Costume

Gli indifferenti di Gramsci. 100 anni e non li dimostrano

11 Febbraio 2017

Esattamente un secolo fa, l’11 febbraio 1917, la Federazione giovanile socialista piemontese pubblicava “La città futura”, rivista in numero unico scritta per intero da Antonio Gramsci.

Di quel fascicolo si è persa memoria, per quanto nessuno dei testi scritti per quel numero sia andato perduto e anzi tutti siano stati proposti nelle edizioni degli scritti di giovanili di Gramsci avviate a partire dai primi anni ’50 da Giulio Einaudi Editore.

Eppure non sono entrati nella memoria pubblica se non molto tempo dopo.

Il più significativo di tutti è Indifferenti, che noi conosciamo come Odio gli indifferenti, forse il testo che più di tutti ha trasformato Antonio Gramsci, da fondatore di un partito  che ha avuto vita lunga nella storia italiana, ma che oggi risulta del tutto dimenticato , comunque sepolto, in un’icona per la generazione “doppiozero” ma anche per quella “unozero”.

Un passaggio a cui contribuisce Gianrico Carofliglio quando il 31 maggio 2010, al Teatro Quirino a Roma legge appunto Indifferenti che ora diventa Contro gli indifferenti.

Una lettura e un testo che entrano nella memoria pubblica non perché sono  la forza e l’autorevolezza della firma a fare la differenza, ma perché è la forza della parola a farla. O meglio perché ciò che accade è che il linguaggio del momento usa un testo del passato, che ora risulta premonitore del presente, per confermare la forza della propria autorevolezza.

Dunque cento anni fa cominciava a diventare pubblica la parola indifferenza come parola politica e iniziava a diventare pubblica l’ira contro l’indifferenza come fondamento dell’agire civile, della determinazione a pensare il valore dell’azione civile e dell’azione pubblica appunto contro l’indifferenza. È molte cose, ma soprattutto lo sguardo d chi guarda da lontano vede il dolore degli altri ma non promuove azione.

E’ una condizione che abbiamo associato speso alle persecuzioni. In questo senso “indifferenza” sembra parola che ha atteso i grandi genocidi per diventare categoria dell’agire collettivo. E’ in gran parte vero, ma non solo.

Non solo lo intuisce Gramsci in questo testo, ma dopo di lui e lontano politicamente da lui lo intuisce un’altra figura centrale nel profilo culturale del  XX secolo, Élie Halévy.

E’ il maggio1929, quando Halévy tiene le sue quattro lezioni a Oxford sulla crisi del 1914-1918. La sua è lunga disamina della crisi che sbocca nella guerra .

E’ importante ciò che Halévy ricava dalla struttura mentale che quella guerra determina. La responsabilità nella storia, afferma Halévy, non riguarda solo i singoli  o genericamente gli uomini, ma risiede nelle forze collettive. La responsabilità dei mali che tormentano l’umanità, dice Halévy, deve essere trasferita dagli uomini di Stato alla gente comune, cioè in prima persona a noi.

Per cui spetta all’individuo allora sostituire uno spirito di fanatismo, di convinzione volta al fine, a una di compromesso. L’uomo tuttavia non è fatto solo di senso comune o di interesse personale. E aggiunge e chiude:

“La sua natura è tale per cui egli non giudica la vita degna di essere vissuta, se non c’è qualcosa per la quale egli non sia pronto a morire. Ora io vedo che milioni di uomini si sono mostrati pronti a dare la loro vita, durante la rande crisi mondiale, per le loro patrie rispettive. Quanti milioni di loro, o migliaia, o centinaia, sarebbero pronti a morire per la Società delle Nazioni? Ce ne sarebbero almeno cento? Fate attenzione, perché è questo che è grave. Fino a quando non avremo saputo sviluppare un fanatismo dell’umanità altrettanto potente da controbilanciare o assorbire il fanatismo della nazionalità, non attribuiamo ai nostri uomini di Stato, i nostri stessi peccati.”

Quella guerra all’indifferenza che cento anni fa iniziava a trovare le vie per divenire espressione della domanda di un politica civile non stava solo nella virtù in sé della società civile. Quella virtù comunque era il risultato di una dura conquista. Comunque un futuro degno di essre vissuto  non è solo dato dal riscatto di una società civile di per sé innocente che si libera del giogo dei politici. E’ anche la conseguenza di una società civile che prende la misura delle proprie responsabilità e delle proprie mancanze.

Chiunque dica  con convinzione “Odio gli indifferenti” sta parlando anche di sé. Gridarlo anche ferocemente non lo rende, per questo, innocente.

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