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Feltri senza filtri: Vi racconto tutto, da Di Pietro alla morte del giornalismo
Vittorio Feltri, tutto si può dire di lui, si può criticare per certe sue posizioni, a volte le sue esternazioni creano subbuglio e sconcerto, ma nessuno può negare la sua appartenenza ai grandi del giornalismo Italiano. Una carriera piena di successi editoriali, pochi come lui. Mi concede due ore del suo tempo nella redazione di Libero dove cerco di fargli raccontare la sua carriera fin dagli inizi, ne nasce una piacevole conversazione ricca di aneddoti e simpatici episodi, un bellissimo spaccato sul giornalismo Italiano. Ho deciso di lasciare la trascrizione, ironica e colorita nei termini, il più fedele possibile alla sua esposizione; ritengo che rispecchi esattamente il suo personaggio.
Diplomato vetrinista e laureato in scienze politiche, ha cominciato ad allestire vetrine come si è di recente raccontato su Libero. Quando ha capito che voleva fare il giornalista?
A soli 4 anni. A quel tempo mi rifiutai di andare all’asilo. Per mia madre e mia zia, (mio padre morì poco dopo) era un problema, perché loro dovevano lavorare e io a casa mi rompevo i coglioni, non potendo giocare con nessuno. Prendevo allora una sedia e la usavo come scrivania, e il poggiapiedi era la mia poltrona. A quel tempo a casa mia arrivava Il Corriere della Sera e il Giornale di Bergamo, ero molto incuriosito, naturalmente non sapevo leggere, li sfogliavo e guardavo le fotografie, ma la curiosità maggiore era per i titoli scritti a caratteri più grandi. Non capendo un cazzo rompevo continuamente i coglioni a mia zia, la poveretta era costretta a spiegarmi il significato, insomma in sei mesi ho imparato a leggere. Poi ho cominciato anche a scribacchiare qualcosa e a furia di maneggiare i giornali è nato il sogno di fare il giornalista. Poi è arrivata la scuola, a quel tempo a casa mia le ristrettezze economiche erano notevoli. A 16 anni, continuando a studiare, vidi un annuncio per un corso di vetrinista, professione svolta da pochi e ho immaginato, non sbagliando, di intraprendere quella professione, che mi permetteva di guadagnare qualcosa durante gli studi. Ho imparato il mestiere aiutato da un bravo insegnante, che poi divenne mio socio, io al 30 lui al 70%. Per una vetrina si guadagnavano allora 5 mila lire. Sai cosa ho capito da quel mestiere? Che fare una vetrina è come fare la prima pagina di un giornale, devi attirare un minimo di attenzione su un prodotto, che sia un articolo o un capo di abbigliamento, è un po’ la stessa cosa. Sono diventato bravo, il mio insegnante mi ha riconosciuto un 10% in più della nostra società e sono salito al 40% , ho cominciato a farmi la mia clientela, avevo come clienti 7 – 8 commercianti e guadagnavo un sacco di soldi. A 18 anni ero riuscito a risparmiare 2,5 milioni di lire, con quei soldi allora potevi comperarti un appartamento, dovevo ricorrere però all’aiuto di mia zia perché a quell’età non potevi avere un tuo conto corrente, la maggiore età era fissata a 21 anni e allora la zia custodiva i miei risparmi sul suo libretto di risparmio. Alla fine mi sono stufato, sono arrivato all’esame di maturità con l’aiuto di un prete che si chiamava Monsignor Meli, era un insegnante del seminario e insegnava una materia che oramai non c’è più:l’eloquenza. Lui mi parlava in bergamasco, che io capivo benissimo, oppure in Latino che ho imparato molto bene. All’università cominciavo a dare qualche esame, ma spesso non sapevo un cazzo, andavo lì e cominciavo a contarla su, i professori capivano che non sapevo niente e alla fine mi dicevano: “Le va bene 23?” Certamente! (Andava bene anche 22, pensavo).
Dall’Eco di Bergamo, al quotidiano La Notte e poi a Il Corriere sotto la direzione di Piero Ottone poi una pausa e poi ancora a Il Corriere diretto da Piero Ostellino, ci racconta quegli anni?
