Costume
Felicità e godimento al tempo della performance
Pubblichiamo un estratto dal libro Generare libertà (Il Mulino), di Chiara Giaccardi e Mauro Magatti, da questa settimana in libreria. Ringraziamo l’editore per la disponibilità.
La realtà reagisce al nostro modello di sviluppo e ci sollecita con forza a cambiare. Siamo tanti, viviamo meglio e più a lungo. Ma la vorticosa crescita economica dell’ultimo secolo si sta ora scontrando con le sue contraddizioni. La risposta non può essere però solo tecnoeconomica: occorre piuttosto mettere in discussione le premesse su cui la crescita si basa, colmando un ritardo culturale nella consapevolezza che non esiste forma vivente che non sia in relazione.
Con la fine delle ideologie e il tramonto del marxismo, tutti – a destra come a sinistra – si sono ritrovati d’accordo nel ritenere che l’aumento delle possibilità di vita individuali fosse un bene in sé, a prescindere da ogni altra considerazione. […] Naturalmente, attorno a questo nodo si condensano molte delle contraddizioni del nostro tempo: i limiti di questo spazio di autodeterminazione sono oggetto di tensioni culturali e scontri politici.
Ma, al di là di tutto, ciò che affascina del nostro modello di sviluppo è la capacità di garantire (in linea di principio a tutti) un numero crescente e una varietà sempre maggiore di esperienze a cui l’individuo può liberamente accedere. «Star bene» diventa la condizione di una vita riuscita.
Al centro di questo processo c’è la figura del consumatore che interpreta un certo modo di stare al mondo: sempre più esigente e insofferente rispetto a ogni difetto, ritardo o disfunzione dei prodotti e dei servizi di cui usufruisce, egli si abitua all’idea che la realtà (qualunque essa sia: quella di un figlio, di un partner, di un contesto abitativo o lavorativo ecc.) debba sempre e prontamente rispondere alle sue personalissime aspettative. Soddisfatti o rimborsati: e ciò che non soddisfa si restituisce, si cancella, si scarta.
D’altra parte, il consumo educa a essere sempre disponibili alla sostituzione con qualcosa che è «più»: più aggiornato, più efficiente, più trendy, più performante. Dedizione e cura cedono il passo a sorpresa ed eccitazione.
Nell’inesausta ricerca del successo e dell’agognato godimento, le componenti negative – come la fatica, la frustrazione e persino l’attesa – vengono screditate a favore dello «star bene» immediato, visto come prova della verità e bontà di qualunque situazione. Buono è ciò che mi fa stare bene, adesso.
Sull’onda di questa nuova sensibilità, cambiano anche le relazioni affettive, che diventano più instabili e aperte a un’ampia varietà di forme e orientamenti. Col risultato di una oscillazione tra l’ideale della «relazione pura» – quella che, secondo Antony Giddens, si basa sul principio del «fino a nuovo avviso» – e la deriva narcisistica – dove il «consumo» dell’altro si manifesta in una sessualità esplorativa e contingente (come nella «tinderizzazione» delle relazioni facilitata dal digitale) fino ad arrivare agli ormai innumerevoli casi di femminicidio e di violenza familiare (quando, per una varietà di motivi, la persona amata non corrisponde più alle aspettative, diventate pretese, del soggetto – in genere maschio).
Il che, dal punto di vista politico, comporta l’obbligatorietà della crescita economica, necessaria per il consenso che serve alla stabilità democratica. Una vita piacevole, ricca di soddisfazioni, spensierata, immersa nel godimento è l’antidoto moderno per le ombre e le inquietudini umane.
C’è, però, un altro lato della medaglia. Per sostenere l’aumento delle possibilità di vita, l’organizzazione sociale deve «funzionare». All’interno dei sistemi e degli apparati, che sono essenziali a garantire livelli di vita sempre più elevati, si deve essere attivi, efficienti, veloci, performanti: è questo lo scotto che la civilizzazione fa pagare al singolo individuo.
