Costume

L’Università che non vogliamo

21 Luglio 2015

Da questo momento dimenticatevi di chiedermi chi sono o cosa faccio. Questa informazione non è più indispensabile. Non serve. Sono semplicemente uno dei tanti, uno che, come tanti di voi, ha subito e subisce una ingiustizia. Può accadere ad ognuno di subirne nella vita. La cosa che, purtroppo, non accade quasi mai, è decidere consapevolmente di denunciarla, farlo pubblicamente, e farne un elemento di dibattito, di battaglia per cambiare le cose, pagandone sulla propria pelle le conseguenze. Non sembri eccessivo il paragone, ma il meccanismo psicologico è simile a ciò che succede quando una giovane donna deve denunciare la violenza sessuale subita. Se non esistesse quella mentalità comune diffusa, spesso intrisa di maschilismo più o meno latente, tutto sarebbe molto più facile per lei. E’  evidentemente una questione culturale ed educativa ancora prima che politica o legislativa. Lo stesso avviene per chi vuole segnalare all’autorità competente, per amore di onestà e di verità, anche solamente per principio, un sopruso, una ingiustizia o un inganno perpetrato da un gruppo, da una lobby, da un sistema, a spese di un individuo.

Certo, la verità, direte voi, è sempre di chi la racconta. Molto spesso dipende dall’angolazione da cui si guardano i fatti. A prima vista, come dissero durante una seduta del processo Moro, potrebbe somigliare a quando si getta un sasso nell’acqua. Il sasso va subito a fondo, e in superficie si formano tanti cerchi concentrici, ognuno dei quali assume una sua vita propria. In base alla forma e alla pesantezza del sasso, o al modo in cui viene scagliato, i cerchi possono essere moltissimi o apparentemente invisibili. Da ragazzo conoscevo un gran tiratore di sassi. Era abilissimo a farli rimbalzare a pelo d’acqua per diverse volte. Ma se non ci si fa fuorviare dalle apparenze, se si riesce a tenere ferma nella mente l’idea del sasso, anche quando non si vede più ed è ormai andato a fondo, allora sì che si può anche riuscire ad avvicinarsi il più possibile all’unica verità dei fatti.

Sono passati più di tre anni e mezzo da quei giorni che hanno mutato radicalmente la mia vita, e questa storia ancora mi ossessiona e lo farà finché non avrà il suo esito, bello e brutto che sia. Sono state scritte sentenze di condanna per chi ha manipolato il concorso (che creano un importante precedente giuridico sui concorsi universitari e sui giudizi insindacabili delle commissioni, in particolare riferimento alla congruità del settore scientifico-disciplinare bandito), con tanto di segnalazione alla procura della Corte di conti per danno pubblico, sono state svolte interrogazioni parlamentari, fatte segnalazioni al ministero della pubblica istruzione, pubblicate sfilze di articoli sui quotidiani. Sono state spese, privatamente e pubblicamente, tante , tantissime, forse anche troppe, parole.

Tre cose, più di tutte, ricordo: la strada tortuosa e impervia che percorrevo in auto e che mi portava lontano dall’aula il giorno del colloquio, mentre alcune persone decidevano l’esito di quel concorso e della mia vita futura, determinando, in parte, tutto ciò che sarebbe accaduto dopo, con una serie di reazioni a catena. Poi, ricordo le parole di un amico che mi metteva in guardia, preoccupato, dicendomi che tutto sarebbe cambiato per me se avessi denunciato pubblicamente l’accaduto. Infine, ho impresse nella mente le sottili, quasi garbate, minacce di un docente, “la strada da te imboccata ti potrebbe mettere in una posizione difficile da reggere, hai mosso accuse che suonano offensive, e se tu non riuscissi a dimostrare le tue accuse, ti troveresti a mal partito, qualcuno potrebbe essere anche indotto a querelarti per dovere di difesa del buon nome…tu sei in una posizione fragile e questa vicenda ti lascerà, comunque vada, con l’amaro in bocca”.

