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Ecologia o egologia?
A volte la letteratura, il cinema, le arti – proprio perché gli artisti riescono a vedere obliquamente le cose, i simboli e la trama della realtà, connettendone spesso gli elementi e filtrandoli attraverso una sensibilità tutta speciale – descrivono puntualmente ciò che avverrà o che s’immagini possa accadere, lasciando libero sfogo alla creatività e inconsapevolmente fornendo al potere uno straccio per scrivere la sceneggiatura della realtà che fa comodo rivelare in quel momento.
In questi tempi di ritorno massificato all’ecologismo, ritorno dal carattere soprattutto emotivo più che scientifico, in verità, chi ha più di cinquant’anni potrebbe ricordare – o fare lo sforzo di ricordare – un periodo del XX secolo in cui l’ardore ecologista era simile, se non addirittura di portata superiore all’attuale. La portata, o la sua percezione, era dovuta senz’altro all’esiguità dei mezzi di comunicazione di allora rispetto a oggi, dove tutto avviene e viene bruciato nell’arco di pochi minuti, mentre la permanenza delle idee e delle fedi, all’epoca, forse era più persistente. Per ciò che io ricordo, un’idea si formava ed era diffusa attraverso libri, incontri, scuole, circoli e nel corso del tempo quest’idea veniva letta, discussa, analizzata, rielaborata, confrontata e poi proposta e ufficializzata. L’immagine andava assumendo un ruolo sempre crescente e catalizzante e non c’era ancora la rete. Ciò poteva avere anche dei risvolti fideistici. D’altro canto la formula fideistica delle varie religioni e dottrine politiche fino a non molto tempo fa si svolgeva con un concetto e una percezione di tempo ben preciso, sempre più rapido, certamente, ma ancora in limiti in cui la mente poteva avere dei momenti per assimilare concetti e ragionarci, mettendo insieme le informazioni. Oggi il sapere a cui possiamo giungere è milioni di volte più vasto e rapido ma, paradossalmente, non tutti hanno i mezzi per discernere i frammenti di informazioni che ci arrivano, proprio perché la discussione e il confronto dialettico dal vivo vengono meno: si legge una cosa su wikipedia e la si dà per buona, come vangelo, e da lì si creano nuove dottrine o religioni, e l’approccio alle informazioni è quasi esclusivamente delegato all’emotività. L’emotività del momento, naturalmente, perché il vento può mutare improvvisamente, forse a causa dei cambiamenti climatici?
Senza star qui a derivare per strade impervie che si diramano in mille altre strade pur interessanti che chiederebbero giustamente di essere esplorate, proviamo a soffermarci brevemente sul tema dell’ecologismo. Da quello, magari, chi vorrà potrà anche usare lo stesso metodo per altri temi, perché poi è il medesimo.
Perché ho scelto l’ecologismo novello per parlare di questo paragone con un passato avanzato ma non trascorso? Perché, nello scorrere dell’inondazione inarrestabile di un semplice anno, in cui l’avvento della bambina superstar svedese che sembra aver inventato tutto e risvegliato, secondo lei e secondo molti seguaci, il mondo dal torpore, si sono verificate cose e sviluppate opinioni assai discordanti, forse anche per una ricerca e una riflessione che va al di là dell’emotività, cifra predominante anche in questa nuova ondata di ecologismo. Per arrivare addirittura al grottesco, o gretesco, visto il caso specifico, perché è innegabile che certe svolte della vicenda della paladina della lotta al cambiamento climatico siano comicamente tragiche o tragicamente comiche, sfumature diverse di un caso che ha, in ogni caso, risvolti sgradevoli.
