Costume

Cronache dal vecchio web: la comunità di Splinder

28 Maggio 2018

Un tempo qui erano tutti blog

Correva l’anno 2001, il suono metallico del modem accompagnava ancora la connessione a internet e se il sito in caricamento conteneva molte immagini ti conveniva aprirlo e andare a farti un caffè intanto che si materializzava la pagina completa. Non esisteva Facebook, non esisteva Instagram, non esistevano nemmeno i blog come ora siamo abituati a conoscerli. Internet era un serbatoio di informazioni in cui navigare con motori di ricerca come Altavista e il massimo di socialità a cui si poteva aspirare era quella legata a forum tematici e chat dedicate. Poi è arrivato Splinder. I nativi social sorriderebbero nel vedere in che cosa consisteva quella che, al tempo, è stata una delle piattaforme più innovative del panorama internet italiano. Splinder ospitava blog, offriva un servizio di messaggistica e di motore di ricerca, ma era – soprattutto – una community.

Avete presente la home di Facebook o di Twitter? Ecco immaginate di aprire una pagina e trovare tutti gli aggiornamenti dai blog che seguite. In alto potete cliccare una voce esplora e scoprire gli ultimi contenuti postati da utenti con i quali ancora non siete in contatto, oppure potete fare una ricerca “tematica” e scoprire chi “parla di cosa” nei meandri della piattaforma. Banale? Non al tempo.

A differenza dei siti tradizionali o di forum infatti Splinder partiva dal presupposto della “socialità” fra utenti. Potevi aprire un blog perché eri interessato ai nuovi gruppi emergenti della scena inglese oppure semplicemente parlare dei fatti tuoi: nessun limite e un infinito potenziale di scoperta. Ogni blog poteva essere personalizzato utilizzando “l’agevolissimo” linguaggio html: sfondo, font, colori, banner, loghi…tutto andava studiato preliminarlmente. Altrimenti si poteva restare nell’ambito delle interfacce grafiche già impostate. Ogni post aveva il suo spazio commenti, normalmente frequentatissimo, anche perché non esistevano molti altri spazi dove poter discutere ed esprimere la propria opinione. Niente hashtag, niente pollici alzati e faccine. Solo testo o, per i più fantasiosi, qualche immagine o gif. Così ogni commento richiedeva una sua “preparazione” e qualche volta, soprattutto in caso di linea con tariffa al consumo, valeva la pena di disconnettersi, battere le risposte su un foglio word e poi copiarle una volta riconnessi. Praticamente il pleistocene.

Molti però si sono avvicinati al cosiddetto web 2.0 proprio grazie a Splinder e, quando nel gennaio del 2012, la piattaforma ha chiuso per sempre i battenti, alcuni hanno proseguito, su altri canali e con altri mezzi, la loro avventura fra scrittura, digitale e comunicazione. Altri hanno seguito altre strade, altri ancora hanno cancellato ogni traccia del loro passato da blogger. In generale però esiste – fra i trenta-quarantenni di oggi – una certa nostalgia per questo spazio, che tanto ha insegnato su come vivere la rete, fra netiquette ed esercizi di autorappresentazione, passando per amicizie e relazioni professionali sopravvissute anche off line.

Da “ex splinderiana” ho deciso di intervistare alcuni “superstiti” con i quali sono rimasta in buoni rapporti, più o meno virtuali. Non solo un’operazione nostalgia, ma anche e soprattutto il desiderio di vedere cos’è cambiato a sei anni dalla chiusura della piattaforma, cos’è rimasto, cosa è stato e che lezione potrebbe dare ancora oggi – ai nativi social – quel mondo piccolo di Splinder.