Così, difatti, è stato. Non nel senso che non sono state dimostrate le accuse, anzi, ma il risultato è stato, come diceva lui, nonostante tutto, l’isolamento. Ecco cos’è il nostro Paese. Se ti esponi, se la tua voce va fuori dal coro, si finisce con l’essere, comunque e alla lunga, più deboli. Pur con sentenze favorevoli, disposizioni di indennizzo e quant’altro, ad oggi, nulla di ciò che è stato deciso dalla magistratura, a più livelli di giudizio, è poi stato effettivamente attuato dall’università, né il risarcimento del danno, né il prosieguo del contratto (sull’argomento basta fare una rapida ricerca in rete per trovare ampio materiale di ogni tipo). Evidente ritorsione per la denuncia fatta. Ecco cos’è la nostra Università. Mi pare, infatti, che i particolari guai della Nostra nascano, anche, da una continua forma di doppiezza di chi la rappresenta a tutti i livelli, un gioco della doppia verità. E’ un gioco che può continuare a svolgersi e a scorrere, per mesi, per anni, per decenni, senza che nessuno, al suo interno, si scomponga. Giovane o vecchio che sia, con te, in privato, giudica ignobile una persona, un fatto, un comportamento, e un momento dopo, con gli altri, e ancor di più in pubblico, farà finta di nulla, sminuirà le cose. Si riempie la bocca con grandi discorsi generali sulla moralità e sulla giustizia, e poi sottobanco truccherà le carte o, nella migliore delle ipotesi, vedrà truccarle e si volterà dall’altra parte, tanto nessuno lo saprà mai. Finché non sarà scardinato alla radice , nelle nuove generazioni di studiosi, ricercatori, dottorandi, studenti, questo modo di pensare, nulla potrà cambiare e l’Università sarà ancora quella che noi tutti non vogliamo. Inutile lamentarsi della progressiva carenza di fondi, inutile rimpiangere l’inesorabile abbassamento del livello di corsi universitari un tempo invidiatici all’estero, inutile lagnarsi dell’elevata età media dei docenti universitari, inutile criticare la bassissima capacità di interazione tra università italiane e straniere, tra università e centri di eccellenza di vario tipo e settore, tra università e aziende pubbliche o private, tutte cose perfettamente vere e incontestabili, ma che, senza questo cambio di passo, di mentalità, di comportamenti fondati sull’etica pubblica e sul senso di giustizia, sono ben poca cosa.

Quello che inizia oggi con questo post non lo troverete tra i documenti ufficiali, è, invece, una sorta di diario in pubblico, un lungo racconto in pillole, di ciò che è accaduto da quel momento ad oggi, dietro le quinte. L’oggetto dei miei pensieri, sociologicamente, sarà l’Università e i suoi mali, vista dal di dentro, da uno che è stato dentro il suo ambiente per anni e anni, un tema di cui conosco bene le dinamiche e i risvolti. Ma si tratta, chiaramente, di uno spunto per parlare, in realtà, della società italiana più in generale, e anche di molto altro, di psicologie, di rapporti umani, di Storia e di storie. In attesa di tornare, si spera quanto prima, ad occuparmi, a scrivere, a insegnare, gli argomenti che sono sempre stati nelle mie corde, cioè a dire laicità e diritti civili. Aggiungo che ingiustizie come questa accadono, ogni giorno purtroppo, in tutti i rami e i settori del mondo del lavoro, manuale o intellettuale che sia. Hanno spesso le stesse logiche, le stesse dinamiche, gli stessi congegni. Ed è uno dei principali motivi, al di là delle carenze decennali della classe dirigente e politica, al di là delle mafie di vario tipo, per cui il nostro paese arranca e perde il passo rispetto agli altri paesi più avanzati: favoritismi, raccomandazioni e abusi di vario genere, portano nei posti giusti le persone sbagliate, e questo meccanismo comporta la perdita per strada di una grande fetta del prodotto interno lordo nazionale.

Per questo motivo, raccontare questa storia è un po’ come raccontarne tante altre, rimaste nel silenzio, nell’ombra, per tanti motivi, non ultimo il timore, probabilmente giustificabile, ma non certo condivisibile, di essere  emarginati e isolati.

L’inizio di questa storia è chiaro e ben definito, la fine della medesima la vivremo insieme proprio da queste pagine. Anche in questo caso, infatti, vale la bella frase di un grande maestro di nome don Milani riferita alla politica ma che si può applicare, più in generale, alla vita di ognuno: l’essenziale per mettersi alle spalle i problemi è di uscirne insieme. E’ quello che proverò a fare, dunque, insieme a voi.

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