Soffermiamoci per un istante al 1973. Mi ricordo molto bene di un film che andai a vedere con mio padre, che amava la fantascienza, i polizieschi, i thriller e le farse. Mio padre, per esempio, mi portò a vedere 2001 di Kubrik quando uscì, nel 1968; avevo otto anni e mi segnò, capii tempo dopo perché. Il film del 1973 è 2022: i sopravvissuti (Soylent Green), un film di Richard Fleisher basato sul romanzo distopico di Harry Harrison (nome stupendo ed evocativo per la fantascienza: Harry figlio di Harry, un patronimico inglese di origine remota, quasi fosse un tempo figlio di sé stesso) Make room! Make room! (Largo! Largo!).
Film e romanzo in realtà, pur conservando i personaggi e i luoghi, hanno trame molto diverse, anche perché devono parlare a pubblici diversi, e soprattutto perché tra il romanzo e il film sono passati ben sette anni e il mondo del 1966 e quello del 1973 era differente, per molte ragioni. Non ultima la Giornata della Terra del 1970, di cui ho già parlato nel mio intervento del 2 maggio 2019 su GSG.
L’indiscreto fascino della catastrofe. Come scegliere la propria à la carte – 2
Il luogo dove si svolge la vicenda, nel romanzo era una New York del 1999, lo scadere del millennio, un momento clou per la fantascienza e per le fantareligioni, mentre nel film è sempre New York ma nel 2022.
Vi si narra, in entrambi, di un futuro funestato dalla sovrappopolazione e dalla catastrofe ambientale che causa, ovviamente, problemi di alimentazione per l’enorme incremento demografico del pianeta. Nella sola città di New York vivono ormai quaranta milioni di abitanti, stipatissimi, il 99% in povertà assoluta, mentre solo una piccolissima élite può permettersi di fare una ricca spesa con qualche ortaggio, un frutto e poco più. La carne è un bene talmente raro e prezioso che si contano sulla punta delle dita le persone che possono mangiarla. L’élite vive in sparuti condomini con guardiano e, nel caso di uomini, poiché sempre maschi sono i dominatori, gli appartamenti vengono forniti con una bella e giovane donna a disposizione del cliente benestante, una prostituta che si guadagna la difficilissima sopravvivenza come schiava sessuale.
Nel film e nel romanzo, oltre alla condizione femminile, tema scottante di quegli anni – e anche dei nostri, dove qualcuno vorrebbe riaprire le case chiuse, senza neanche per un attimo fermarsi al perché avviene la prostituzione e a chi la dirige – ci sono anche considerazioni allegoriche rispetto al disastro che causa la mancanza d’istruzione e della sapienza. Tema attuale anche questo di cui oggi si dovrebbe parlare assai più che delle catastrofi climatiche, perché è la prima vera catastrofe che si porta dietro le altre. Si narra nel film di come nessuno, nemmeno gli intellettuali, si rivoltarono in tempo per evitare il declino culturale, causando l’immediata perdita della sapienza condivisa. Assomiglia a chi diceva e dice che colla cultura non si mangia.
Oggi, il 2019, a dire il vero, le città più popolose del mondo stanno in Asia, la Cina ne conta parecchie, oltre le prime tre della lista: Chongqing, con oltre trenta milioni di abitanti, seguita a ruota da Shanghai, ventiquattro, e Pechino, ventuno. New York è solo al ventottesimo posto con otto milioni. Di questi otto milioni il numero di poveri, comunque, cresce, pur senza raggiungere il parossismo del film.
Da sottolineare come, nella fantascienza anglosassone, i luoghi distopici siano spesso il Nord America, New York in particolare, devastata da tsunami causati da impatti astrali o scioglimento di ghiacci, o la Gran Bretagna, dove Londra è sempre il centro di epidemie, invasioni aliene o di piante geneticamente modificate, eccetera. L’anglocentrismo è una delle tante patologie letterarie ed è sintomo di una predisposizione culturale: noi siamo sempre il centro del mondo, nel bene e nel male.
Comunque, andiamo avanti.
A New York, nel 2022, non esistono più le stagioni, figurarsi le mezze stagioni, e ci sono perennemente 30° C. Niente più quei 20° sotto zero quando fischiava il venticello freddo dal nord, che ghiacciava qualsiasi cosa e che faceva proclamare quanto fosse meglio il calduccio piuttosto che il freddino.
