Costume

Ansie moderne e dintorni – 2

23 Luglio 2020

2 – continua da:

Ansie moderne e dintorni – 1

 

Un’altra patologia mentale tutta statunitense è quella degli affollatissimi party universitari di Tuscaloosa, in Alabama, dove vengono invitati dei positivi al covid-19 in modo da contagiare chi non ce l’ha. E chi s’infetta felicemente vince ricchi premi e cotillons. Chissà se sopravvivrà per goderseli, ma anche questo fa parte del gioco. Magari stilerà un testamento per non disperdere il patrimonio acquisito, chi può saperlo. Come fa parte del gioco, una volta tornati a casa, anche infettare i genitori, i nonni e chiunque venga in contatto con loro. Non è un film di Romero, è ciò che avviene realmente in quel paese di pazzi trumpizzati. Studenti universitari, quindi con una supposta coscienza critica. Chissà che insegnano all’università di Tuscaloosa. Già il nome sembra una caricatura.

Non esiste proprio la percezione che una pandemia possa sconvolgere i piani precedenti e che, quindi, per la necessità del momento si debba cambiare direzione o stare fermi in attesa che il virus si attenui e diventi quasi innocuo. “Andrà tutto bene” significa che tutto dovrà essere uguale a prima. Ossia tutto dovrà perpetuare i mezzi di produzione e soprattutto un’iperproduzione di beni che comunque, dopo la crisi, resteranno invenduti. Cogli stessi metodi di sfruttamento naturale e umano di prima. Alla riapertura con cautela, stabilita da alcuni governi (altri hanno preferito adottarne di più blande), si preferisce convincersi che il virus non esista più o che sia depotenziato, o che alla fine ci sia l’immunità di gregge, o che comunque non ci sia più alcun pericolo, anche se l’evidenza e certi medici e politici raccontano altro. Inoltre è ancora tutto da vedere, perché non esiste una letteratura in merito, una letteratura che si sta formando solo adesso sull’immensa base di dati prodotti da pochi mesi, dati che andranno interpretati e compresi e confrontati – da persone capaci di maneggiarli, si spera – con quelli dell’evolversi della pandemia. La cautela è tuttora l’atteggiamento più consapevole da adottare, forse, ma la cautela è in contrasto col credo contemporaneo del voglio tutto e subito, qui e ora.

Attenzione, quest’ansiosa pretesa di bloccare il tempo, di voler fermare un periodo della Storia considerato come migliore, è comune all’attitudine di tutti quegli pseudoambientalisti che vorrebbero cristallizzare il clima e non farlo cambiare, senza però offrire un modello astronomico o un’epoca di riferimento in cui questo clima dovrebbe essere costretto e immutabile, perché, semplicemente non può esistere. È proprio un’attitudine mentale che viene declinata secondo il caso che si presenta, l’ho già scritto in passato più approfonditamente: non sono contento di come sono e vorrei essere diverso; va bene, ma diverso come? Non lo so.

Vengono così fuori le pretese di tutti, i quali, rassicurati dal mantra iniziale “Andrà tutto bene” adesso si aspettano di trovare lo stesso mondo di prima. Ma quando, solo per fare un esempio eclatante che ha fatto discutere, Firenze si accorge di essere deserta perché non arrivano più turisti, il terrore corre sul filo e da quel filo deborda pure. E un’intera popolazione che sul turismo viveva si scopre improvvisamente senza risorse. Non avendo costruito un altro stile di vita se non quello di parco dei divertimenti per turisti, nel caso in cui i turisti non arrivino, il parco e tutta l’economia che gli gira intorno sono annientati. Il centro storico è irrimediabilmente svuotato di abitanti e di attività che non siano correlate al turismo e Firenze diventa così la metafora di un paese intero che del turismo massificato e scriteriato aveva fatto una delle sue carte vincenti. Turismo di tutti i tipi, da quello artistico a quello del consumo, declinato nello shopping sfrenato degli outlet e nel parossismo gastronomico, a quello di migliaia di ricchi studenti in centinaia di inutili università statunitensi tutte concentrate sull’Arno. Studenti che apprezzavano particolarmente le apericene e lo sballo serale tra palazzi e logge, affollando quindi gli innumerevoli locali del centro e poi decorando quest’ultimo diffusamente con chiazze di vomito e baccano fino a tarda notte. Sicuramente c’è stato anche qualche studente di Tuscaloosa a far baldoria a Firenze. Se i ristoratori pensavano di tornare a fare i pienoni di clienti e questo non avviene, anche se è arrivato il momento di riaprire tutto, con cautele o no, si scatena il panico tra gli esercenti. Ma come, ci avevano detto “Andrà tutto bene”! Anche loro caduti in trappola. E il panico porta a trovare un colpevole, senza un esame della realtà.

