Costume

Greta c’è, dove sono gli adulti?

25 Settembre 2019

Venerdì prossimo mio figlio Tommaso, che ha 13 anni e va in terza media, parteciperà alla manifestazione per il clima. Sono felice che vada e di giustificare la sua assenza, perché la sua cattolicissima scuola non prevede la partecipazione. Senza isterismi, credo che per un ragazzo partecipare a questi eventi collettivi sia formativo: si ragiona su cose più complesse (aggettivo che conservo anche per dopo) e si esce dalla routine casa-scuola-sport-whatsapp-Instagram, che ci sarà tempo per instaurare.

Al liceo ho fatto politica, molto, e mi è servita come e più del greco per, si diceva all’epoca, aprire la mente e leggere la realtà. Come chiunque, ho detto e sostenuto a gran voce tantissime cazzate, ma all’occhio dei posteri nemmeno la Rivoluzione Francese si basava su una piattaforma inattaccabile e priva di contraddizioni. L’organizzazione nella quale militavo, i piccoli del PCI, oggi tornati in auge e trasferitisi in massa nel PD e nel Governo di Beppi Laqualunque con l’arrivo dell’allora segretario piccolo alla segreteria grossa, aveva un penchant retorico particolare per le icone, eroi del socialismo, della lotta a questo e quello, che venivano richiamati negli interventi ai congressi e nelle immancabili conclusioni del Segretario. Ricordo Chico Mendes, sindacalista brasiliano, e Jerry Essan Masslo, bracciante sudafricano a Villa Literno, vittime di brutali omicidi e simboli temporanei ed emotivi di lotte lontane da noi studenti borghesi milanesi che scendevano in piazza per ricordarli e per chiedere giustizia e che, dopo l’omicidio Falcone, scendemmo in piazza per eradicare la Mafia, convinti che si potesse fare e che il Governo semplicemente non lo volesse fare perché troppo colluso e corrotto.

Ci tenevamo alla Giustizia, e questo ci ha reso adulti un tantino più consapevoli, anche se abbiamo nel frattempo quasi tutti spostato e soprattutto sfumato i confini di questa Giustizia e, a mio parere funzione naturale dello sviluppo cognitivo, acquisito una visione più profonda di torti e ragioni. Abbiamo letto romanzi, visto serie e vissuto vite (per di più in Italia) dove non c’erano quasi mai cattivi e buoni puri, soluzioni univoche a problemi monovariabile. L’approccio tutto bianco e tutto nero, millenarista, iconico, monocausale e monosoluzione non ci parla non perché siamo delle merdacce egoiste e corrotte, ma perché crediamo che la vita non funzioni così e per questo abbiamo guardato (giustamente) la buona volontà da assemblea di condomino del M5S e delle loro ricettine come una regressione infantile.

Greta Thumberg è un’icona che parla ai nostri figli, con i mezzi di oggi e con un’enfasi che sinceramente stride con la modalità con cui guardiamo da adulti a problemi complessissimi come quello del cambiamento climatico. Ammetto che la prima reazione a quando l’ho vista sbroccare all’ONU è stata assai negativa, da “anvedi ‘sta matta”. Poi ti rendi conto che tutta la comunicazione politica vista da fuori è fatta da matti e che esiste un filo rosso che lega i bacioni di Salvini, i tweet di Trump, l’“how dare you” di Greta: l’iper semplificazione e il bisogno di fare casino per farsi ascoltare. Ne capisco il senso, ma come non ho bisogno degli Exultet medievali (rotoli con le storie del Vangelo che il prete offriva ai fedeli analfabeti com storyboard della messa in latino) per seguire la Messa né mi intrigano le favole troppo semplici questa iper semplificazione e continuo hype non mi arrivano, diventano rumore di fondo.

Sono un adulto, però, addirittura con qualche pretesa di pensiero raffinato, e penso che Greta faccia benissimo a fare quello che fa, a portare i ragazzi (mio figlio compreso) in piazza e a rompere le scatole. Penso anche che i vecchi (ché si può esserlo senza passare per l’adultità) che la riempiono di lazzi siano un po’ penosi.