Peraltro l’ambientazione in una New York tropicale, ma senza le palme da cocco, con corpi sporchi, sudati e devastati dalle malattie, anche perché l’acqua è una risorsa assai preziosa, insieme al cibo, l’energia, l’igiene, e tutte le comodità a cui siamo abituati, è in perfetto contrasto colle teorie scientifiche che andavano per la maggiore negli anni ’70. Infatti, proprio in quella Giornata della Terra del 1970, tutti gli scienziati avevano annunciato la glaciazione globale imminente, entro il 2000, anno fatidico del punto di non ritorno. Profezia che, come tutte le profezie millenaristiche e mediatiche, non si verificò, sebbene supportata da una mole antonelliana di dati e calcoli, con quadri e grafici compilati da scienziati, fisici, chimici, demografi, biologi, eccetera. Non si sa più qual è la vera fantascienza.
In quella New York un poliziotto, il detective Thorn (Charlton Heston), indaga sull’omicidio del ricchissimo William Simonson, funzionario del consiglio amministrativo della Soylent, l’azienda alimentare che rifornisce l’unico mezzo di sostentamento della popolazione: le gallette verdi che si dicono fatte di plancton, l’unica cosa che prospera in un pianeta arido e incoltivabile. Naturalmente anche le gallette sono razionate. In realtà Soy sta per soia e lent per lenticchie, due legumi proteici oltre all’aggiunta di alghe, che nel romanzo sono invece vere e proprie bistecche vegetali. Nel 1973, al cinema, era più efficace renderle più misteriose e quindi queste gallette tutte uguali figuravano meglio se prodotte col plancton essendo il pianeta desertificato, cavalcando la tigre ecologista del momento. Come se il plancton, in un pianeta inquinatissimo, potesse sopravvivere. Ma è un film, che pretendiamo…
In questa trama principale agisce anche un comprimario in un ruolo cameo, E.G. Robinson, nel ruolo del vecchio e saggio Solomon Roth, un ex-archivista che ricorda la bellezza del mondo prima della catastrofe causata dall’inquinamento.
Ad ogni modo, il nostro detective scopre, indagando e interrogando la concubina e la guardia del corpo del riccone, che dietro all’omicidio ci sta qualcosa di grosso. Talmente grosso che viene insabbiato volutamente da suoi superiori e che rappresenta un pericolo per la vita di Thorn perché si sta avvicinando pericolosamente alla verità: un sicario ferisce Thorn ma non lo uccide perché nel frattempo è scoppiata una rivolta e il sicario vi perisce. Thorn si rifugia dalla bella Shirl, la concubina-schiava del funzionario, che lo medica e con cui sboccia del tenero e successivamente decide di andare a trovare Padre Paul. Il parroco cattolico entra in gioco perché la guardia del corpo gli aveva rivelato che Simonson era depresso e andava spesso a confessarsi in chiesa da Padre Paul. Thorn vorrebbe saperne di più sulle confessioni ma non fa in tempo perché il prete viene assassinato e da chi? Ma dalla guardia del corpo di Simonson, naturalmente, che si scoprirà avere tutt’altro ruolo.
Thorn aveva sottratto due documenti dalla casa del ricco funzionario ucciso e Solomon, come ex-archivista, va all’Ente Supremo (!), che sarebbero i resti dell’apparato giudiziario degli Stati Uniti, per scoprire di che si tratta, venendo a sapere cose preoccupantemente stravaganti. Uno dei due documenti è una ricerca sull’estinzione del plancton, l’altro sulla composizione delle gallette Soylent. Ciò che Solomon apprende lo distrugge. Si reca così al Tempio, ossia un luogo dove si pratica il suicidio assistito, legalizzato e auspicato nel nuovo mondo: steso su un lettino, con uno schermo che proietta le immagini felici del mondo che fu e, al suono della Sinfonia Pastorale di Beethoven e del Mattino di Grieg, Solomon beve la sua cicuta nell’attesa della buona morte. Thorn riesce a raggiungerlo e a farsi rivelare la scoperta, poco prima della fine del vecchio amico, che gli dice anche di indagare sulla Soylent e il suo raggiro. Thorn allora, nascondendosi su un camion, segue il percorso della salma di Solomon scoprendo che i camion carichi dei corpi senza vita giungono allo stabilimento della Soylent e comprendendo che le gallette sono fatte coi cadaveri. Non rivelo il finale del film perché toglierei la suspense a chi non lo conosce ed io sono clemente.
