Costume
Dacci oggi il nostro lager quotidiano
Chi ha ideato questa terribile immagine diffusa per i social e inviata con un sorriso amaro su whatsapp, in questi giorni in cui ci si scambiano freneticamente messaggi e foto per non deprimersi troppo, non è una persona con cattivo gusto.
Potrebbe, al contrario, essere uno di quei lucidi redattori satirici di riviste come Charlie Hebdo o Il Male, o un vignettista come Vauro o Altan o decine di altri che sanno come comunicare un disagio attraverso una vignetta d’impatto. Coloro sanno bene come entrare nel vivo di una questione, scioccando, inimicandosi la morale comune, la quieta mediocrità, il buon senso. Non a caso molti politici s’indignano, perché la satira fa sempre centro, spesso in maniera sgarbata ma è il suo mestiere. I politici più furbi invece sono molto contenti della satira perché fa loro pubblicità gratuita e ci ridono su. Ne abbiamo di questi casi, a vagonate.
Questa immagine che ho scelto come apertura, in un’epoca come quella che stiamo globalmente vivendo, ci racconta tante cose. Forse più di quelle che l’autore immaginasse, perché c’è sempre qualcosa d’inconscio che emerge, e questo qualcosa è anche legato ai nostri archetipi. Lo sapevano benissimo Freud e soprattutto Jung.
Lo slogan, innanzitutto. Andrà tutto bene. Non si ripete altro, manoscritto sulle lenzuola e appeso ai balconi dei cittadini prigionieri in casa, annunciato con sorrisi sfavillanti da presentatori televisivi, dalle suore che si sono prestate a un video ottimista, anche perché l’acquasanta per Brosio non può mai e poi mai contagiare nessuno. “Andrà tutto bene” è poi nientemeno che il titolo di una canzone, udite udite, della band ZeroZeroAlfa, gruppo musicale di riferimento di Casapound e risale a una decina d’anni fa. Vedi quanti significati già si vengono a scoprire dietro un innocente e augurale slogan.
La disperazione per una qualche cosa che non si conosce, come un virus apparentemente nuovo, che non si sa come si comporta e che comunque uccide le persone più deboli, strumentalizzato da questo o quel virologo, da questo o quel politico, da chiunque, e oggetto di discussione ormai di tutti, anche perché non si parla d’altro in tv, è alla base dell’immagine. Lo slogan sostituisce quello altrettanto ipocrita e atroce, Arbeit macht frei, il lavoro rende liberi, che campeggiava sull’ingresso dei campi di concentramento nazisti, dove ebrei, omosessuali e zingari erano concentrati, pronti per lo sterminio, dopo un’eventuale schiavitù.
Oggi tutti, in caso di discriminazione o genocidio, probabilmente porterebbero una maglietta con su scritto “Je suis juif” “Je suis gay” “Je suis tzigane”, dopo la tragedia di Parigi. E infatti oggi qualsiasi slogan viene appeso alle finestre, ricamato a punto croce su lenzuola, scritto con pennarelli, graffito sui muri, eccetera. Qui, stando sull’insegna all’ingresso di un lager nazista, rigorosamente in una foto in bianco e nero, lo slogan riporta alla memoria storica di un tempo assai buio come quello della seconda guerra mondiale. Ci ricorda anche, quindi, che siamo in guerra. In guerra globale, perché qualsiasi luogo può diventare un campo di concentramento da cui è impossibile evadere. Come in quei lager, di certo assai meno confortevoli delle nostre case, fuori ci sono i militari. Finora tranquilli, perché siamo solo alla prima quindicina di giorni, ma già arrivano altri allarmanti segnali che il soggiorno coatto, unica arma contro un virus letale, si protrarrà.
L’altro ieri, sempre per whatsapp, girava un messaggio con un documento pubblicato dalla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, datato 17.03.2020 annunziando l’entrata in vigore del DL nr 18. Vi si dice che le scadenze di patenti di guida, revisioni di auto e coperture assicurative vengono prorogate vista l’emergenza sanitaria. Ma non di quindici giorni o un mese. Il punto 2 dice chiaramente che i veicoli che dovrebbero essere sottoposti a revisione periodica entro il 31 luglio 2020 sono autorizzati a circolare sino al 31 ottobre 2020. Questa è la data più postergata di tutte. Ovviamente c’è un messaggio in questa comunicazione, non sono date messe a caso. Vuol dire che la scadenza di questa emergenza finora è fissata, al più tardi, al 31 ottobre prossimo, ossia tra sette mesi e mezzo. Ed ecco il lager che si va delineando sempre più chiaramente intorno a noi. Già da stamani viene detto che tutto resterà chiuso ben oltre il 3 aprile, forse fino alla fine del mese, poi si vedrà.