“Piove, governo ladro!” è la formula che ha più successo sempre e comunque, perché riassume l’irrazionalità di un atteggiamento per il quale un’attenta analisi dei fatti è inutile: il governo è ladro a prescindere (a onor del vero bisogna riconoscere che di governi ladri, nazionali e regionali, ne abbiamo avuto parecchie dimostrazioni). È ciò che avviene a Palermo, giusto per fare un esempio di quest’atteggiamento diffuso, dopo la bomba d’acqua eccezionale, contro la quale nemmeno Dio in persona una e trina avrebbe potuto far nulla, meno che mai aprendo le acque per far passare i profughi, e quindi si preferisce dare addosso al sindaco in quanto primo cittadino onnipotente. Senza capire che i problemi stanno, è il caso di dirlo, a monte, con un’urbanizzazione selvaggia che risale agli anni Sessanta, per cui la costruzione di case e soprattutto strade in punti cruciali per lo scolo dell’acqua – che segue come tutto e tutti la forza di gravità – non fa che agevolare lo scorrimento delle acque meteoriche e quindi causare inondazioni, concausa delle quali è una forestazione delle colline pietrose sovrastanti, o mancante o distrutta da incendi e non ripristinata. E non è sicuramente colpa del sindaco. E così via in una serie diffusa e infinita di effetti farfalla a cui è più difficile e scomodo pensare rispetto alla facile individuazione del capro espiatorio. Si preferisce guardare la pagliuzza piuttosto che la trave e, ergendosi ipocritamente a giudici, si peggiora la situazione perché non individuando i veri problemi si lascia tutto per com’è, nell’esigenza di placare la rabbia del momento (o di cavalcarla).

Analogamente gli imprenditori che prima della pandemia avevano un’attività commerciale che oggi è inevitabilmente incompatibile colla nuova realtà preferiscono prendersela col capro espiatorio di turno, supportati dalle opposizioni populiste che, naturalmente, dicono che se loro fossero state al governo tutto questo non sarebbe successo. Forse, in parte, è vero. Sarebbe stato anche peggio, visto ciò che hanno combinato Trump, Bolsonaro, Johnson, tanto simpatici e competenti per i nostri destri.

Di certo neanche il nostro governo attuale ha le idee ben chiare di come muoversi perché le vie d’uscita da un labirinto simile non sono facili da trovare e ci vuole una capacità analitica da Leonardo da Vinci che mi sembra latiti assai; i cervelli, se mai ci sono stati, sono fuggiti da tempo in Transatlantico. Ed è anche vero che il grado di competenza dimostrato dai governi dal dopoguerra a oggi non è sempre stato proprio un crescendo di migliorie ma di peggioramenti, soprattutto negli ultimi decenni. Come per l’alluvione di Palermo, le superfici di scorrimento per i problemi dell’Italia sono state moltiplicate nel tempo per facilitare l’espansione dei peggioramenti, tanto saranno cazzi del successore, tipico consumismo di stampo americano. E va avanti così senza sosta, piove, governo ladro. Il lavoro e le molteplici e articolate attività degli italiani continuano a essere sconosciuti da chi amministra, sia colui di sinistra, di destra, di su o di giù, perché c’è proprio uno scollamento tra politica e realtà, esistono solo l’urlo, l’ingiuria e la demagogia, amplificati dalla tecnologia a portata di imbecilli. E c’è un assordante silenzio degli intellettuali, qualcuno fa timide proposte, altri si lasciano andare a esternazioni televisive confuse senza riuscire a elaborare alcunché di concreto e rimandando a un’apparente erudizione libresca, teorica senza avere riscontri nella pratica. Manca proprio un pensiero, o meglio un insieme di pensieri per poter arginare l’avanzare dello tsunami, altro che Angelus Novus.