Cominciamo a fare qualche piccola riflessione sulla realtà distopica e sul mondo in cui viviamo.
Di certo è interessante, vista l’epoca, un’attenzione al futuro e alle problematiche che il futuro poneva, altro che Greta. E se pensiamo che nel 1973 la popolazione del pianeta era quasi quattro miliardi di persone, cioè la metà di quante ce ne sono oggi, basta trasferire lo scenario del film altrove. Per esempio a Lagos, in Nigeria, con una metropoli di sedici milioni di abitanti o a Karachi, in Pakistan, che ne conta quindici, o altri agglomerati umani in Asia e Africa dove il rapporto tra ricchi e poveri potrebbe avvicinarsi a quello della New York distopica del film. Forse non si alimentano ancora coi cadaveri umani ma di quelli di rifiuti e di roditori sottratti alle fogne, probabilmente alcuni sì. Di insetti è notorio, tanto che da noi sta dilagando la nuova moda di cibo etnico a base di insetti, che narrano siano prelibatezze. Forse per prepararci a una sfornata di delicatessen Soylent a base di mosche e zanzare. Sembra che sul Lago Vittoria facciano gli hamburger di moscerini. Io preferisco sempre la cotoletta con purè di patate. Bisognerebbe conciliare le posizioni vegane di Greta e seguaci colle nuove esigenze alimentari dovute alla sovrappopolazione, ma lei si balocca coi suoi prodotti che vengono da chissà dove e difficilmente capirebbe. Come difficilmente capisce la situazione in cui si è andata a cacciare da sola per non prendere l’aereo, ora che, visti i disordini sociali che sta attraversando, purtroppo, Santiago del Cile, altra bella metropolona di sei milioni di abitanti con favelas periferiche, la conferenza sul clima è stata trasferita a Madrid. E ora come ci arrivo? Forse se Venezia, altra città a grave rischio per l’inondazione oceanica prossima ventura, mi prestasse il Bucintoro, fornito di rematori, potrei fare ritorno nella vecchia Europa, sbarcare a Cadice in tempo e poi arrivare a Madrid a cavallo. Di certo non posso chiedere ancora alla barchetta di Monaco di tornare a prendermi, e che è un tassì? Su, Venezia, che aspetti, a che serve tenere il Bucintoro nel museo? Intanto mi balocco con Di Caprio e discutiamo di cose interessanti.
Le incongruenze dell’ecologia lasciata ai bambini si presentano così in pompa magna, con risvolti ridicoli, che coinvolgono anche personaggi in aria di revival come Jane Fonda, o di Leonardo Di Caprio che cerca sponsor per nuovi documentari sulle presunte future catastrofi senza andare a cercare e capire il motivo di molte odierne catastrofi economiche e sociali nel mondo. Tutti si aggregano alla causa pseudo-ecologista, dimenticando o ignorando che in un passato non molto remoto ce ne si è occupati molto più di adesso, in proporzione, e non sempre con profezie veritiere. Perfino Carola Rackete che, pur capitana di una nave che, come tutti sanno produce un bell’inquinamento colla combustione dei carburanti che necessitano per la sua attività, ma se salva vite umane in pericolo è il male minore, oggi vuole viaggiare solo in treno perché viene definito più ecologico. Quando non tutti sanno che, calcolando il ciclo vitale del treno e di tutti gli annessi e i connessi, non è per niente così, risultando più inquinante dell’auto e dell’aereo. Siamo sempre lì, la demagogia e la superficialità. Nei film come nella realtà, dove sta la vera distopia?
