nessuno: una strategia che, anzi, creerà problemi ancora maggiori, perché fino a quando non si sarà riusciti a riportare nei Paesi di provenienza tutti gli immigrati più o meno irregolari, sempre più abbandonati a sé stessi, costoro saranno costretti a vivere per la strada e a campare di attività illegali (dal lavoro nero alla prostituzione e allo spaccio).

La risposta, tristemente ovvia, è che l’obiettivo è proprio la crescita della tensione e l’esplosione di conflitti sempre più violenti tra autoctoni e immigrati, in modo tale da giustificare l’implementazione di una politica securitaria le cui avvisaglie sono già evidenti nel cosiddetto Decreto Sicurezza. Solo la profonda esasperazione e il timore per la propria sicurezza possono infatti indurre i cittadini italiani a lasciar cancellare alcune delle libertà e dei diritti civili oggi garantiti a tutti: si comincia sempre con il toglierli agli ospiti sgraditi ma, una volta abbattuto il bastione dello Stato di diritto, chiunque può esserne privato.

Più che indignarci sulla bufala del razzismo contro i bambolotti, dovremmo dunque porre attenzione allo stillicidio quotidiano di piccole e grandi discriminazioni, che oggi colpiscono categorie di individui che possono esserci molesti ma che, un domani, potrebbero arrivare a interessarci in prima persona, se fossimo noi a risultare sgraditi per qualsiasi motivo a chi detiene le leve del potere: perché limitare o negare i diritti a qualcuno significa sempre indebolire quelli di tutti.

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