Il Corriere della Sera allora era come una specie di cattedrale, c’era il tavolone dove lavoravano quelli dedicati agli interni e agli esteri, lungo 30 metri, avevano copiato la redazione del Times di Londra, c’era un silenzio tombale, non parlava nessuno, tutti zitti, però c’erano dei criteri di lavoro molto rigorosi che costituivano la base del mestiere e io lì ho imparato tantissimo. Ho imparato molto da Nutrizio, un po’ matto ma geniale. Lo ricordo con grande gratitudine, in primo luogo perché mi ha assunto, mi ha inserito come praticante e poi mi ha fatto diventare professionista, sono stato veramente bene lì. Quando sono andato via da La Notte, Nutrizio incazzato nero, mi ricoprì di insulti: “sei un traditore, sei come tutti gli altri” e io ci rimasi molto male. Qualche anno dopo, in seguito alla nascita deIl Giornale di Montanelli, che portò con sé dalla redazione del Corriere parecchi giornalisti, dovendo rimpiazzarli vennero anche da me e incontrai Angelo Rizzoli. Con stupore feci presente che Nutrizio mi aveva precedentemente ricoperto di insulti e Angelo Rizzoli disse: “ma come è stato proprio lui a farmi il tuo nome”. Probabilmente lui non voleva far vedere che impoveriva la sua redazione. Al Corriere io ho avuto come direttori, Ottone, Di Bella, e poi Cavallari, con il quale non andavo assolutamente d’accordo, lui era un comunista e i comunisti mi stanno da sempre sui coglioni, sono quindi tornato a Bergamo a fare il direttore di “Bergamo Oggi”, un giornale che non andava neanche a spingerlo. Mi sono inventato un po’ di cazzate per tentare di migliorare le cose, sono diventato amico di Antonio Di Pietro agli esordi come PM a Bergamo, lo detestavano tutti, lo disprezzavano, non risultava molto simpatico, nemmeno ai suoi colleghi. Con me invece il rapporto era buono, cordiale, siamo diventati amici e così mi passava un sacco di notizie, tutto quello che succedeva, lo sapevo, questo perché me lo raccontava lui, non perché ero bravo io. Quindi facevamo dei bei colpi, il giornale vendeva al mio arrivo 1.600 copie e alla fine dell’anno siamo arrivati a 9.000, una botta di culo incredibile, credimi se non c’è “San Culo” non vai da nessuna parte. Mi telefona il direttore dell’Eco di Bergamo che era il giornale nostro concorrente e anche il quotidiano più importante, il direttore era un vecchio prete con cui io anni addietro avevo cominciato e mi disse, in bergamasco, “Te Feltri, quando vai fuori dai coglioni? Perché qui mi stai rompendo le palle”. Quando poi al Corriere è arrivato Ostellino, con cui avevo un bel rapporto, sono rientrato e ho cominciato a fare l’inviato, un mestiere bellissimo allora, oggi dove vuoi che ti inviino… lì ho girato il mondo, a me che non piace viaggiare pensa, mi sono divertito, sono andato dappertutto, mi sono fatto una grande esperienza.
Proseguiamo con la direzione all’Europeo, un successo editoriale in soli due anni passa da 78 a 130.000 copie. Durante la sua Direzione venne pubblicato il falso scoop sul rapimento di Aldo Moro. Come l’ha vissuto a livello professionale? Oggi sarebbe ancora possibile incorrere in una truffa simile?
Sul falso scoop le cose non erano proprio così. Erano stati trovati dei documenti che sono stati poi raccontati sull’Europeo, in realtà era un pasticcio, non è stata colpa mia, avevamo un capo redattore che in quell’episodio pestò una mezza merda, nulla però di rilevante, io non presi nemmeno una multa per quella vicenda, è stato un banale incidente, come fosse un tamponamento. Sono rimasto all’Europeo per due anni e mezzo e anche lì abbiamo avuto un gran culo, quando è scoppiata la guerra del Golfo il primo a saperlo sono stato io, mi telefonò in quel caso Emilio Fede per darmi la notizia, che cavalcai per primo facendo una copertina di grande effetto. Poi ho scritto un libro con Furio Colombo “Perché Israele ha ragione”, dall’uscita del libro che fu un successo, abbiamo superato l’Espresso, roba da matti, ma credimi sono tutti colpi di culo, io non ho inventato nulla. Di recente ho rivisto qualche vecchio numero dell’Espresso che mia moglie, non io, aveva conservato e devo ammettere, riguardandoli, che io non sarei più capace di fare un giornale del genere, avevo delle firme meravigliose, tutti lavoravano con voglia, entusiasmo, eravamo una squadra da combattimento, e poi devo dire che a quaranta e rotti anni forse avevo un’altra voglia, un altro spirito.
