Costume
“Gli Italiani”, 83 foto di Massimo Baldini con testi scelti da Claudio Giunta
Gli Italiani – Fotografie di Massimo Baldini/Testi scelti da Claudio Giunta, Il Mulino, Bologna 2019, 196 pp. € 26,00.
«Alcune cose possono accadere in un paese e non in un altro» ricordava George Orwell nel suo saggio sul “genio” inglese “The Lion and the Unicorn”, per il quale finanche «il fatto che l’Inglese ha cattivi denti potrebbe dirci qualcosa circa la realtà della vita Inglese”, in ciò conformandosi all’intuizione di Hegel che nell’ “Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio” asseriva: «Spesso, le singolarità di un piccolo avvenimento, di una parola, esprimono, non già una particolarità soggettiva, ma un tempo, un popolo una civiltà in modo conciso e vivacemente intuitivo».
Questa “particolarità soggettiva” resta rivelatrice tuttavia. Massimo Baldini la coglie in questo libro di fotografie del Mulino, in libreria oggi, in 83 scatti di rigoroso e severo bianco e nero, ciascuno di essi corredato da un testo, tratto da Claudio Giunta dal repertorio della nostra storia letteraria, da Dante a Manzoni, da Flaiano a Brancati, da Sciascia a Piovene, da Ortese a Ginzburg, da Leopardi a Montale e da moltissimi altri ancora; testimonianze di scrittura tese a darci con la loro “osservazione partecipante” – quasi da antropologi più che da letterati – dei comportamenti “propri” dei Peninsulari, e che ci restituisce la loro “metafisica dei costumi”, e dunque la “cosa in sé”, il noumeno: gli “italiani” o forse l’ “italiano”.
Ma nel dettaglio: quale Italia è ritratta qui?
Un’Italia retrodatata o inattuale sembrerebbe a prima vista, ancora quella che sortiva dalle ricognizioni visive degli anni Sessanta di Nanni Loy (“Made in Italy”) o da quelle di Pier Paolo Pasolini (“Comizi d’amore”), un’Italia retrodatata forse, figée dall’obiettivo, immobile, e sorpresa nelle sue modalità del visibile nei tempi fissi della “lunga durata”, e quindi nelle collisioni fatali tra le forme statiche dell’essere della tradizione e quelle in movimento della inevitabile modernizzazione, e pertanto nel testacoda di un passato che mai passa, nei riti e nei miti della sua fede cattolica, per esempio, e di un presente tecnologico (il cellulare) invadente: si veda quello scatto icastico del presbitero colto in chiesa, chino non su un libro devozionale ma sull’aggeggio elettronico.
83 foto in bianco e nero che ritraggono italiani dal Nord al Sud, perlopiù anziani, sigillati in panni modesti, spesso dimessi, da “All’onestà dei prezzi”, fuori forma quando non sfatti, colti perlopiù nel quotidiano più spoglio e ordinario, in interni scoloriti, al bar, all’oratorio, nei banchi delle chiese, in tavole calde o in circoli Arci, in situazioni in cui si consuma una vita senza smalto e priva di spasmi vitali.
15 foto sono senza figure umane, paesaggi o interni di città e di luoghi peninsulari. È un’ Italia, “terra desolata”, senza esseri viventi ritratti o con qualche sparuto ambulante subsahariano che si aggira in periferie disadorne, tipiche da “canaro” cinematografico, col suo altarino a tracolla di chincaglieria a buon mercato: un’agghiacciante prova da “scuola dello sguardo”.
Le occupazioni che presso questi italiani ordinari, dimessi, colti nella piqûre urticante, nel punctum, il dettaglio straziante e rivelatore di cui discorre Roland Barthes nel suo saggio sulla fotografia “La chambre claire” (Seuil, Paris 1980), sono così pervasive e ossessive da sembrare preoccupazioni , e Giunta, nel suo saggio introduttivo “Il popolo italiano” li enuclea ed enumera: il cibo, la macchina, la religione, i cellulari di cui si diceva, i quali appaiono in ben 13 scatti su 83.
Il libro è corredato anche da un saggio introduttivo di Claudio Marra dal titolo “Visti dal vero” il quale inquadra con sagacia l’arte di Baldini: «L’intelligenza della sua fotografia consiste nella ricerca di una elegante normalità di sguardo che si dimostra molto più efficace di qualsiasi esasperazione visiva».
Così è sembrato anche a noi.
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