Facendo dei parallelismi collo sterminio nazista, ormai ben presente nell’immaginario collettivo grazie a un’informazione culturale molto vivace fatta di narrativa, cinematografia, documentaristica, e così via dal dopoguerra in poi, e di giornate della memoria che, ipocritamente, non nominano quasi mai gli omosessuali, i disabili e gli zingari ma solo gli ebrei, bisogna attualizzare queste categorie colla globalizzazione. Adesso i reclusi in un lager non sono solo quelle classi di persone sgradite al nazismo ma tutte le comunità del mondo, perché il coronavirus ci prende tutti, senza alcuna distinzione sociale e razziale. Dal particolare si va all’universale e quest’universale proprio non ci piace, tant’è che si ricorre a un’immagine che ci fa orrore per l’orrore che il lager è stato nella realtà storica. In più il nemico è invisibile, subdolo, senza ideologie o religioni né appartenenze economiche. La Totentanz volteggia intorno al ricco e al povero, al soldato e all’imperatore, al laico e al prete. Ma ci dice di più.
Lo slogan è sempre la sintesi più efficace per trasmettere un pensiero col minimo delle parole. Tre parole per lo slogan nazista, tre parole per lo slogan italiano, una principale sintetica. Ipocrita l’uno e ipocrita quest’altro, perché non andrà tutto bene così come quel lavoro non rendeva liberi. Non può andare tutto bene se molte persone muoiono, e nemmeno i loro cari possono assistere al rito funebre, importante perfino per i pagani. Sepolti, cremati, e via. Il lager tiene prigionieri. E le persone muoiono a causa di un virus, certo, che poi si comporti anche come virus opportunista ha poca importanza; nel frattempo i soggetti a rischio hanno meno possibilità di farcela e questo in un mondo che cerca sempre di prolungare la vita, spesso anche camuffandola attraverso la chirurgia estetica, è inaccettabile. Non può andare tutto bene colle attuali strutture sanitarie, già sfregiate da un’incuria governativa pluridecennale, da un frazionamento della sanità da nazionale in regionale che ha mostrato, nell’emergenza, tutte le sue falle e tutti i suoi orrendi traffici con le ditte appaltate, cosa di cui non si parla mai abbastanza. Nel frattempo i presidenti delle Regioni litigano tra loro e col ministero per gli ovvî intralci, per gli ovvî ritardi, per le ovvie carenze: tutto frutto della politica, politica avallata (talvolta no) dal voto degli elettori che ha portato al potere chi prometteva questo e quello, dal milione di posti di lavoro alle pensioni per tutti, e invece tagliava sui servizi sanitari e sull’istruzione e produceva esodati e altri disastri. Taglia di qua e taglia di là alla fine resta solo l’osso del prosciutto. E le vittime siamo noi. Quindi non andrà tutto bene e soprattutto il lager di quell’immagine rischia di traslare il suo significato come sepolcro collettivo. Anche la speme, ultima dea, fugge i sepolcri.
Ma non finisce qui. Chissà se chi ha ideato quest’immagine ci ha pensato. Mentre il lager era comunque un’enclave minima in un mondo che funzionava in maniera completamente diversa a spese della comunità reclusa, un lager globale è l’enclave di sé stesso. Tutto ciò che esiste fuori dall’odierno lager non è utilizzato da una classe dominante che beve champagne e festeggia, né c’è un’alleanza che combatte per liberare i reclusi dal lager, anzi si avverte con messaggi larvati che il lager avrà vita lunga perché il nemico non è visibile. Non è possibile perché avrebbe poco senso, anzi nessuno. Certo, un lager può essere arredato meglio di altri, e chi ha una casa spaziosa ha una prigionia più confortevole di chi vive in un monolocale, magari in due o più. Ma sempre lager è.
Perfino un messaggio come quello strampalato di Zaia e dei suoi 11.000 tamponi al giorno, assolutamente inutili e impossibili da fare, che relegano la comunicazione, come sempre, a pura demagogia, contiene un risvolto interessante; che è un avvertimento sul prolungarsi della prigionia. Se si divide la popolazione di 5 milioni di abitanti per la cifra suggerita dall’illuminato governatore del Veneto, a parte l’impossibilità materiale di condurre l’intervento per tutta una serie di complicazioni operative, si ottiene la cifra di 454 giorni. 454 giorni solo per eseguire (non portarli a termine) i tamponi per stabilire la positività della popolazione dell’intero Veneto. Oltre un anno. Il che significa che solo per rendersi conto dei positivi se ne vanno 454 giorni. E nel frattempo che succede? In Veneto e altrove, perché il mondo è vasto e piccolo al contempo e travalica i confini della Serenissima. Il messaggio, sicuramente inconscio da parte di Zaia, è che quest’orrore durerà parecchio.
Il lager è la metafora della gabbia che l’umanità si è cucita addosso da sé. Chi ha ideato quell’immagine ha la vista lunga.
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