Costume

Cuzzilla e Perrone ci raccontano l’evoluzione da bamboccioni a choosy

16 Febbraio 2024

La prospettiva di “stare bene” sul luogo di lavoro diventa una necessità urgente in un mondo che cambia sempre più rapidamente, e che calo demografico, crisi climatica e disuguaglianze sociali mettono a dura prova. Stefano Cuzzilla (presidente di Presidente di Federmanager) e Manuela Perrone (giornalista del Sole 24 Ore) presentano un saggio indispensabile per orientarsi negli anni a venire, anni in cui desideri, ambizioni e sostenibilità sociale non saranno più vissuti come fastidi, ma come possibilità di crescita e benessere.

Pubblichiamo un’estratto dal saggio Il buon lavoro (Luiss University Press). Ringraziamo l’editore per la disponibilità

C’è una generazione che più delle altre incarna l’avanguardia del cambiamento dell’atteggiamento degli individui nei confronti del lavoro: gli Zoomer, la Gen Z, che comprende i nati tra il 1996 e il 2010, i figli della Generazione X (1965-1980) e degli ultimi Baby Boomers. Nativi digitali, perennemente connessi, abituati agli algoritmi che selezionano gusti e preferenze, stanno riscrivendo la grammatica del rapporto con il lavoro esprimendo preferenze e aspettative che gli esperti di risorse umane faticano a recepire e a decifrare.

Le richieste in termini di work-life balance, lavoro ibrido, formazione e orari – fattori ritenuti fondamentali, spesso più della retribuzione – sono frequentemente percepite come pretese incomprensibili e ingiustificate, soprattutto quando si tratta del primo impiego. Ugualmente difficile da comprendere è l’attenzione rivolta alla missione e al set di valori, con una sensibilità particolare nei confronti della sostenibilità e del cambiamento climatico: nell’azienda i più giovani cercano di potersi riconoscere a tutto tondo. Anche qui non siamo davanti a un fenomeno del tutto imprevedibile. L’invito a non essere troppo choosy, ossia schizzinosi o altamente esigenti, nella selezione delle proposte di lavoro era arrivato già nel 2012 dall’allora ministra del Lavoro, Elsa Fornero. Prima ancora, nel 2007, il ministro delle Finanze Tommaso Padoa-Schioppa durante un’audizione in Parlamento aveva chiamato “bamboccioni” i giovani che restavano a lungo in casa con i genitori, proponendo di introdurre incentivi per convincerli a lasciare il nido e rendersi autonomi.

È vero, come riconosce Orioli, che l’atteggiamento della Gen Z può essere considerato una reazione a quella solidarietà intergenerazionale che almeno in Italia ai loro occhi si è rivelata una beffa, permettendo la contribuzione per garantire l’uscita dal lavoro delle generazioni che hanno scritto le regole e li hanno lasciati privi di prospettive. In questo senso, il rifiuto del lavoro classicamente inteso può essere assimilato a una rivalsa, il tentativo di accrescere la propria riconoscibilità sociale e il proprio prezzo, a maggior ragione in una società a cui l’inverno demografico sta cambiando i connotati. Ma c’è di più. La “rottura” molto forte rispetto agli schemi del passato, associata da Delzio alla “personalizzazione profonda” che permea ogni aspetto dell’esistenza dei più giovani, si accompagna a una risemantizzazione della parola ambizione.

In un articolo sul Guardian, Daisy Jones descrive il nuovo sogno dei Zoomer: conquistare un lazy girl job, letteralmente “un lavoro da ragazza pigra”. Con il termine ci si riferisce a umili mestieri d’ufficio, soprattutto nel settore dei servizi: quelli degli impiegati che senza troppo impegno e senza responsabilità si assicurano comunque uno stipendio confortevole.  Su TikTok, l’hashtag #lazygirljob ha attualmente circa 14 milioni di visualizzazioni e impazza in particolare tra le ragazze. È l’opposto della girlboss, la figura resa celebre dall’omonimo bestseller di Sophia Amoruso poi diventato una serie Netflix, che celebra invece la storia di una donna frustrata dalla mediocrità del lavoro impiegatizio che crea un impero della moda: l’immagine di chi “prende quel che vuole perché lavora per ottenerlo”.

Un decennio e una pandemia dopo, il disgusto per la cultura dell’affanno sembra aver preso il sopravvento, facendo abbassare drasticamente le aspettative legate all’autorealizzazione sul lavoro, se non innescando vere e proprie forme di protesta anti-lavoro. In Cina il Tang ping tradotto come “sdraiarsi”, dà voce ai giovani cinesi che rinunciano a lavori stressanti, dopo quarant’anni di crescita straordinaria del Paese dovuta anche allo sforzo massimo richiesto ai lavoratori. La bacheca r/antiwork di Reddit, aperta dal 2013, spazio di discussione per “coloro che vogliono smettere di lavorare, sapere come fare e ottenere il massimo da una vita senza lavoro”, conta 2,7 milioni di iscritti. Secondo un’indagine Deloitte condotta in 44 Paesi, il 77% della Generazione Z cercherebbe un nuovo posto se non gli fosse data l’opzione del lavoro ibrido o da remoto. Il 50% della Gen Z e il 47% dei Millennials vive passando di stipendio in stipendio e teme di non riuscire ad arrivare a fine mese.

