Costume
Cronache dalla quarantena. 1 num3r1 non 51 possono amar3
I numeri non li seguo più. Ormai sappiamo che sono solo la punta dell’iceberg. E come recitava il sottotitolo dell’album ‘Campi magnetici’ di Franco Battiato alla soglia del terzo millennio: 1 num3r1 non 51 possono amar3. Salto pure tutto ciò che è politica, che mi appare minuscolo, anche se decide e può fare danni virali. Giusto un’occhiata alle storie umane. Il manipolo di gente alla Stazione Centrale di Milano, fermato da un muro in mimetiche prestate alla certificazione. Le reazioni da melodramma, alcune sconfinate verso la solitaria guerriglia. Nessuno li può giudicare, nemmeno tu. Però non sono le persone alle quali vorresti somigliare. Mi stringo invece alla storia del medico in pensione, chiamato di ritorno, precipitato in corsia, una sola mascherina per tutti i giorni di trincea, morto ieri, stroncato dal virus. E basta. Ho bisogno di scienza. L’unica religione possibile. Divoro l’articolo che spiega la quasi certezza che questo virus non si sia modificato, ma che dobbiamo prepararci a prossime epidemie di altri coronavirus, quei simpatici gommini che si ingegnano febbrili per fare il salto di specie dall’animale all’uomo. “Serve un’attività approfondita di ricerca che porti a farmaci e vaccini che ci possano difendere” dice Massimo Clementi, direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia al San Raffaele e professore ordinario all’Università VitaSalute: lo scrivo intero, perché questi sono gli unici biglietti da visita che contano. Penso a Brigitta, di là che dorme, con le gambe sollevate a piramide, credo unica la mondo. Una donna geometrica, a suo modo. Che farà la ricercatrice, nonostante sa che questo paese la tratterà come l’ospite indesiderato. E verrebbe da dire, a chi ha gestito (ed è stato votato) questo paese distratto e superficiale: avete visto, coglioni, che la Ricerca è la Prima Voce dell’Homo Sapiens. L’unica arma di sopravvivenza di questo animaletto debole e rintanato?
Bene, sfogo, ora torniamo a noi. Vado a spulciare il Meteo. Perchè ieri sera, all’imbrunire, sul terrazzo, un vento freddo mi ha spinto a recuperare il piumino che avevo consegnato frettoloso al letargo.
Come ogni pomeriggio inoltrato, mi ero allenato con la Brigi. Ed ero sudato. Sudare in quarantena è una conquista.
Lei fa da personal trainer, io la seguo fino a quando il cuore non mi si infila nel pomo d’Adamo, e i muscoli non diventano di gesso. Poi la lascio al suo pompato proseguimento e riprendo a camminare sul terrazzo. Variando i segmenti nel rettangolo, per muovere il paesaggio. È un’attività per me necessaria, camminare, se non posso pedalare. Piano piano i pensieri allentano la tensione, escono dal ‘cosa devo fare dopo’, e si adagiano su quello che c’è. Che c’è stato. Il mio yoga non può prescindere dall’azione muscolare. E qui in altura il silenzio del mondo è più denso.
Ed esalta le voci.
L’abbaiare dei cani. Strofe ululate e tossite, che si spengono veloci, e ripartono da un altro punto di quella che è la mia valle, oltre la ringhiera. Ogni cane deve dire la sua. E se la paura è un odore, l’olfatto è il suo elemento. O forse, più prosaicamente, sono le nervose melodie delle sirene delle ambulanze, che si aprono e chiudono come un lancio di frecce infuocate, a metterli in allarme.
Con indosso il mio piumino sto bene, mi siedo sulla sdraio e mi godo l’unico movimento umano nei paraggi: tre bambini giocano a calcio sul tetto di un palazzo a un centinaio di metri dal mio. Un sesto piano, terrazzino circondato da un muretto spesso. Vedo le teste muoversi, ogni tanto sbuca il pallone, ma non posso sentire le voci. Posso però immaginarle. Così come immagino il genitore che con la buona scusa del pallone volato in strada può farsi due passi motivati.
E quando il sole rosso inquadra l’orizzonte arriva puntuale, come ogni sera, l’inno di Mameli. I bambini si fermano. La registrazione abbraccia tutto intorno. Un momento ormai abusato, al quale mi sto però affezionando. Perchè ogni volta che arriva la chiusa perentoria de “l’Italia chiamò!”, sento scattare dentro di me la voce di Pizzul che scandisce la formazione.
È quella, l’ultima strofa.
E i piccoli riprendono a calciare.
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