Costume

Danni collaterali

29 Aprile 2022

“Che impressione ha avuto di tutti questi italiani?” mi chiede De Nittis uscendo da casa Corazza. “Nessuna. C’erano dei romani, dei veneziani, dei napoletani; è un popolo composto di popoli diversi…” “A me – ribatte – fa l’effetto di una società di ruffiani…”

Edmond de Goncourt, Diario

 

Il delirio mediatico nutre il delirio dell’opinione pubblica e a sua volta se ne nutre. E’ un circolo (e un circo) itinerante. Una ruota che va avanti senza meta. Può andare dappertutto anche se non va da nessuna parte. Nessuno può vantarne il controllo anche se qualcuno, occasionalmente, può, agitandosi inconsultamente diminuirne o incrementarne la velocità. Ci investe, per adesso, una ondata di sentimentalismo bellicista. Sembra un ossimoro ma basta sfogliare un giornale o accendere la tv per rendersi conto che non lo è e comprendere a perfezione cosa questo voglia dire: un giocattolo tra le macerie che liscia il pelo alle mamme e ai papà di tutto il mondo perché mandino più missili e ci si muova più alacremente verso la guerra totale.

Ma non credo che, in questo caso, si tratti solo del classico cinismo professionale con cui i media svolgono per contratto la loro funzione. C’è anche quello, ma non basta.

E’ come se qualcosa di dirompente si fosse verificato a profondità abissali, in mezzo all’oceano. Silenzioso e terribile questo evento spaventoso, forse una esplosione oppure uno sconvolgimento tellurico, ha proiettato in ogni direzione le sue terrificanti onde d’urto.

Gli effetti sono impressionanti.

Notorie mezze seghe diventano improvvisamente assertive e si mettono a sbattere i pugni sul tavolo intimando il silenzio a chiunque non marci al passo dell’oca, ridicoli gagà le cui armi d’offesa erano, fino a ieri, solo le loro spaventose cravatte esigono oggi che la Nato e l’Europa intervengano militarmente con maggiore decisione, personaggi notoriamente rotti a ogni compromesso e disposti a qualsiasi umiliazione per fare carriera pretendono “una ferma reazione morale dell’occidente” e che quest’ultimo non si faccia mettere i piedi in faccia da nessuno, come invece fanno loro per abitudine e convenienza.

Insomma tutto questo non si può spiegare soltanto col cretinismo o con il conformismo.

Deve esserci qualcos’altro.

Una bella guerra, io credo, è vista da questi individui come occasione per scrollarsi di dosso insulsaggine e fatuità reclamando in cambio qualcosa di finalmente decisivo.

Fosse pure una catastrofe. E di ergersi senza alcun rischio, nella loro pur modesta elevazione, in nome di quelle alate parole con cui ebbero un paio di volte a che fare sull’abbecedario alle elementari (LIBERTA’, POPOLO, GIUSTIZIA ecc.).

Penso, per esempio a una Boralevi, a una Sattanino…ma se devo essere sincero penso soprattutto a lui: ad Antonio Caprarica.

Lo si immaginava con la bombetta e invece eccolo con l’elmetto.

Lo si ipotizzava in frac – magari usato – e invece si è messo la mimetica.

L’abbiamo pensato mille volte in forma di miniatura di marzapane sopra una torta nuziale col sorriso dello sposo o del padre della sposa e invece presenzia alla cerimonia con la cartuccera e le bombe a mano.

Adesso giganteggia ogni sera come Rambo col mitra, sullo sfondo corrusco delle acciaierie di Mariupol avvolto nel drappo dei martiri ucraini.

Sembra già pronto al sacrificio, anzi già disteso sull’affusto del cannone.

E non importa che per tornarsene a casa lasci poi la bomba e si riprenda la bombetta.

Il vecchio, caro, dolcemente inutile, Caprarica che si presentava all’ora del tè per non dirci niente è definitivamente scomparso. Ora vuol dirci qualcosa. Purtroppo. Ma a noi resta pur sempre l’amaro in bocca e la nostalgia per la sua pochezza di prima.

Perché quella di adesso è, lasciatemelo dire, sconsolante.

Sono i danni collaterali di questa guerra. E non è detto siano i meno gravi.

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