Costume
Covid-19: la surreale situazione dei cani privilegiati a discapito dei bambini
La scorsa settimana l’epidemia coronavirus si è contraddistinta per la polemica relativa all’ora d’aria da garantire a bambini e ragazzi, che in molte parti d’Italia si sono ritrovati relegati in casa già a partire dallo scorso 23 febbraio. La miccia è stata accesa da una circolare del Ministero dell’Interno del 31 marzo nella quale si fornivano dei chiarimenti interpretativi alle singole prefetture in merito alle misure urgenti adottate per il contenimento e la gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. In particolare è stato un passaggio a scatenare il finimondo: “[…] è da intendersi consentito, ad un solo genitore, camminare con i propri figli minori in quanto tale attività può essere ricondotta alle attività motorie all’aperto, purché in prossimità della propria abitazione. La stessa attività può essere svolta, inoltre, nell’ambito di spostamenti motivati da situazioni di necessità o per motivi di salute.”
Apriti cielo. Le reazioni scomposte di governatori e sindaci non si sono fatte attendere: dall’assessore del Welfare della Lombardia Gallera che ha parlato di provvedimento “folle, insensato e irresponsabile” al presidente della giunta campana Vincenzo De Luca per il quale si è trattato di un “messaggio gravissimo”. Ma nemmeno sui social, specchio della pubblica opinione, così come nel vissuto quotidiano le cose sono andate diversamente, con testimonianze agghiaccianti di rabbia repressa sfogata sui bambini direttamente da finestre e balconi.
La circolare del Viminale, firmata dal Capo di Gabinetto del ministero, recepiva certamente i segnali d’allarme lanciati da genitori ed esperti nei giorni precedenti circa i rischi per la salute psicofisica dei più piccoli dovuti alla prolungata clausura. Un appello accolto e rilanciato anche dalla politica, come la proposta di alcuni consiglieri comunali di Milano di garantire “la possibilità di una breve uscita al giorno accompagnati da un genitore o un adulto che garantisca il rispetto delle distanze di sicurezza.” Il ragionamento alla base di simili istanze è semplice, logico, deduttivo: perché il diritto a mezz’ora di aria fresca di un bambino non può essere parificato all’esigenza di un cane di stiracchiare le zampe espletando i propri bisogni fisiologici?
Sta di fatto che poche ore dopo, vista la tempesta scatenatasi, tanto la Ministra Lamorgese che il Premier Giuseppe Conte si sono affrettati a gettare acqua sul fuoco, chiarendo che tutti i divieti restano senza variazione alcuna alle attuali restrizioni.
Il mondo canino ha così ribadito il proprio peso specifico. Ma di quali cifre stiamo parlando? Quali confronti possono farsi rispetto all’infanzia?
Secondo i dati del VII° rapporto “Animali in città” stilato da Legambiente, basandosi sulle informazioni fornite dalle anagrafi canine (uniche anagrafi obbligatorie per gli animali in città), si stima che a dicembre 2019 i cani presenti in Italia oscillassero tra gli 11.630.000 e i 27.300.000. Questa forbice molto ampia si giustifica con la diversa fonte delle statistiche (regioni, aziende sanitarie locali e comuni) e sulla capillarità di controllo del fenomeno sul territorio. Si tratta in ogni caso di numeri enormi: prendendo quale riferimento la previsione in eccesso si arriverebbe a contare un amico a quattro zampe ogni 2,21 abitanti. E i bambini? L’ISTAT calcola che sul totale della popolazione italiana la fascia dagli 0 ai 14 anni si attesti attorno al 13%, corrispondenti a quasi otto milioni di abitanti. Impressionante? Ma c’è di più. Dalle risposte ricevute da Legambiente ai propri questionari da parte di comuni e aziende sanitarie locali si evince un incremento nel solo 2018 di 398.893 cani registrati, dato assolutamente da prendere con le pinze visto che solo il 31% dei soggetti pubblici che hanno replicato all’associazione dichiara di conoscere con certezza il numero degli animali registrati all’anagrafe canina. Nei medesimi dodici mesi ci dice l’ISTAT che sono nati circa 439.000 bambini. La popolazione canina cresce più velocemente di quella umana.
Ma il miglior amico dell’uomo domina anche nelle rendicontazioni economiche. Innanzitutto è una voce di spesa considerevole per le casse pubbliche. Le cifre indicate nel summenzionato rapporto di Legambiente raccontano di 176.853.470,00 milioni di euro erogati dalle amministrazioni comunali ai quali si sommano i 44.062.468,00 milioni di euro messi sul piatto dalle aziende sanitarie locali per un totale di 220.915.938,00 milioni di euro (tre volte quanto è impegnato nei ventiquattro parchi nazionali o duecentoventi volte superiore a quanto destinato per le ventisette aree marine protette). Di questa somma il 58% va alla gestione dei canili rifugio. Legambiente non lesina le critiche agli amministratori sparsi sul territorio, troppo spesso inconsapevoli del numero e dello stato dell’arte non solo dei canili ma anche delle colonie feline e delle altre aree urbane preposte al benessere animale. Canili che, secondo l’ultimo rapporto della LAV, non ospitano meno di 115.000 randagi i quali, però, hanno ottime opportunità di trovare una nuova sistemazione se nel solo 2017 ne sono stati adottati quasi 40.000 (seppure in flessione dell’8,6% rispetto al 2016): numeri decisamente distanti rispetto alle adozioni nazionali e internazionali di bambini.
Le cifre del settore pubblico impallidiscono dinanzi alla spesa privata per gli animali domestici. Sempre secondo l’ISTAT nel 2018 le famiglie italiane hanno speso circa 9,24 miliardi di euro per la cura dei propri animali (anche se nel totale sono incluse voci ulteriori quale giardinaggio, fiori e piante) con un incremento di più del 4% rispetto all’anno precedente. Per giochi, giocattoli e hobbies sono stati sborsati “appena” 5,66 miliardi di euro. Una conferma ulteriore è fornita dal XII° rapporto Assalco-Zoomark 2019 redatto dall’Associazione Nazionale tra le Imprese per l’Alimentazione e la Cura degli Animali da Compagnia segnala come nel 2018 la spesa per l’alimentazione di cani e gatti si sia attestata a 2.082 milioni di euro con un incremento su base annua dell’1,5%. Ce ne siamo accorti, diremmo noi, viste le numerose pubblicità che imperversano a reti unificate per reclamizzarne i prodotti.
Gli animali domestici sono oramai soggetti di fatto, membri delle famiglie che li accolgono. Non è un caso se negli ultimi anni si sono succedute numerose proposte legislative bipartisan per inserirli nello stato di famiglia e sottoporli così a più facile censimento, così da risolvere le problematiche di scambio e aggiornamento delle informazioni tra le diverse anagrafi regionali indipendenti. D’altronde se convivono nel 33% delle famiglie italiane, e in metà di queste condividono addirittura il letto dei propri padroni, nella realtà dei fatti l’umanizzazione dei pet è già avvenuta. Chi trova un amico trova un tesoro. Sarebbe tragico se però ciò avvenisse a discapito dei nostri figli, in un paese afflitto da una cronica denatalità e alla caccia di un untore a cui addossare la colpa dell’esplosione pandemica.
Devi fare login per commentare
Accedi