Come in tutte le cose si parte dall’inizio, dalle motivazioni che hanno portato ad aprire un blog o, ancor prima, da dove sia nata la consapevolezza dell’esistenza di questo spazio. C’è chi, come Linda Fiumara (@clindina) era alla ricerca di uno spazio per cimentarsi con una scrittura per il web, chi come Daniela Farnese (@DottoressaDania) racconta “Avevo letto un articolo su una rivista che citava i blog. Anzi, parlava di un libro che raccontava di una blogger. Ne parlava in maniera un po’ fumosa, “i diari online”, e con un po’ di pruderie, e sono rimasta molto colpita. Pochi minuti dopo ho aperto il mio blog su Splinder”. Oppure si procedeva per emulazione, come ricordano Marileda MaggiUna mia cara amica aveva aperto il suo blog su Splinder “Helianto”. Lo vidi e pensai “ne voglio uno”. Mi sembrava un giocattolo divertente. Venivo dal mondo di ICQ e delle chat IRC, dai newsgroup e dai LAN parties con i miei amici nerd. Il fallimento non era preventivato e non c’era pianificazione alcuna del futuro. Questo fu il lato più affascinante dell’esperienza” e Salomè SodiniLa mia compagna di banco (secondo anno di liceo) aveva un blog in cui metteva online template e grafiche: anche se era tutta roba che grondava sangue lontanissima dal mio stile, avei voluto emularla. Io avevo internet a casa, ma usavamo ancora il modem a 56k e fino a quel momento usavo il computer come una macchina da scrivere e non ero granché interessata al resto (ci facevo giusto qualche ricerchina per la scuola, ma specialmente per documentarmi su aspetti improbabili che mi servivano per le storie che scrivevo al tempo). Poi l’ADSL è entrata nella nostra vita e io ho iniziato a esplorare questo nuovo mondo”.

Marileda al lavoro

O ancora…per noia e voglia di sperimentare qualcosa di nuovo come Francesca Fiorini (@Frannina) “perché mi piaceva avere uno spazio mio. Moderavo il newsgroup della Juventus, scrivevo tante mail. Non esisteva un social network. Non sono mai stata narcisista ma mi è sempre piaciuto spiegarmi e spiegare le cose, come le vivevo, presentare e proporre qualcosa di nuovo. In realtà è stato qualcosa tanto per fare, uno spazio in più. Come adesso quando provi il social più infimo perché magari twitter è down o per instagram non ci bastano i giga”.

Linda in versione @clindina

Il mondo dei blog era ancora poco conosciuto e quindi tutto veniva vissuto in maniera molto sperimentale, ma ciò che accomunava la maggior parte dei blogger splideriani era la passione per la scrittura e l’interesse per la condivisione di uno spazio personale con un “pubblico”, piccolo o grande, vicino o lontano che fosse, come raccontano SalomèHo sempre scritto diari di carta e mi piaceva l’idea di averne uno online, tipo bottiglia con il messaggio d’aiuto gettata in mezzo al mare, in cui oltre che ad ascolto avrei ricevuto anche delle risposte” e DaniaA posteriori, potrei dire che è stato un misto di curiosità, avventura e noia. Avevo voglia di fare qualcosa di diverso, di entrare in contatto con un mondo nuovo (non sono mai stata un’utente di forum o chat, quindi il blog era il mio primo vero ambiente sociale online) e di scrivere. All’epoca non avrei mai potuto immaginare che avrebbe avuto un impatto così importante sulla mia vita.Nessuno di noi l’avrebbe creduto. I blog erano diari semiclandestini, per lo più tenuti con nickname e lontani dalle nostre vite abituali. Adesso chi apre un blog lo fa perché ha in mente una professione, un lavoro. Noi lo aprivamo per fare amicizia, ma anche per sentirci artefici di una trasformazione culturale. Eravamo decisamente naïf…”.

Dania in una “locandina” della SplinderNight

I contenuti poi erano fra i più vari, ma spesso legati al proprio universo personale, alle proprie esperienze quotidiane: “Io dovrei far causa a chi ancora rende visibili le storie di quegli anni. C’erano i fidanzati, le liti con mio padre, le prime sigarette, gli amanti, le serate in discoteca e tutti gli elementi tipici di una sopa opera. Drama power. Era scritto malissimo. Ma proprio male. Credo fosse però l’effetto “Grande Fratello” della prima edizione, quel senso di comunicare con il mondo senza sentirsi gli occhi del giudizio addosso” racconta Marileda, mentre Claudia De Lillo (@elastigirl) scende più nel dettaglio “A settembre 2006, quando aprii il blog, facevo la giornalista finanziaria alla Reuters e avevo molta voglia di misurarmi con una scrittura diversa da quella a cui un’agenzia di stampa ti costringe. Volevo raccontare altro rispetto ai commenti delle borse europee e ai bilanci delle società quotate. Volevo mettermi alla prova anche professionalmente. Ma avevo un figlio di tre anni e uno di cinque mesi e non avevo il tempo, le energie né la credibilità per affacciarmi sul mercato del lavoro. Così pensai che un blog avrebbe potuto essere una vetrina non intrusiva ma democratica e che se la mia scrittura valeva qualcosa, qualcuno se ne sarebbe accorto. Il mio blog parlava di quello che avevo intorno: il mio lavoro, i miei figli, un ménage familiare complicato con un marito all’estero, la mia ambivalenza nei confronti dei bambini e della maternità, della fatica di conciliare lavoro e figli. Era una specie di sit com in versione blog. Ero molto attenta a rispondere a tutti i commenti e interagire con chi mi scriveva”. Per qualcuno poi il blog è diventato una sorta di veicolo verso il “confidente virtuale”: “Il mio blog era il classico diario. Raccontavo, in chiave tragicomica, la mia quotidianità, la scuola, i ragazzi, le amiche… Alternavo riflessioni a sfoghi, per me scrivere è sempre stato catartico e aprivo l’editor di Splinder ogni volta che avevo bisogno di parlare con qualcuno, ma non avevo nell’immediato nessuno disposto ad ascoltarmi” come racconta Salomè.

