Costume
Cronache dalla quarantena. Gli occhi del futuro
E poi, la sera, succede che accendi la tele. E vieni catturato dalla situazione. Perché fatichi a distrarti. E ti pappi tutte queste facce in collegamento dal loro luogo chiuso. Mezzi busti sfocati, appena fuori sincrono. In un coro di opinioni.
E la palpebra cala, perché il divano e il grande schermo sono come il gatto e la volpe, maestri di illusione e inganno. E il coronavirus è diventato un familiare al quale si dedicano più meno sempre le stesse parole. Insomma, soffro già di narcolessia da dibattito. Ma non solo. Anche le performance degli artisti, più e meno intense, sempre portatrici di un buon proposito, mi annoiano al secondo minuto. Tutto quello che vuole dimostrarsi Live, ma è costretto a uscire da un non luogo, non arriva a coinvolgermi. Certo, è un sintomo, una patologia in corso in questo nuovo tempo disgregato. Prima non era così. Potevo godere di uno spettacolo da bersi online. Perché avevo gli anticorpi della strada e degli umori di un locale condiviso, forse. Non ero assuefatto dall’unica dimensione piatta. E non è che mi ecciti granchè l’idea che questa durissima fase umana porterà nel prossimo futuro l’uso più massiccio della fruizione scorporata. Scuola, lavoro, spettacolo che sia. O meglio: a me non fa niente bene. L’uomo non è fatto per stare solo, il suo bisogno di contatto è naturale, come l’istinto della fame. Citiamo sempre un po’, e questo è il GaberScick. Ecco, io mantengo un certo appetito, anche se sempre più selettivo e scostante. Nessun tributo alla formalità o al dovere, per farne sintesi. Ma un certo languorino permanente. Incrociare gente.
Ho letto una bella intervista a Nick Cave. Che oltre alla grandezza delle sue parole cantate può vantare una grotta per cognome: la sua è una quarantena primitiva. Dopo aver discusso con collaboratori e band sul cosa si potesse fare, sulla formula per fare spettacolo in diretta, si è reso conto che la cosa migliore fosse starserne in disparte, e riflettere. Accumulare momenti intimi. Ha pensato che senza pubblico non avesse senso. Ecco, io ho l’impressione che troppe performance online, appuntamenti annunciati di concerto o monologo, siano fatti per l’ansia di esistere. Anche se si prova a spacciarli come vicinanza ai fans.
Questo è un momento da vivere al presente. Bisogna scrivere il presente. Ogni cosa fatta prima perde forza, se pensata nel dopo. Lo so, siamo qui tutti a ripercorrere frammenti del nostro passato, a far lievitare i ricordi, ma è un gesto che sembra servire a dare l’ultima occhiata indietro, un saluto cordiale, per poi chiudere definitivamente il capitolo del Prima. Del Covid.
Nel supermercato, dove ormai facciamo l’unica vita sociale, mi sono imbambolato a guardare gli altri, che siamo noi. E pensavo che quella mascherina sarà per un po’ il nostro nuovo mezzo volto. Ci si abitua. Io soffro sempre meno, nel portarla. Poi adesso mi hanno girato in video le istruzioni per sanificarle, quello con la vaschetta, un filo di alcool denaturato e la mascherina avvolta la coperchio a testa in giù, e non ho più nemmeno la sbatta di recuperarle. Fermo nella corsia dei latticini, dove non riuscivo a trovare la mozzarella per la pizza, che poi scoprirò era finita, avevo nel giro di qualche metro tre donne immerse nella scelta di yougurt e formaggi confezionati: diverse per carnagione, età e corporatura. Ho cercato di incontrare lo sguardo di ognuna di loro. Volevo vedere più dentro, questo tempo. E mi sono accorto dell’ovvio. Abbiamo solo gli occhi. La nostra maschera è lo sguardo. Senza intrusioni muscolari. Solo il pallore tranquillo, nonostante si chiami sclera, dentro il quale naviga la pupilla.
E ho pensato al romanzo di Michel Houellebecq ‘Sottomissione’, dove si ipotizza un futuro immediato dominato dall’Islam. E per un attimo non avevo più orrore, di quella copertura obbligata. Perché ci leggevo una verità senza intrusi o distrazioni. E anche il mistero di un erotismo profondo. Ma forse, la quarantena mi ha scatenato fin troppa immaginazione. E il problema del dopo, per me, è già iniziato.
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