La Gen Z e i Millennials italiani mostrano elevati livelli di preoccupazione per l’impatto che la stagnazione economica sta avendo su di loro, incidendo sulla possibilità di creare una famiglia e di acquistare una casa. Per fare fronte alla instabilità economica, il 37% della Gen Z e il 23% dei Millennials in Italia ha almeno un secondo lavoro con cui cerca di integrare la prima fonte di reddito.
Nel frattempo, solo il 49% della Gen Z nel mondo afferma che il lavoro è fondamentale per la propria identità, rispetto al 62% dei Millennials.
“Tutto quello che voglio fare – recita un altro post con l’hashtag #lazygirljob – è guadagnare la maggior quantità di denaro lavorando il minor numero di ore in modo da poter trascorrere la maggior parte del mio tempo con la mia famiglia vivendo la vita alle mie condizioni, invece di passare 40 anni a lavorare per un capo che paga quello che loro pensano sia ‘giusto’”.

L’ambizione tradizionalmente intesa come desiderio di affermarsi e di avanzare nella carriera – è la tesi – viene sostituita dall’ambizione a un impiego tranquillo che consenta di godere a pieno delle relazioni interpersonali e della vita al di fuori del mondo del lavoro, percepito lontano e stressante. Siamo davvero entrati nell’“era dell’anti-ambizione”, come l’ha chiamata il New York Times? Il report FragilItalia I giovani generazione Z e il lavoro, elaborato da Area Studi Legacoop e Ipsos in base ai risultati di un’analisi condotta su un campione di 800 persone, vede in effetti primeggiare nella scala dei valori più importanti la famiglia (60%, contro la media nazionale del 78%), seguita dall’amicizia (54%, contro la media nazionale del 59%) e dall’amore (50%, media nazionale 63%). Bisogna scorrere fino alla sesta posizione per arrivare al lavoro (38%, rispetto alla media nazionale del 49%), preceduto da divertimento (46%) e cultura (44%).

Per Jones, la risposta alla mortificazione della possibilità di guadagnarsi da vivere seguendo il proprio talento e le proprie passioni è stata quella di respingere l’idea che i nostri lavori siano la nostra intera identità. Il luogo del desiderio si è spostato altrove, distante dagli uffici e dalle fabbriche. In effetti, i giorni in cui si chiedeva alle persone: “Che cosa fai?” potrebbero essere finalmente finiti. Forse ci stiamo avvicinando un po’ di più a qualcosa del tipo: “Allora, che cosa fai al di fuori del lavoro? Chi sei?”.

Nella straordinaria serie di fantascienza Severance trasmessa su Apple Tv e tradotta in italiano con Scissione, la Lumon Industries effettua sui dipendenti un’operazione chirurgica con la quale inserisce un microchip nei loro cervelli. L’effetto dell’intervento è la divisione radicale nella memoria e nell’esistenza dei lavoratori: i ricordi di quello che succede in ufficio restano in ufficio e i ricordi della vita privata restano confinati alla vita privata. Nessuna comunicazione tra le due dimensioni è più possibile. Nessuno, mentre lavora, può risentire delle interferenze legate a preoccupazioni e impegni che derivano dalla sfera familiare e amicale e nessuno, a casa, può lamentare lo stress mentale legato al carico residuo che ha lasciato alla scrivania. Potrebbe sembrare un sogno, ma non lo è.

La scissione tra il lavoratore e la persona emerge come realtà distopica in cui il work-life balance assume, per contrasto, i tratti di una nuova disperata utopia. Con l’aggravante della complicità dei dipendenti. Come spiega il capo dipartimento alla tirocinante appena arrivata, la partecipazione al programma è totalmente volontaria: “Ogni volta che ti ritrovi qui, significa che hai scelto di tornare”. Il creatore della serie, lo sceneggiatore Dan Erickson, ha affermato di aver tratto ispirazione da una serie di lavori d’ufficio che ha svolto quando si è trasferito a Los Angeles: “Mi sono trovato a desiderare di poter saltare subito alla fine della giornata. Volevo dissociarmi per le successive otto ore. Poi ho pensato: ‘È una cosa sbagliata da desiderare. Dovremmo desiderare più tempo per noi, non meno’”.
Severance tocca il nervo scoperto di ambienti di lavoro percepiti come mostruosi, vissuti alla stregua di incubi da cui non si riesce a svegliarsi e sopportabili soltanto al prezzo della rimozione totale. È la riprova del valore che oggi assume la possibilità di essere riconosciuti come persone a tutto tondo e non come numeri per fare business o come “schede in un faldone”. Nella maggiore selettività che mostrano i più giovani nelle scelte lavorative pesa anche questa componente.