Una schermata “d’epoca” del blog di Claudia De Lillo

Dai blog e da queste chiacchiere fra sconosciuti sono nate spesso anche delle amicizie. Dal virtuale infatti si passava al reale attraverso cene, raduni e incontri di blogger che, per qualche anno, hanno movimentato le serate off line. C’è chi ha partecipato ai raduni come Daniela e Linda, chi li ha organizzati come Francesca, chi si è limitato a qualche cena/incontro con gli amici blogger più vicini come Salomè, chi ha osservato da lontano come Marileda, i grandi eventi e chi, come Claudia, non ha mai frequentato tanto il mondo off line dei blogger. Ogni esperienza è però accomunata da un fatto: rete e off line hanno funzionato, con Splinder, secondo le stesse dinamiche. Amici, “nemici” e seplici conoscenti, chi è entrato e uscito, chi è rimasto nelle vite di ciascuno. Proprio come accade con i rapporti nati al di fuori del web.

Forse perché la vita di Splider obbligava, in un certo modo, ad un approfondimento dei rapporti, della conoscenza personale e delle relazioni molto distante da quella dei social network di oggi. Non bastava un like o un follow insomma, occorreva anche seguire determinate regole, che hanno insegnato – a chi ha vissuto il periodo – una serie di “buone pratiche” da utilizzare in rete.

Marileda ad esempio pensa che Splider sia stata un’insostituibile scuola di formazione, oggi non replicabile “Oggi rispetto a molte mie coetanee che hanno iniziato a conoscere internet da Facebook in poi ho più strumenti intellettuali e onoro le policies. Applicare la Netiquette era indispensabile per non essere definiti scimmie non evolute da quelli più bravi. Ergo, se volevi passare al livello successivo dovevi adeguarti allo stile e alla netiquette del livello sociale successivo. Avevamo poche regole che erano quelle ma rispettarle rendeva la cifra del nostro livello di civilizzazione digitale. Oggi online è piena involuzione della scala darwiniana…”. O secondo Dania una palestra di scrittura e comportamento: “Splinder è stata una grandissima palestra di scrittura, ma soprattutto una scuola di umiltà e di pazienza. L’arroganza e l’aggressività che noto spesso oggi sui social network non avrebbero attecchito nel lungo periodo su una piattaforma come Splinder. I “flame” erano asincroni, avvenivano via commento, e di solito dedicavi più tempo e attenzione a quello che scrivevi e leggevi. Anzi, ricordo che per prendere in giro qualcuno, cercavi di essere creativo e non volgare, perché era una gara a chi era più bravo a scrivere. Grazie a Splinder, mi sono sempre tenuta fuori dalle risse, non ho mai aggredito o insultato su bacheche o post altrui, ho sempre solo risposto, se provocata nei miei spazi”, mentre per Linda è stato un percorso formativo anche nel saper riconoscere quanto di “sgradevole” propone la rete “ Splinder è stata una vera scuola per imparare le basi del blogging e delle dinamiche della rete, social network inclusi, sia nei suoi aspetti positivi che quelli negativi; gelosie e malignità comprese”.

Splider insomma è stata una bella scuola di formazione, ma cosa è rimasto, alla fine, nelle esperienze personali e di vita di ognuno degli intervistati?