Nel 1992 l’anno di mani pulite va alla direzione de l’Indipendente, allora in grave crisi di vendite. Si dice che gran parte del successo iniziale sia derivato dall’aver cavalcato lo sdegno popolare dell’inchiesta, concorda?
Certo che concordo, capimmo subito com’era la storia, a quel tempo c’era la Lega che cresceva, anche se tutti dicevano che era un fenomeno da baraccone, io intuii che ciò non fosse vero, infatti nelle valli a me care tutti votavano Lega, cominciai così a cavalcare l’ascesa del partito, poi arrivò mani pulite e quando Chiesa buttò i soldi nel cesso sono stato l’unico a dare un grande rilievo a quell’episodio. Da lì siamo arrivati a 130.000 copie nel giro di un anno, un anno e mezzo, rimasi stupito io stesso. Anche lì non è che io abbia fatto chissà che cosa, mi ero limitato a cavalcare l’onda.
Il suo rapporto con Montanelli e la decisione di subentrargli alla guida de Il Giornale che lo stesso Montanelli decise di lasciare perché in disaccordo con Berlusconi, ci racconta com’è andata? Poi dopo 4 anni perché ha lasciato il quotidiano portandolo da 130 a 250.000 copie?
Anche lì l’intuizione è stata, non quella di cavalcare il Berlusconismo, inteso come persona, ma interpretare il desiderio degli elettori di sostituire la Democrazia Cristiana. Si era formato allora il Centro Destra, proposi a Gianfranco Fini di allearsi con la Lega dicendogli che erano di più le cose che li univano, rispetto a quelle che invece li dividevano, tipo il nazionalismo e tutte quelle palle lì. Erano i tempi in cui questi temi funzionavano, ecco perché guadagnavo copie, altri giornali, diciamo più ingessati, non capirono subito da che parte andare, mentre io, che ero uno stracciaculo qualsiasi, me ne fottevo e poi avevo in mano dei giornali talmente di merda che non avevo alternative, dovevo pur fare qualcosa, ricorda che se osi e fai qualcosa, poi qualcosa succede:è andata bene. Con Montanelli ero molto amico, pranzavamo spesso insieme, si andava a Milano alla “Tavernetta” in via Fatebenefratelli , aveva un tavolino sempre prenotato per lui, non mangiava un cazzo, come me del resto, però teneva il fiasco del vino sotto il tavolo, come facevano una volta i contadini e me lo versava di volta in volta, eravamo in ottimi rapporti. Ad un certo punto mi telefona Berlusconi e mi chiede di andare a fare il condirettore di Montanelli, lo ringraziai dicendogli che io all’Indipendente, che stava andando alla grande, facevo il Direttore. Non avevo nessuna voglia di cambiare e poi se me l’avesse chiesto Montanelli era un discorso, chiesto da Berlusconi, in persona, poteva sembrare un’operazione di vertice, non bella, per cui, visti i rapporti con Montanelli, mi rifiutai. Poi, com’è noto, Berlusconi e Montanelli litigarono, il Cavaliere mi chiamò di nuovo e io dissi: “guardi ci vengo (ti confesso che l’idea di sostituire Montanelli alla direzione mi faceva tirare il bigolo) però solo dopo che Montanelli ha lasciato, non voglio che lui abbia il sospetto che io abbia brigato per sostituirlo”. Però capirai, andare fare il direttore a Il Giornale, dopo Montanelli, è come se un parroco lo metti a sostituire Giovanni XXIII . Quando Montanelli se ne andò, accettai l’incarico e lì lo spasso fu la trattativa per il contratto. Ho imparato da Biagi a fare i contratti, lui era un maestro, mi diceva: “tu non devi mai dimostrare grande entusiasmo, si, vediamo… ci penso… ora esamino…” quelle cazzate lì insomma. Allora all’Indipendente guadagnavo 500 milioni di lire all’anno, direi uno stipendio importante, loro me ne offrono 600. “Guardate -dissi- dirigo un giornale di successo, dovrei lasciarlo per venire in un quotidiano, che è un mezzo cadavere, per 100 milioni in più all’anno? Ho l’impressione che voi non stiate cercando un direttore, ma un cretino e visto che di cretini ce ne sono tanti mi chiedo se dovevate venire proprio da me”. Succede allora che Paolo Berlusconi mi riconosce 700 milioni, poi volendo fare il brillante, a