Che cambiare si debba è assolutamente evidente, ma la strada romantica indicata da codesti nuovi ecologisti del venerdì sarà poi quella più opportuna? Potrebbe servire informarsi maggiormente su ciò che è accaduto in passato e cosa stia realmente accadendo oggi piuttosto che affidarsi all’emotività? I cinquecento scienziati dissenzienti, quelli della famosa petizione https://clintel.nl/wp-content/uploads/2019/09/ED-brochureversieNWA4.pdf, sono derisi o etichettati come venduti alle multinazionali, anche se stanno a capo di istituzioni statali prestigiose. Esistono altre liste, naturalmente, dove altri scienziati screditano l’opinione di quei cinquecento, dicendo che non sono esperti come loro, ognuno decidendo quali dati usare e come usarli e quali no e quindi come orientarsi, e la lotta va avanti così, senza che nessuno dei catastrofisti indichi le esatte maniere per ridurre a zero, ZERO, le emissioni serra antropiche entro un certo limite assai prossimo. Che significherebbe non respirare e non petare, cioè mission impossible. Ciò che la gente comune non capisce, infatti, è come codeste emissioni dovrebbero essere ridotte a zero, ossia come la vita del pianeta dovrebbe cambiare e quanto verrebbe a costare al singolo cittadino, che per lo più fa già i salti mortali per arrivare a fine mese, e soprattutto perché e per chi dovrebbe cambiare. Quali sarebbero le conseguenze delle rinunce, perché di certo si tratta di rinunce grosse, se viaggiare in aereo, in nave, in auto e anche in treno, diventa vietatissimo nel nome delle emissioni zero. Perché per nave, aereo, treno, gomma non viaggiano solo le persone per andare a fare shopping a Londra o nell’outlet a Barberino del Mugello, ma anche le merci e gli alimenti. Oppure riscaldarsi in inverno perché non ci sono ancora perennemente 30° C come nella New York del film. Mai nessuno si è preso la briga di spiegare al cittadino che non sa nulla del perché si dovrebbe fare una scelta di decrescita così infelice e, assai probabilmente, inadeguata e vana. Come mai nessuno si è preso la briga di proclamare che il vero problema è la sovrappopolazione. Se il consumo eccessivo e tutto ciò che il consumo comporta sono il problema non si può che concordare che sia la sovrappopolazione a causare consumi esponenzialmente. Anche perché la gestione degli spazi in cui tutta questa popolazione soprannumeraria deve vivere causa necessariamente dei consumi, a cominciare da quelli energetici e logistici, i servizi, innanzitutto. Cosa che manca totalmente nelle megalopoli africane, sudamericane e in molte asiatiche dove gli spazi sono assolutamente gestiti in maniera anarchica o non sono gestiti affatto. Chissà se questa paura di dichiarare che bisogna fare meno figli, senza obbligo per nessuno, naturalmente, non nasconda il terrore delle destre della famosa sostituzione etnica così tenacemente urlata, col sostegno a certe famiglie “naturali” e all’ostilità verso le adozioni dei figliastri per le coppie omosessuali. Le adozioni allevierebbero, al contrario, parecchi problemi, proprio perché toglierebbero dei bambini da situazioni difficili in altri paesi o nello stesso paese della coppia e non farebbero aumentare la popolazione. Ma qui l’ostacolo è assolutamente irrazionale ed è uno degli argomenti demagogici di cui si fanno promotrici le destre colla triade ormai stantia di Dio, patria e famiglia. Quale dio, quale patria e, soprattutto, quale famiglia? Gli esempi di quel dio, quella patria e quella famiglia mostrebbero dei disastri se andassimo a sbirciare attentamente nella realtà quotidiana. Prima i bambini italiani, gli altri sono rifiuti. Questo è il futuro proposto da quelle menti eccelse. Poi, se bambini italiani non ce n’è perché non se fanno per i motivi più vari, il grottesco enunciato sprofonda nell’abisso della barbarie.