Porre rimedio a errori e distorsioni del passato, ricomponendo scissioni sinistre e improduttive, appare quanto mai urgente. Analizzando una dozzina di aziende all’avanguardia per la capacità di investire sulle persone considerandole nella loro interezza, Frederic Laloux ha introdotto la svolta Teal, basata sull’idea di trasformare l’organizzazione da fredda macchina rigidamente gerarchica e priva di emozioni in organismo vivente centrato sugli esseri umani e articolato come un sistema di valori diffusi e condivisi, ricalcando lo schema del mondo vegetale. Il proposito evolutivo dell’organizzazione, in questa visione, è “l’esito di un percorso di crescita collettivo che rende evidenti le connessioni e le convergenze tra ciò che individualmente si è chiamati a fare e quanto si può realizzare collettivamente”.

Teal (acquamarina) è il quinto dei cinque colori con cui Laloux ha classificato l’evoluzione dei fenomeni organizzativi umani, considerata un riflesso dell’evoluzione dell’interiorità. Nella sua concezione ogni salto significativo compiuto dalla civiltà si accompagna a nuovi modelli.
Il primo colore è Red: da 15.000 a 4.000 anni fa circa. In questo paradigma impulsivo, l’esercizio del potere nelle organizzazioni è fine a sé stesso. La paura è una componente importante.
Il secondo colore è Amber: da 4.000 a 400 anni fa circa. Si tratta di un paradigma conformista, caratterizzato da formalizzazione e controllo, da processi stabili e gerarchie definite.
Il terzo colore è Orange: da 400 anni fa circa. Orientato a obiettivi e risultati e promotore dell’innovazione, della responsabilità e della meritocrazia, è tuttora il modello più diffuso tra le aziende.
Il quarto colore è Green: da 30 anni fa circa. Questo paradigma è pluralistico e pone l’accento sull’empowerment e la cultura condivisa, come in una famiglia.

Dal 2013 si affaccia il Teal, corrispondente al prossimo stadio evolutivo, caratterizzato dalla piena valorizzazione delle potenzialità umane e già scelto da alcuni pionieri.  Sotto la lente di Laloux sono finite aziende di diversi settori – manifatturiero, energetico, alimentare, metallurgico, scuola e sanità – con dimensioni da 100 a 40.000 dipendenti. Un universo accomunato innanzitutto dall’accento sul self management (autogestione) al posto delle strutture gerarchiche piramidali, per cui la crescita personale diventa la condizione per raggiungere gli obiettivi del management e in cui piccoli team si assumono la responsabilità della propria governance e del modo in cui interagiscono con tutti gli altri gruppi. I ruoli sono molteplici, fluidi e spesso autoassegnati. Le azioni dei singoli non sono guidate dagli ordini di qualcuno nella catena di comando, ma dall’ascolto dello scopo dell’organizzazione. Strutturarsi in maniera orizzontale (bossless) non è assenza di direzione, è la ridefinizione del luogo dove si prendono le decisioni, dei processi di advisory. Chi è a contatto con il cliente ne capisce le esigenze e può comprendere al meglio quali siano le condizioni del mercato. Il self management si sostanzia in un processo decisionale largamente distribuito, nel quale potere e controllo sono equamente radicati, e in un flusso di informazioni totalmente accessibile, in grado di stimolare la creatività e di produrre interazioni costruttive senza asimmetrie.

Ci sono altri due valori chiave evidenziati da Laloux. Il primo è la presenza di uno scopo evolutivo che ambisce alla più elevata concretizzazione della mission aziendale, alla ricerca di un posizionamento strategico, nella comunità e nel mercato in cui si opera, andando ben oltre il meccanismo competitivo della concorrenza. Le organizzazioni sono viste come un campo energetico indipendente con uno scopo che trascende i suoi stakeholder. In questo paradigma, non possediamo né gestiamo l’organizzazione; invece siamo amministratori, ascoltiamo dove deve andare e lo aiutiamo a fare il suo lavoro nel mondo. Il potenziale creativo più profondo per dare vita a qualcosa di nuovo, per contribuire a qualcosa di energico e prezioso al mondo. È un impulso.
L’altro valore è l’interezza, il principio opposto a quello del “sé professionale” tipico dei sistemi diffusi sinora. Incoraggiando le persone a presentarsi al lavoro in una veste parziale, legata alle aspettative formali del contesto di riferimento, si sono lasciate proliferare maschere e sovrastrutture, ostacoli pesanti al supporto reciproco, all’espressione della libertà e alla concentrazione su un obiettivo comune.

