Costume

Economia, cultura e apericena: storia di una trombamicizia finita a pernacchi

29 Ottobre 2020

Bisogna ammettere che guardare la tv e ascoltare la radio sono diventate esperienze gratificanti. Tali da colmare di ottimismo perfino l’uomo più dubbioso delle sue capacità intellettuali. Pure se sei un cretino finisce che, grazie alle minchiate che vi si dicono, ti senti intelligente. E le trasmissioni “democratiche”, quelle alle quali partecipano gli spettatori, sono le più spassose perché, nove volte su dieci, gli utenti non hanno nulla da invidiare agli esercenti.

In questi giorni, tenutarie e clienti di una queste case chiuse, sono disperati perché a quanto pare il nuovo DPCM li ha privati non solo dell’apericena ma anche della possibilità di andare in piscina, al cinema e a teatro – davanti al quale, com’è noto, c’erano fino a ieri file interminabili di avventori impazienti di assistere all’ultima messa in scena di “Aspettando Godot”.

E la CULTURA? Si chiedono angosciati gli ospiti e la padrona di casa. Per sottolineare la gravità della situazione quest’ultima si mette a leggere un editoriale della signora Aspesi dal titolo lancinante: “Le nostre vite sfilacciate in una città ripiombata nel silenzio”. Poi prosegue col carico di un approfondimento su “La Repubblica”: “Senza amici, sport e primi baci: l’adolescenza dimezzata dal virus”. Straziante resoconto di vita vissuta che inizia con la dolente ma professionale consulenza di un insegnante di psicologia alla Cattolica di Milano, che, assai modestmente, nel suo blog si definisce “Soprattutto un papà curioso”: “Stiamo rubando loro il primo bacio o non abbiamo detto che era l’ultimo, chissà per quanto ancora”. La tristezza del papà si intreccia con la sapienza dello psicologo e , insieme, forniscono materiale di prim’ordine al telaio delle gazzette. Sono cose, si capisce, che strappano il cuore e segnano la vita.

Ma tra queste nuvolaglie da tregenda ecco, insperato e improvviso, un raggio di sole.

La maîtresse si asciuga subito gli occhi e raddrizza la schiena: “…ma sarebbe inutile – dice – sopravvivere al virus se l’economia va a rotoli”.

E dunque?

Ecco un elenco di imprenditori esemplari che, nonostante la pandemia (o magari, forse, anche grazie ad essa…) hanno colto l’occasione di innovare e incrementare la loro attività: “uomini e donne che SANNO FARE PROFITTI anche in questa situazione”. E’ evidente che secondo la tenutaria della casa questi profittatori sono un luminoso esempio per tutti.

Nessuno rileva la contraddizione fra questa affermazione e la esibita pretesa di salvare la famosa CULTURA. La colazione infatti, in questi localini alla moda, la si fa a base di luoghi comuni travestiti da pensieri geniali e paralogismi spacciati per senso comune.

Da una parte c’è la CULTURA da salvare anche a costo della vita (degli altri) e dall’altra c’è l’economia che va a rotoli. Perciò teniamo aperti cinema e teatri e salviamo, in un colpo solo, economia e cultura (oltre, ovviamente, all’apericena…).

Le due cose, in questo frangente, sembrano addirittura sposarsi.

Il fatto è che, per quanto le si voglia accoppiare, succede che quando una allarga le gambe l’altra sbadiglia. Copulano come il barboncino col peluche. L’economia essendo il cane e la cultura il peluche (l’apericena, in disparte, si fa, come sempre, una sega). Insomma…che l’economia vada a rotoli parrebbe una saggia e pensosa profezia.

In realtà è una tautologia.

Fin dai tempi della rivoluzione industriale l’economia non conosce altra modalità di locomozione che l’andare a rotoli. Il rotolamento le è connaturato come il barcollamento all’ubriaco. Le crisi globali sono il suo pane quotidiano e quest’ultima, in particolare, non ha certo aspettato il coronavirus per manifestarsi in tutta la sua virulenza.

Ma, dice, siamo preoccupati per la tenuta del sistema economico così come lo conosciamo.

Non è il caso.

Magari questo o un altro virus ci ammazzerà tutti ma, mentre tiri le cuoia, ci sarà sempre da qualche parte un broker che specula su te che stai crepando e una telecamera, in tinello, che aspetta il via del regista per riprendere il finale.

E, per quel che riguarda la cultura, è un bel pezzo che, per quanto lei sbadigli, l’economia se la tromba. Neanche questa, dunque, è una notizia.

Non si tratta perciò di salmodiare CULTURA per mettersi dalla parte della ragione. Si tratta piuttosto di farsi una ragione del fatto che CULTURA e mercato sono in contraddizione tra loro e la cultura è, sempre, fuori mercato. Per l’economia dunque la sua sopravvivenza non solo non è all’ordine del giorno ma, in sé, non ha alcun senso. Far finta che le cose stiano diversamente, stracciarsi le vesti per LA CULTURA è stupido se non infinitamente ipocrita. Perciò, cari, fate quello che volete coi cinema, coi teatri e con l’apericena ma smettetela con questa storia della SOPRAVVIVENZA DELLA CULTURA.

Il teatro? nella fantasmagoria generalizzata in cui siamo imprigionati è una pura ridondanza ed è già defunto da un pezzo; da decenni se ne assiste amorosamente il cadavere. Tenere in vita cosa? Una mummia? “Lo si faccia in nome della CULTURA!” tuona attraverso la folta e venerabile barba il professore, battendo la bacchetta sulla cattedra con l’indice per aria.

Ma dall’ultimo banco, calibrato, implacabile e sonoro, si leva un pernacchio…

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