questa somma mi aggiunge un variabile a copia venduta oltre le 100.000 copie che era la tiratura di allora, a quelle condizioni accettai. Montanelli fondò “La Voce” che nei primi giorni vendeva l’ira di Dio, volevo suicidarmi… dovevo inventarmi qualcosa. Un giorno Montanelli veniva invitato alla Festa dell’Unità, ti ricorderai che a quei tempi c’era la quercia e gli fecero una foto di lui davanti alla quercia, io la misi subito in prima pagina, fu un successo, tutti i lettori de Il Giornale, che erano passati a La Voce, tornarono indietro, lì cominciammo a sgasare raggiungendo risultati incredibili. Abbiamo poi fatto alcune inchieste, ti ricorderai per esempio di “affittopoli”, insomma piccole cose, però bisogna farle per ottenere i risultati. Al mio primo giorno a Il Giornale, dopo aver fatto il pezzo di saluto a Montanelli, alle 11 arriva la sua telefonata e mi dice: “ciao come stai, ben arrivato a Il Giornale, ho letto il tuo articolo, mi è piaciuto molto, l’unica cosa che mi dispiace è che non l’ho firmato io” lui è stato un gran signore, mi ha incoraggiato. Gli chiesero una volta cosa provava nel vedere i risultati delle vendite del Il Giornale, rispose: “mi sembra di avere un figlio drogato”. I rapporti tra me e lui sono stati sempre ottimi, anche dopo.
Nel 2000 fonda Libero dove resta fino al 2009… anche qui un successo, passa nei primi anni da 70 a 220.000 copie
Attenzione, prima sono andato a fare il direttore del Resto del Carlino, de La Nazione e de Il Giorno. Sono rimasto lì un annetto, però mi rompevo i coglioni, era una noia mortale, dopodiché avevo già in mente di fare un nuovo giornale, l’idea era quella di fare un giornale Berlusconiano, senza Berlusconi però. Nonostante il buon rapporto con lui, devo dire che per me è stato il miglior editore che ho avuto, non mi ha mai, mai detto nulla, però per l’opinione pubblica, se tu lavori per Berlusconi, sei un lecca culo di Berlusconi e questa cosa mi infastidiva. Inizia così l’avventura di Libero, all’inizio era difficile, mancavano i fondi, mi sono attivato per trovarli, ho mantenuto il 36% delle quote, fino a quando sono arrivati gli Angelucci, che hanno voluto comperare tutto, anche le mie quote e me le sono fatte pagare bene, gratis non si fa niente e piano piano, con questo giornalino del cazzo, siamo riusciti a superare Il Giornale, arrivando a 140.000 copie di vendite, adesso invece non si vende più un cazzo, è un disastro.
Poi arriva Sallusti a Libero come direttore responsabile e dopo un paio d’anni lei ritorna a Il Giornale, richiamato per risanare il deficit del quotidiano. Anche qui, risanato gran parte del debito, lascia la carica di direttore, per assumere quella di direttore editoriale e arriva ancora Sallusti… siamo nel 2010
Non è proprio così, nel 2009 mi chiama Berlusconi supplicandomi di tornare a Il Giornale, che allora aveva un passivo di circa 18 milioni di euro all’anno, non avevo però tanta voglia di lasciare Libero, anche se dopo 10 anni ti viene voglia di cambiare aria. Con me lavorava Sallusti, era il mio vice e quando tornai a Il Giornale gli chiesi di venire con me per darmi una mano. Arrivati, abbiamo cominciato a fare il giornale in maniera un po’ diversa, con una particolare attenzione ai conti, vedi un giornale è a tutti gli effetti un’azienda e lì andavano abbattuti molti costi. Ho chiuso tutti gli uffici esterni di corrispondenza, che non servivano a un cazzo, oggi se devi andare a Londra ti prendi un aereo e in un’ora sei lì ,non serve nient’altro. Poi ho rivisto tutti i contratti con le stamperie che avevano condizioni imbarazzanti, dopo dieci mesi siamo riusciti a ridurre il deficit da 18 a 4 milioni di euro. Anche qui nel mio contratto mi ero riservato una parte variabile, veniva stabilito che, per ogni milione risparmiato, avrei avuto diritto ad una percentuale del 10%, ne ho risparmiati ben 14, sono dovuto andare con la carriola a prendere i danari. Del resto i contratti si rispettano.