La stessa leadership ne esce destrutturata, sviluppata dal gruppo come funzione anziché associata a una o più figure di vertice. Laloux parla, infatti, di quattro tipologie di comportamenti e ruoli di leadership: hard skill leadership, che ruota intorno alle competenze necessarie per l’attività core dell’organizzazione; organizing leadership, votata a portare ordine e regole tra i compiti del team; spanning leadership, che riguarda i comportamenti e le attività per connettere il self management con i gruppi e gli individui esterni; social leadership, che cura la crescita e il mantenimento del gruppo sotto l’aspetto sociale e psicologico, garantendo l’ascolto, la mediazione dei conflitti e la tutela dell’energia del team.

In tre delle quattro dimensioni dell’autogestione e della leadership distribuita sono protagoniste, ancora una volta, le soft skill. I risultati delle organizzazioni studiate da Laloux sono incredibili, in termini di felicità del personale e di produttività. Buurtzorg,50 letteralmente “cura di quartiere”, è una rete capillare di strutture infermieristiche non-profit che si affiancano a quelle appartenenti al sistema sanitario nazionale olandese. Inventato dall’infermiere Jos de Blok, con oltre 15.000 operatori suddivisi in 950 squadre da 12 infermieri che assistono 50-60 pazienti a domicilio, è considerato un network efficiente, agile e poco costoso per i cittadini. Lo slogan è eloquente: “L’umanità oltre la burocrazia”.
Valve, azienda leader nel mercato dello sviluppo di giochi e ambienti ludici digitali, è bossless nel senso più estremo del termine: completamente orizzontale, fonda persino la determinazione degli stipendi sulla mutua valutazione derivante da una peer review tra colleghi. Nella guida per i nuovi dipendenti e le loro famiglie,52 stampata nel 2012, l’azienda si presentava così:
Siamo una società che si occupa di intrattenimento. Una società di software. Una società che offre una piattaforma. Ma soprattutto, siamo una società fatta di persone con una vera e propria passione per i prodotti che creiamo. (…)

Nel dare il benvenuto a “Flatlandia”, il vademecum chiariva bene l’assenza di ogni gerarchia:
La gerarchia è ottima quando si tratta di mantenere una prevedibilità e una ripetitività. Semplifica le pianificazioni e facilita il controllo di grandi gruppi di persone dall’alto verso il basso. Per questo è così importante nelle organizzazioni militari. Ma se sei una società di intrattenimento che ha passato gli ultimi dieci anni facendo di tutto per assumere le menti più innovative, intelligenti e di talento al mondo, metterle sedute a una scrivania e dare loro ordini su cosa fare significa buttare al vento il 99% del loro valore. Vogliamo degli innovatori, e per averli dobbiamo mantenere un ambiente di lavoro dove possano prosperare.
Ecco perché Valve è piatta, il che vuol dire che non c’è un management e nessuno lavora “sotto” nessun altro. È una software house “piatta”, senza capi né gerarchie, anche mondora, inserita come unico caso italiano dai curatori e traduttori di Peoplerise nella prima edizione italiana di Reinventing Organizations. Fondata nel 2002 in Valtellina dai fratelli Michele e Francesco Mondora, è una BCorp con stipendi trasparenti, failure party per festeggiare gli errori, sessioni di meditazione, laboratori di filosofia e grande attenzione all’impatto sull’ambiente.

Alla tutela dell’ecosistema è dedicata Patagonia: invece di incoraggiare un consumo di risorse dannoso per l’ambiente, l’azienda produttrice di abbigliamento sportivo ha deciso di spingere sulla realizzazione di capi che durano più a lungo, di offrire servizi di riparazione, di riutilizzo e di riciclo. La fedeltà allo scopo evolutivo prevale su ogni considerazione legata al budget, al punto che nel 2022 il brand ha deciso di cedere il 98% delle sue quote alla società non-profit Holdfast Collective e di mantenere solo il 2% nella forma di Patagonia Purpose Trust, devolvendo l’1% di ogni vendita per la salvaguardia del pianeta. Il motto è diventato: “Il nostro unico azionista ora è il pianeta”.

Non sappiamo se la profezia di Laloux si avvererà e se le organizzazioni Teal diventeranno realmente dominanti nel mondo. Sappiamo, però, che aveva ragione Peter Drucker:“Il pericolo più grande nei momenti di turbolenza non è la turbolenza in sé, ma è affrontarla con le logiche del passato”. Allo smarrimento di senso manifestato dai lavoratori occorre rispondere cercando nuove strategie, nuovi modelli di business e nuove strutture organizzative, anche accettando i rischi inevitabili che derivano dall’avventurarsi in territori inesplorati.

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