Costume

Connessi e disconnessi

30 Novembre 2018

Uno dei luoghi comuni della politica attuale è che destra e sinistra non esistono più: la tradizionale contrapposizione tra chi rappresenta i ceti agiati desiderosi di stabilità e chi si batte per la promozione sociale delle classi più svantaggiate sembra evaporata in gran parte del mondo occidentale, nel quale era nata.

Tuttavia, ciò non significa che le nostre società abbiano trovato un equilibrio definitivo e siano pacificate: al contrario, sono percorse da conflitti che si manifestano vivacemente nelle occasioni elettorali (con campagne accese fino all’esasperazione e una partecipazione al voto spesso superiore alle aspettative) e, più di recente, anche in piazza; è però cambiata la linea di frattura sociale (o cleavage, come dicono i politologi) lungo la quale si divide il campo politico.

Secondo molti analisti, la nuova faglia socio-culturale è conseguenza della globalizzazione degli ultimi decenni e si colloca tra integrazione e demarcazione: da una parte ci sono coloro che sono favorevoli all’internazionalizzazione dell’economia, alle migrazioni e alle contaminazioni culturali; dall’altra coloro che, al contrario, vogliono preservare la propria identità e autonomia (sovranità) nazionale. In termini politici, essa si manifesta con la contrapposizione tra europeismo e euroscetticismo (evidente nel referendum su Brexit e nella sfida Macron-Le Pen) e, più in generale, nella narrazione del conflitto tra l’alto e il basso, cioè tra un establishment politico sostenuto dalle ristrette élites cosmopolite che traggono vantaggio dalla globalizzazione e i nuovi movimenti populisti, paladini dei ceti indeboliti dalla crisi e dalle delocalizzazioni e spaventati dall’immigrazione. Va notato che la situazione appare ribaltata rispetto alla fase precedente: ora il voto progressista, cioè favorevole al cambiamento, è quello dei privilegiati, mentre le classi subalterne scelgono la conservazione dello status quo (o, in certi casi, addirittura un impossibile ritorno al passato). Questa nuova linea di frattura sembra essere una versione attualizzata di due vecchi cleavage, da sempre presenti nella dinamica politica occidentale: quello città/campagna e quello centro/periferia, che vedono distinguersi nettamente le scelte elettorali dei residenti delle aree più ricche e progredite da quelle degli abitanti delle zone più povere e arretrate. Tale interpretazione è corroborata dalla distribuzione geografica del voto: i partiti tradizionali, globalisti e progressisti vincono ormai solo nelle ztl, cioè nei quartieri più agiati dei grandi centri metropolitani, mentre i cosiddetti populisti trionfano nelle periferie e nelle aree rurali – una tendenza che è stata evidentissima nella sfida Trump-Clinton e in quella Macron-Le Pen, ma che si è potuta rilevare anche in occasione delle nostre ultime elezioni politiche.

All’onda della globalizzazione si sta però sovrapponendo un nuovo tsunami: la rivoluzione dell’Intelligenza Artificiale e della robotizzazione, che – secondo tutte le stime – avrà un impatto enorme sull’occupazione e sulle nostre abitudini e stili di vita; c’è quindi da aspettarsi che essa inneschi un cambio di paradigma anche sul piano politico, con un nuovo cleavage che rifletterà, ancora una volta, la separazione tra i sommersi e i salvati dal cambiamento. E’ verosimile che la prossima linea di faglia si aprirà tra i connessi e i disconnessi, in un senso che va ben al di là del significato letterale: non sarà (solo) l’accesso a Internet a fare la differenza, ma la capacità di restare al passo con le innovazioni tecnologiche che modificheranno rapidamente il nostro modo di lavorare e di vivere. Chi sarà in grado di adattarsi alle novità potrà mantenere il proprio posto nella società, o ritrovarlo in caso di bisogno e sarà quindi portato all’apertura e all’ottimismo; chi invece sarà disconnesso dal flusso del cambiamento ne verrà travolto e tenderà a rifiutarlo e a chiudersi in un atteggiamento ostile e difensivo.

E’ certamente vero che sinistra e destra non esistono più nella loro accezione tradizionale, perché le società occidentali non sono più divise tra proletari e benestanti; tuttavia, l’esistenza di vincitori e vinti dei processi di trasformazione economica, tecnologica e sociale fa sì che ci sia ancora bisogno di qualcuno che rappresenti le istanze distinte delle due parti. Il fallimento della sinistra attuale è dovuto alla sua incapacità di dare rappresentanza agli esclusi della globalizzazione e di elaborare strategie efficaci per la loro inclusione: per questo tali gruppi sociali si sono rivolti alla destra reazionaria, che somministra loro la favola consolatoria di un’irrealistica chiusura entro rassicuranti mura che fermino il cambiamento, mentre nella realtà continua a garantire gli interessi dei potenti e dei privi di scrupoli. Se non vorrà fallire anche di fronte alla rivoluzione tecnologica, la sinistra dovrà farsi interprete di coloro che rischiano di restare indietro e progettare strumenti  per riconnetterli alla corrente dell’innovazione: non perché essa sia in assoluto positiva e da accettare senza remore, ma perché per poterla indirizzare è necessario innanzitutto saperla cavalcare.

Per questo compito non esistono scorciatoie come quelle utilizzate dalla destra, cioè il leaderismo e la propaganda: nulla è facile per chi intende cambiare davvero il corso della storia, anziché assecondarlo a favore dei più forti. Questa missione richiederà consapevolezza, impegno e perseveranza, soprattutto da parte dei più preparati alla sfida: per questo è tempo che i giovani diventino protagonisti, con la loro forza, il loro entusiasmo e le loro competenze insostituibili.

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