Costume
Augurare “buon” anno
Scrivere, vivere, augurare. Si scrive per tante ragioni, ma sempre a qualcuno. E invece si vive per se stessi innanzitutto. Sì, c’è l’amore, ma poi ognuno ha il proprio spazzolino, diceva (traducendolo in categorie attuali) Hegel. Ma augurare? che verbo è?
Dal vocabolario Treccani, Augurare : verbo transitivo: Esprimere il desiderio che ad altri accadano cose liete o qualche cosa proceda felicemente:a. buon viaggio, buona salute, buona fortuna;a.buona riuscita a un’impresa;a. ogni bene;a. buone vacanze,buon Natale; e per antifrasi:a.la morte,a.un malanno. Con la particella pron., augurarsi, propr. augurare a sé stesso, sia un bene per sé (mi auguro di tornare presto), sia un bene per gli altri (mi auguro che tu sia felice).
Dunque augurare a qualcuno e augurare a se stessi. Poniamo che si voglia augurare a qualcuno un buon anno, propriamente parlando, si dovrebbe augurare “un anno di bene”, o un anno “buono”, nel senso un anno che porti, o abbia in sé del bene.
E in questo senso, in genere, ci si scambieranno gli auguri questa notte, dopo aver mangiato, e brindando con un spumante ben fresco. E dopo si mangeranno delle lenticchie. In molte regioni significano: soldi, come valore simbolico per “bene”.
Ma cosa si intende con “bene”, appunto? Ognuno ha il suo bene, ma ci sono beni comuni, collettivi, etc etc. Il bene può essere riposto nella salute, nella prosperità, nel successo in un’opera intrapresa, nell’esaudimento di un desiderio immaginato, nel compiersi di una aspirazione, di una attività, di uno studio. Nell’uscita da una malattia (o vittoria su-), come qualcuno dice.
Io, a cinquant’anni compiuti (ieri!), mi auguro per quest’anno nuovo il bene di lasciar essere. Lasciar essere la vita, me stesso, gli altri come sono. Lasciar fluire, prendere congedo dal passato, e in questo gesto di custodia del presente e di quanto mi è affidato in esso, accettare la caducità, mia e di tutto. E accettare la separazione da quello che è stato, per concentrarmi bene sul presente.
Questo è quello che mi auguro per me, ed auguro a molti molti altri.
Buon Anno Nuovo
Forse non di un lutto abbiamo bisogno, come pensava Freud, né anticipato né post rem. Ma di questo accoglimento, di questa capacità di immedesimazione in cui noi, feriti, diventeremmo madre di creature ferite. È un passo difficile – al limite, impossibile: troppo tardi. Eppure esso ci viene da ogni parte e sempre più spesso «sollecitato». E in questo compito potrebbe trovarsi una gracile felicità: non un’«ascesa», un apice o culmine come si pensa di solito, ma piuttosto, come ci dice la Decima elegia, una «caduta», simile alla «pioggia che cade su terra scura a primavera».
Elvio Fachinelli, Freud, Rilke e la caducità, «Il Manifesto» 22/23 gennaio 1989 (ora in Su Freud, Milano, Adelphi, 2012)
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