Nel 2016 Belpietro viene licenziato da Libero per divergenze con l’editore Angelucci e lei ritorna al quotidiano fondato 16 anni prima, dove poi arriva dopo 5 anni di nuovo Sallusti, praticamente una coppia di fatto
Giusto, via noi a Libero è arrivato Belpietro, successivamente licenziato. Ritorno io e dopo cinque anni, forte anche del successo ottenuto con il libro Il Sistema ritorna qui anche Sallusti per darmi una mano e insieme stiamo cercando di risalire, anche se poi in fondo non me ne frega un cazzo, tanto io lo stipendio lo guadagno lo stesso.
“Gli amori fanno dei giri immensi e poi ritornano” cantava Venditti. Vale lo stesso per il suo rapporto con Libero e Il Giornale?
Penso che l’amore sia eterno finché dura, ma l’amore è come le mozzarelle: prima o poi scadono. Non sono solito ad innamorarmi, però quando lavoro per una testata faccio gli interessi di quella testata. Professionalmente bisogna essere sempre corretti, guardo molto i conti, infatti, nonostante non vendiamo un cazzo e essendo parte del Consiglio di Amministrazione, i nostri bilanci non hanno un euro di deficit, sono perfettamente in ordine. Devo riconoscere che con il web siamo riusciti in parte a compensare il calo del cartaceo, la situazione però è generale, se tu pensi che il Corriere della Sera, quando c’ero io, non certo per merito mio ma per farti capire il periodo, vendeva 500-600 mila copie, adesso arriva a 130 mila, c’è chi va peggio, Il Giornale il mese scorso ha perso addirittura il 29%. Penso che Berlusconi lo cederà dopo le prossime elezioni.
Qual è la più grande differenza fra i suoi esordi a l’Eco di Bergamo e un giovane che entra oggi in una redazione?
La differenza è tantissima, cerco di riassumerla in termini molto pratici. Il mio primo stipendio da praticante era di 240 mila lire al mese, ti segnalo che con il doppio della cifra 480 mila lire potevi comperarti una fiat 500. Oggi se uno viene da noi a fare il praticante, con il primo stipendio non si compera nemmeno una bicicletta. Fare il giornalista non è più un mestiere di prestigio, una volta era un impiego prestigioso, oggi non più.
A 18 anni si iscrive al Partito Socialista e a 77 anni diventa capolista di Fratelli d’Italia alle elezioni comunali di Milano. In mezzo la storia politica del nostro Paese. Quali esperienze politiche non rifarebbe e quali farebbe in modo diverso?
Quando ero ragazzo mi iscrissi al PSI per un motivo semplice, Bergamo era una città cattolica, democristiana e questo conformismo mi irritava, ecco il motivo dell’iscrizione al PSI, che a quell’epoca era equiparato alle Brigate Rosse. Poi dopo poco ho smesso, cominciando a lavorare e a fare il giornalista, della politica non me ne fregava più un cazzo. Mi sono sempre però interessato alla politica, ma attraverso i giornali, raccontandola, mai partecipando. Negli ultimi due/tre anni ho capito che Giorgia Meloni era attrezzata per fare il botto e infatti in breve è diventata il primo partito italiano, quindi non avevo capito male, siamo diventati amici e mi ha chiesto di fare quella roba lì e io per curiosità l’ho fatta, sono stato quello che ha preso più voti. Vado pochissimo in Consiglio Comunale, perché è un ambiente assurdo, dove c’è un eccesso burocratico, si parla spesso del nulla, una cosa avvilente.
Ha portato alla ribalta l’Indipendente stando dalla parte di Di Pietro e condannando Craxi, due anni dopo quando arriva a il Giornale fa inversione di marcia e poco tempo fa ha chiesto scusa ai lettori. Era solo sete di potere e successo o all’epoca ci credeva davvero?
Chiesi scusa già allora, non poco fa, sono diventato poi amico di Craxi, lui quando si ritirò ad Hammamet, avendo perso i contatti, mi chiamava alla sera, intorno alle 22.30, per avere notizie, una volta mi ha detto una frase che andrebbe scolpita nel marmo: “Guardate, Berlusconi è un uomo straordinario che ha fatto le cose bene, però lui non è capace di governare, lui deve regnare”. Perfetto, era un uomo molto intelligente. Quando mi invitò al famoso Hotel Raphael per riconciliarci, pensavo vivesse in una reggia, invece era uno schivo, abitava in una piccolissima suite del cazzo, piena di posaceneri con molti mozziconi, viveva da poveraccio, altro che ladro.