Titoli di coda…

Claudia De Lillo

Il blog di Splinder mi ha cambiato la vita. Ho pubblicato due libri tratti dal blog, mi hanno proposto di tenere una rubrica su D di Repubblica (che ormai ho da otto anni e passa) perché ero una blogger. Ho ricevuto un’onoreficienza al merito della Repubblica (Ufficiale al merito) per avere inventato il personaggio di Elasti, protagonista del blog. Quando Splinder ha chiuso, ho trasferito tutto quello che avevo lì su un’altra piattaforma ma di fatto non ho alterato nulla rispetto alel origini. Il blog, e tutto il lavoro cher c’è dentro, mi ha consentito di lasciare il giornalismo finanziario e forse è sempre grazie a lui che ora conduco CaterpillarAM. Non so se altrove il mio blog avrebbe fatto la stessa strada, di certo resto molto grata a Splinder che è stato la sua prima casa e la sua prima vetrina

Linda Fiumara

Con il tempo il blog su Splinder è diventato un blog con un dominio personale, ma cambiando lavoro, città e vita quella esperienza non mi rappresentava più. Quindi dopo qualche anno, il giorno in cui avrei dovuto rinnovare il mio dominio .net, non l’ho fatto ed ho oscurato tutto, lasciandolo nell’oblio. Nel frattempo ho cambiato nuovamente lavoro, città e vita ed ho cominciato a scrivere in due importanti redazioni online per due blog di travel e lifestyle così che quella esperienza embrionale è diventata adesso parte del mio lavoro. Sono grata al percorso che ho fatto su Splinder perché mi ha preparato a quello che vivo adesso. Infine alcune delle mie amicizie sono nate proprio sulle pagine di Splinder e sono diventate parte integrante della mia vita”.

Salomè Sodini

Ho imparato a scrivere e a mettere la punteggiatura: internet è riuscito là dove i miei primi tredici anni di scuola avevano fallito!

Francesca Fiorini

Rimangono molti rapporti belli di amicizia. Rimane il fatto che forse bloggare tantissimo mi ha formata e sono capace di scrivere senza fare tutte le menate dei blogger di oggi come piano editoriale, etc. Rimane un approccio diverso al blogging, Ora va di moda di dire di essere blogger per farsi dare cose gratis o per sfruttare qualcosa o viene visto come un mestiere. Noi anziani del 2002-2004 l’abbiamo vista, credo, come necessità di comunicare. Ripeto che io poi sono stata cretina perché per motivi personali non ho preso al balzo nessuna iniziativa editoriale o commerciale: pensa che mi guardano ancora malissimo quando dico che dal blogging non ci guadagno nulla se non ripagarmi il server. E’ stata una bella esperienza, formativa sebbene non me ne sia accorta. E sta lì, a farmi da archivio. Cose che mi fanno molta tenerezza poi

Marileda Maggi

Amici. Tanti e belli. Tutti. Anche quelli con cui posso aver litigato nel tempo o che vivono distanti per longitudine e latitudine. C’era Dania, c’è Robert di Manuale di Mari, c’era la Lucarelli, Dadevoti, Placidasignora (guai a chi me la tocca), Frannina, Benares e la Topa (ancora oggi tra i miei pezzi di cuore), Uriah Heep, Kattiva, Proserpina, Profeta, la mia BFF Pam, Ale_Elle. Eravamo belli, ci si aiutava a vicenda a crescere, ad imparare. Siamo nati contemporaneamente da una sorta di uovo primordiale, ci riconosciamo con uno sguardo senza bisogno di parole. Mi fa ridere tutta quella gente che allora mi prendeva in giro dicendo “non sono amici veri”, come se l’intangibile mezzo della rete riflettesse un’idea di “falsità” o immaginario, fantasy… oggi sono gli stessi che millantano “amicizia” solo per aver clickato un pulsante su Facebook”.

Daniela Farnese

Ci sono i libri e la scrittura in generale, che sono diventati un mestiere. Non sarebbe stato possibile senza il blog. Che esiste ancora adesso, poco, pochissimo aggiornato, ma sempre lui (sono stata tra le tante che hanno migrato prima della chiusura). Di quei tempi lì mi rimangono anche alcuni contatti professionali, amici e tanti ricordi. E poi mi rimane il nome, che era un soprannome: Dania. Non sono più Daniela quasi per nessuno. E questo mi ha sempre fatto sorridere

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.