Costume
Donne e cucina: se il potere di lei passa tuttora dai fornelli
“Peggio di una donna che sa cucinare e non cucina è quella che non sa cucinare ma cucina lo stesso”, dice l’Anonimo saggio, scandendo un credo duro a morire. Una donna che non sa cucinare è ciò che un uomo su due assimila ad un destino avverso. Difatti, alla domanda che cosa si aspetta dalla ragazza che ha o che avrà accanto, lui risponderà: “che sappia cucinare o che sia disposta ad imparare”. Non diversa la prospettiva tracciata da un’altra donna, specie in veste di suocera. Nell’immaginario collettivo medio una signorina – oltre che curata, simpatica, intelligente e tutto il meglio auspicabile – deve essere brava ai fornelli. Le doti culinarie sono difatti la chiave di accesso al cuore del partner, della sua famiglia e di quella a venire: per la serie dimmi come cucini e ti dirò se posso presentarti ai miei. Ma non lo scopriamo oggi.
Negli anni Cinquanta un’ironica Winifred Wolfe delinea un personaggio senza tempo. Si tratta di Lena, la protagonista de La donna di pietra, un classico della narrativa americana. Lena è una donna impeccabile. Cucina, rassetta, organizza superbi party per i suoi bambini. A differenza di sua sorella, è una massaia perfetta. Il marito, la famiglia e i vicini la venerano. In poche parole, Lena ha il mondo in pugno. Ce l’ha perché prende tutti per la gola ed è brava nelle faccende di casa. Roba antica, superata, dite? E invece no: battaglie su battaglie per l’emancipazione femminile non sono riuscite a sdoganare, specie al Sud Italia, il mito che una donna è giusta se conosce l’economia domestica, ma soprattutto se sa cucinare.
Donne, a me le orecchie. Potrete innalzare grattacieli, fondare case di moda, diventare avvocati di grido, imprenditrici creative, giornaliste, impiegate. Eppure, nessun merito lavorativo, nessuna promozione, nessun doppio salto mortale per incastrare gli impegni dell’ufficio e l’appuntamento con la lavatrice, vi varrà un riconoscimento speciale la domenica durante il pranzo o a Natale, famiglia al completo. Perciò questo pezzo è per voi. Per voi che da piccole emulavate Jo March, che avete puntato tutto sull’indipendenza economica, che avete studiato, studiato, studiato convinte che il mondo vi avrebbe perdonato l’impaccio davanti a mestoli e fornelli, che davate dell’antiprogressista a vostra nonna (“nipote mia, senti a me, certe cose non cambiano mai: due cose legano un uomo a una donna: la cucina e il sesso”). Così, adesso vi vedo in compagnia di genitori, zii, cugini, compagni di vita e suoceri che tessono le lodi di una certa Berta, o come si chiama, tanto brava a impastare, a sfornare manicaretti e dolci, a preparare persino i liquori. Una regina della casa, per dirla alla De Filippo, che ad immaginarla fa brillare gli occhi.
Voi state zitte. Non ve la sentite di sminuire cotanta arte, né l’entusiasmo dei familiari. Qualcuno vi guarda di sguincio, come a redarguirvi della vostra mancanza, o forse è un’impressione, frutto dell’insicurezza. E siccome non esiste ragione per sentirvi in difetto, vi lambiccate il cervello in silenzio: perché questo processo se alla fine della fiera mi guadagno da vivere e non chiedo niente a nessuno?
Succede perché siete la figlia, la nipote, la moglie, la mamma con la macchia. Segno particolare: non sapete cucinare. Non importa chi voi siate, se nel tempo libero dipingiate, cantiate o chissà cosa. In certe occasioni vale solo che non siete in grado di distinguere uno stufato da una zuppa. Non prendetevela, ognuno ha i suoi punti di forza, tutto sta nel farlo intendere. Ma se volete correre ai ripari, un consiglio: non ovviate con il taglio e il cucito o l’uncinetto, manchereste di nuovo l’obiettivo. Una calda sciarpa colorata non avrebbe sugli altri la stessa presa di uno sformato patate e funghi. E non provate nemmeno a spiegare che i tempi sono cambiati, che ormai le relazioni, le convivenze, i matrimoni presuppongono un coinvolgimento del maschio anche in cucina e bla bla bla: non servirebbe a nulla. Il punto resterebbe lo stesso. Siete imperfette e dovete rimediare.
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