Quali sono stati i suoi più grandi maestri?
Il primo è stato Andrea Spada, che era un prete, allora direttore dell’Eco di Bergamo; poi Nutrizio; poi Gino Palumbo, un grande giornalista; Franco Di Bella, un praticone e infine Enzo Biagi, con lui ho lavorato per tre anni in televisione, mi occupavo dei testi, mi forniva degli input incredibili, ma soprattutto mi ha insegnato a fare i contratti, era molto popolare e aveva il dono di sintonizzarsi perfettamente con l’opinione pubblica.
E lei quali consigli dà ai suoi collaboratori?
Oramai non gliene dò nemmeno più. Ho scoperto che le donne sono più brave degli uomini, hanno studiato meglio, si impegnano di più, perché vogliono dimostrare a tutti, ma soprattutto a se stesse, di essere all’altezza, sono precise, brillanti e hanno molta fantasia, ma questo non solo nei giornali. Oggi per esempio negli ospedali ci sono molte donne, io sono stato operato il primo di marzo da due belle donne tra l’altro, cosa che non infastidisce.
Ha mai dato consigli a suo figlio?
Si, quando era ragazzino, gli facevo fare le cronache delle partite. Alla domenica sera io e mia moglie uscivamo a mangiare al ristorante, lui a casa, dopo aver guardato le partite faceva dei compitini, cercando di descrivere, di fare un commento, vedevo che c’era del materiale su cui lavorare e allora gli davo qualche dritta, poi quando ha iniziato a fare il cronista ho visto che oramai aveva già capito tutto del mestiere. Ora, secondo me ha una scrittura a volte un po’ troppo complicata, che rallenta la lettura, questo per me è un errore, ma non gli dico niente, anche perché ognuno ha il suo stile. La lettura per me deve essere rapida e il linguaggio colloquiale, non si dovrebbero usare spesso termini troppo complicati, altrimenti il lettore perde il filo. Ricordati che la semplicità è figlia dell’intelligenza.
Fedez l’ha chiamata dopo la sua lettera? Cosa le ha detto?
No non ancora, anche perché è stato ricoverato ed è uscito da poco.
Il futuro del giornalismo e dei giornali quale sarà?
Il futuro del giornalismo sarà la tomba. Non c’è scampo, almeno sulla base dei dati che abbiamo oggi, poi magari ci sarà un’inversione di tendenza, me lo auguro, ma ci credo poco. Internet ha saccheggiato molti lettori, anche perché è passata l’idea che l’informazione è gratis. Mi conforta sapere che i libri invece abbiano avuto un buon incremento di vendite, probabilmente perché si è creato un vuoto di lettura e la gente ha ancora l’esigenza di leggere. Ne uscirà uno mio il 26 di aprile, dove racconto tutti gli episodi più curiosi, l’aneddotica con uomini politici, industriali, tutti episodi che fanno ridere, ce n’è bisogno in un periodo così.
Gira voce che lei dica spesso: “sarei assolutamente in grado di fare un giornale comunista, che venderebbe un sacco di copie tra quelli di sinistra”. Conferma?
Questo lo dicevo una volta, oggi in tutta franchezza mi sembra più difficile. Pensa che una volta D’Alema scherzando mi disse: “vieni tu a fare il direttore dell’Unità”, gli risposi che se la loro intenzione era quella di perdere un bel numero di copie, l’idea era ottima.
Spesso su Twitter fa arrabbiare gli antirazzisti e le femministe. Crede sempre a quello che scrive o ogni tanto lo fa più che altro per far arrabbiare qualcuno?
No, non lo faccio con l’intenzione di fare arrabbiare, però mi piace ogni tanto rompere quella cortina di conformismo che è diventata insopportabile e che riguarda anche il linguaggio politicamente corretto. Queste cose mi risultano antipatiche, per cui ogni tanto vado contro corrente, del resto è la vecchia scuola di Montanelli, non tutti infatti lo amavano, anch’io ho una parte di pubblico che mi stima, ma anche qualcuno a cui sto sui coglioni, del resto non si può piacere a tutti e poi per concludere non me ne frega un cazzo.
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