Costume
Capitalismo forever?
Appare davvero curioso come una crisi epocale come quella che stiamo attraversando da anni non abbia ancora spazzato via ogni traccia della religione liberista. Anzi, strane creature chiamate economisti continuano, con la solita faccia di palta, a predicare l’ideologia del Libero Mercato (libero soprattutto per i criminali). Capitalismo o barbarie potrebbe essere il loro nuovo slogan. Dopo T.I.N.A., che non il nome della casalinga di Voghera ma l’acronimo di there is not alternative, espressione tanto cara alla mai abbastanza vituperata Lady di ferro Margaret Thatcher. I mitici anni ’80! Dunque non ci sarebbe alternativa a un modo di produzione fondato sulla folle illusione di una crescita illimitata in un mondo finito. Non ci sarebbe alternativa a un sistema in cui n miliardo di persone muoiono di fame. Non ci sarebbe alternativa alle contraddizioni di un capitalismo globalizzato che fa preconizzare guerre senza ritorno e conflitti sociali sconvolgenti. Ma guai se fosse così!
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Se la memoria non mi tradisce (la maturità classica è ahimè un ricordo lontano), la parola “crisi” deriva da un verbo greco che significa scegliere. Ebbene sarebbe ora di scegliere un modello di sviluppo che privilegi la qualità della vita umana (con, ad esempio, l’incentivo all’istruzione) e non il P.i.l. Forse siamo ancora in tempo. Se vogliamo evitare conseguenze apocalittiche sul destino della natura e dell’umanità, è ora di correre ai ripari. La storia è ricca d’insegnamenti. I filosofi della Grecia classica, per una vita serena, distoglievano dall’esagerazione (hybris) e raccomandavano il senso della misura (phronenis). Il poeta Orazio pur non partecipando attivamente alle battaglie spirituali e politiche del tempo non era insensibile alle tempeste che travagliavano la società e lo stato romano.
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Perciò scrisse in una sua satira la famosa sentenza est modus in rebus, vi è una misura in tutte le cose, ci sono determinati confini, al di là e al di qua dei quali non può esservi il giusto. Così, anche oggi, contro il paradosso della civiltà contemporanea e per scongiurare la scomparsa dell’umanità, bisogna ritrovare il senso della misura. Latouche suggerisce che dobbiamo optare per una decrescita felice. Io direi che sarebbe più corretto scegliere una crescita felice, una crescita qualitativa fondata su uno sviluppo ecocompatibile e nettamente alternativa a quella deleteria crescita quantitativa di cui abbiamo sempre sentito parlare.
Andrea Leccese
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