La questione del riscaldamento globale è molto complessa, molto più complessa della retorica dei cattivi che rubano il futuro e i sogni ai bambini di Greta. Chiunque abbia un figlio al quale ogni autunno viene diagnosticato il broncospasmo da smog e passa ore della sua vita in coda in macchina capisce che il nostro stile di vita urbano occidentale (urbano e occidentale, che se non sei urbano e/o non sei occidentale la storia cambia e di molto) può essere molto migliorato e che meno macchine in giro, meno rifiuti prodotti e più alberi non fanno male. Si chiamano valori post-materialisti, le cose a cui pensi una volta che hai la pancia piena (al punto da pensare che devi metterti in dieta, paradosso oltraggioso per chi soffre la fame) e la crescita della loro rilevanza significa che una società è sana e si occupa di essere anche bella e buona. A questa impostazione aderisco, concretamente: giro in bicicletta o con lo sharing, cerco di evitare prodotti industriali e di dubbia provenienza, riciclo. Mio figlio è nativo ecologista e perciò ancora più attento. Non c’è alternativa ormai a usare meno macchine, inquinare di meno, piantare più alberi, mangiare prodotti di stagione e alcuni nostri comportamenti tra vent’anni verranno guardati con lo stesso stupore di chi vede i medici che fumano nei vecchi film. Al contempo, ragionevolmente i combustibili fossili, che ci siamo inventati con la rivoluzione industriale e qualcosa hanno fatto per toglierci dalle ambientazioni dei romanzi di Dickens, continueranno a farci compagnia per non poco tempo. Nelle società complesse l’idea di cambiare il modello di sviluppo è come l’utopia di Galeano, un ideale che serve per muoversi.

Gli opposti estremismi del “moriremo tutti domani” o “il global warming è una stronzata e domani mi compro un Hummer” sono un’accozzaglia di pensiero vecchio e di pensiero bambino che produce risultati stomachevoli, come nel film di Aldo, Giovanni e Giacomo in cui Giovanni vince a braccio di ferro con un bimbo ed esulta, sfigato. Soprattutto, il Millenarismo, la costante sensazione di morte prossima dipendente da elementi quasi totalmente al di fuori del controllo dei singoli, mette sulla società una costante pressione alla lunga molto malsana. Con il bambino della maggiore consapevolezza dei problemi si prende l’acqua sporca della reazione contraria, che produce i Trump e i Bolsonaro che dell’ambiente se ne fottono in modo ostentato.

A proposito di Bolsonaro, ho sentito il suo discorso all’ONU, che sosteneva le stesse tesi di un’amica brasiliana anche lei di destra: l’Amazzonia brasiliana è del Brasile, mettere un protettorato sull’Amazzonia (lo vorreste per la Sila?) è colonialismo, gli abitanti dell’Amazzonia devono mangiare, dietro le preoccupazioni ecologiche dei Paesi sviluppati ci sono le terre rare dell’Amazzonia, che fanno gola, non è vero comunque che l’ Amazzonia è il polmone del mondo. Argomenti complessi, alcuni falsi alcuni veri, e comunque punti di vista e ragioni altrui con cui fare i conti. A Bolsonaro non frega niente di Greta che si lamenta che gli hanno rubato il futuro e ancora meno frega a quelli che l’hanno eletto Presidente.

Serve altro, la composizione, che si chiama Politica. Che non è e non deve essere solo “ascoltare gli scienziati”, ce li hanno anche i negazionisti gli scienziati e anche se l’avete pensato non dite che hanno ragione solo ad Harvard, sennò ci fate una brutta figura.

Tutto ciò premesso, Greta fa benissimo. Non fate gli stupidi a dire che è manovrata e insufflata, lo era anche Martin Luther King, che non era una ragazzina di 16 anni. Può starvi simpatica o antipatica, è una teen idol che parla di cose serie come le capiscono e le esprimono i teen idol e per questo gli adulti dovrebbero cercare di capire e di ascoltare, ma rimanendo adulti perdio, che di quelli ne abbiamo molto bisogno.

 

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