Come già scriveva Freud nel Disagio della civiltà, «così come ci viene imposta, la vita per noi è troppo difficile». E anche la libertà diventa a rischio, nel mondo della velocità e della performance.
A differenza del passato, quando la richiesta riguardava prima di tutto la dimensione morale, oggi non c’è più un bene a cui tendere, ma una performance da realizzare. Il benessere materiale compensa il sacrificio da sopportare per mantenere efficienti quei sistemi – a cominciare dal mercato – che rendono possibile ottenere «più vita». Sistemi organizzati attorno a logiche proprie (le leggi della concorrenza, i dati dell’audience, il volume delle interazioni ecc.) con i quali gli attori sociali (individuali, organizzativi e politici) devono poi, molto concretamente, fare i conti: vivere in una società avanzata significa avere a che fare con una rete di istituzioni e apparati sempre più complessi, capillari, esigenti, dettagliatamente regolati da procedure, protocolli, standard e norme di funzionamento. Da conoscere e rispettare scrupolosamente. A cominciare dal ritmo incalzante e senza pause che li caratterizza.
Ne deriva un senso di inadeguatezza, qualche volta di angoscia, rispetto al quale lo stesso sistema che genera pressione sembra fornire anche le soluzioni: «a colui che è angosciato il sistema può offrire sicurezza: castello di ragioni, muraglia impenetrabile di pensieri invulnerabili che s’affaccia sul vuoto», scriveva Maria Zambrano.
A poco a poco, l’esistenza nella sua integralità si ritrova impigliata nella logica del funzionamento. Al lavoro, certo. Ma anche a scuola, dove il registro elettronico diventa un cruscotto che permette di tenere sotto controllo in tempo reale i dati sul rendimento dell’alunno; nella sanità, dove la cartella clinica digitale registra, monitora e rende disponibili una grande quantità di parametri sanitari e fisici, modificando tanto la relazione medico/paziente quanto l’intera dinamica clinica e terapeutica; nello svago, che, per essere all’altezza dei canoni socialmente definiti deve essere «instagrammabile», sottomesso alla verifica del numero dei like e delle interazioni.
Tutti noi sappiamo che la disponibilità delle possibilità di vita dipende da apparati efficienti e impersonali. Tutto è sempre più grande. Tutto è più veloce. Il che ci espone a quell’esito ambivalente che Paul Valéry aveva già prefigurato negli anni ’30 del secolo scorso:
Quanti doveri alla fine! Doveri dissimulati nella stessa comodità! Doveri che il comfort, il pensiero del domani, moltiplicano di giorno in giorno, giacché l’organizzazione sempre più perfetta della vita ci cattura in una rete, sempre più stretta, di regole e costrizioni, di cui molte rimangono impercettibili! Non ci rendiamo conto di tutto ciò a cui obbediamo. Il telefono suona, e noi corriamo. L’ora suona, l’appuntamento ci incalza […] Pensate a quel che sono, per la formazione mentale, gli orari di lavoro, gli orari dei trasporti, le prescrizioni crescenti dell’igiene, le regole dell’ortografia sconosciute un tempo, fino alle strisce pedonali […] Tutto ci comanda, c’incalza, ci prescrive quel che dobbiamo fare, e ci ingiunge di farlo automaticamente. L’esame dei riflessi diventa al giorno d’oggi la prova principale. Persino la moda ha introdotto una disciplina della fantasia, una polizia dell’imitazione, che sottomette l’estetica del giorno ad arcane combinazioni commerciali. Infine, ad ogni modo, noi siamo circoscritti, dominati da una regolamentazione occulta o tangibile, che si estende dappertutto, e siamo sconcertati da questa incoerenza di stimoli che ci ossessionano e di cui finiamo per aver bisogno.
Non siamo mai stati così bene. Ma non siamo nemmeno mai stati così stressati.
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