Per di più l’aumento dell’età media della popolazione, almeno nei paesi più ricchi ed “evoluti”, in concomitanza colla diminuzione delle nascite, sempre in questi paesi, crea un altro tipo di problemi legati all’assistenza e alla sussistenza di tante persone anziane che hanno anche un costo in termini di consumi e supposto inquinamento. Proprio quelle persone anziane che sono viste come un ostacolo, una palla al piede da chi vorrebbe togliere loro il voto, addirittura, una classe di persone egoiste che non vedrebbero altro che sé stesse, e che non penserebbero al futuro dei loro figli e nipoti. Figurarsi se non ci pensano! Sono costernati per l’inadeguata classe politica che ha governato da decenni e governa ancora e che tappa buchi col nulla perché non è in grado di programmare alcunché. A volte, proprio quegli anziani, si astengono dal votare non perché gli sia vietato ma perché la scelta che viene proposta è semplicemente oscena, da parte di tutta la politica, nessuno escluso, e sono stufi di turarsi il naso sempre e comunque, dopo averlo fatto per una vita. Ma il loro potere è minimo, in questa democrazia. Votare idioti o furfanti non è una scelta, è una presa in giro. E non è gradevole sentirsi dire, per chi ha vissuto una vita intensa, ha lavorato duramente, ha prodotto per sé e per gli altri, che non serve più, che è solamente un impiastro inutile e che è meglio che non voti perché fa danni. Che si fa, si uccidono gli anziani e se ne fanno gallette Soylent? Una volta che gli anziani non servono più che valore hanno? Sono una zavorra, no? Non potrebbero forse fare più danni i sedicenni che si vanno a disfare il cervello colla codeina o mille altre sostanze in discoteca o nei pub, santuari della moderna gioventù in aumento e luoghi dove il consumo di qualsiasi cosa, dalle droghe, al sesso, all’alcool, al rumore oltre ogni soglia di tollerabilità, è la legge, uscendo dai quali colle menti sconvolte provocano incidenti mortali per sé e per persone che non c’entrano nulla coi loro limiti superati? Le cronache settimanali sono piene di eventi luttuosi post-edonistici. Adolescenti immaturi con ego ipertrofici e non sorvegliati a cui tutto viene concesso e che credono che il futuro e il mondo siano esclusivamente loro, ma per loro intendono loro stessi non un “loro” collettivo. E i loro genitori, dove sono, a rubar loro il futuro? Gli adolescenti non mostrano di riconoscere il polso della realtà, oggi meno che mai, anche se ce n’è pochissimi coscienti e vigili, ma sono forse una minoranza. Però la demagogia imperante da Grillo a Letta a chiunque altro sia disposto a cavalcare la tigre del momento, vorrebbe premiarli per avere i loro preziosissimi voti e li adulano. In fondo sono i nuovi buoni selvaggi roussoiani… se Rousseau tornasse in vita e vedesse a cosa il suo nome è stato associato suppongo che darebbe fuoco alle piattaforme e a chi le ha inventate, direttamente e senza passare dal via. E forse sarebbe un severissimo preside di liceo che sequestrerebbe tutti gli smartphone degli allievi ogni mattina all’ingresso e boccerebbe gli asini.
Tornando alle grottesche evoluzioni degli eventi, affidati al dissenso isterico di una bambina che ha comunque dei problemi egologici a causa della sua sindrome e di chi l’ha alimentata, secondo me il mondo adulto dovrebbe riflettere meglio. E studiare. Da subito.
Concludo con un proverbio suggeritomi da un assai arguto amico napoletano, un grande artista che, come scrivevo all’inizio, sa osservare attraverso le cose e centrare il bersaglio: “Chi se mette cu’ ‘e criature, cacato se trova“.
© Novembre 2019 Massimo Crispi
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