È la lampante dimostrazione che la cultura è in buona parte asservita all’economia, nel senso più volgare del termine. Consegnandola, molti intellettuali sono stati complici.

L’egocentrismo culturale non si è arrestato, naturalmente, anche perché la pandemia ha fatto troppo poche vittime e non è stata, per molti, così devastante da restare impressa nella mente di tutti, come fu invece per le pestilenze che dimezzarono la popolazione europea nel passato. L’anno più nero della Storia è stato identificato nel 536 d.C., anno in cui un’eruzione islandese potentissima mutò l’estate in inverno nell’emisfero settentrionale, con conseguenti carestie, notevolmente peggiorate poco tempo dopo dalla peste che decimò ciò che restava dell’Impero Romano.

Anziché considerare la fortuna di vivere in tempi in cui le condizioni igieniche e alimentari sono nettamente migliori che nel 536 e in cui ci sono dei farmaci in grado di curarci e farci sopravvivere più a lungo, l’egocentrismo del tutto, subito e sempre continua ad avere la meglio e risulta difficile rimettersi in discussione per pensare a vie alternative. Perché, inevitabilmente, dopo un’epidemia, una guerra, una catastrofe, le cose e le persone non sono più le stesse di prima e impiegano tempo per trovare altre strade e riassestarsi in un nuovo equilibrio. Equilibrio che, inequivocabilmente, oggi passa attraverso la globalità e una ricchezza non concentrata solamente nelle mani di un’oligarchia. Poi la Sorella (forse più Sora Lella) d’Italia ha pure il coraggio – dettato probabilmente dall’inconsapevolezza e dal narcisismo di volersi dare da sé una certa importanza – di prendersela con John Lennon e la sua Imagine, pure affermando che chi non capisce l’inglese – che invece lei capisce – non può leggere e comprendere l’orrendo, pericolosissimo, nichilista messaggio comunista del testo. Come se la signorina, donna, madre e cristiana (ma non moglie… stato assolutamente improprio per una come lei, così attaccata alle tradizioni cattoliche apostoliche e soprattutto romane; dovrebbe sposarsi per essere dignitosamente presentabile), come esibito con orgoglio in vari comizi tempo addietro, fosse in grado di produrre una simile profondità di pensiero che solo artisti e poeti come Lennon riescono a comunicare con tale efficacia. Una fratellanza universale, che per una che orchestra un partito che si chiama Fratelli d’Italia e che dice di conoscere l’inglese è notevole non aver notato:

A brotherhood of man
Imagine all the people
Sharing all the world…

Per lei forse basta essere italiani e cristiani per avere un’identità visto che di altre cose sembrerebbe priva se non lo fosse. Ma già se si è italiani e non cristiani o religiosi, qualcosa non quadra? Una macchietta provinciale, poverina. Invece proprio l’equilibrio proposto da Imagine è qualcosa su cui riflettere per un futuro, considerarsi tutti persone e non uno migliore dell’altro solo per nascita.

Per colei, che fa le rivoluzioni del presepe, un concetto come quello dovrebbe essere fondamentale ma chissà per quale motivo non lo capisce. Forse le hanno tradotto male la canzone di Lennon.

https://www.facebook.com/giorgiameloni.paginaufficiale/posts/10156778443997645/

Quell’ansia presepesca è un’altra delle ansie identitarie che affliggono molti, nel nostro paese, i quali temono di perdere il bue, l’asinello e i pastorelli, simboli di un passato agreste abbellito dal suono delle ciaramelle e che sembra sia fondamentale come attività scolastica, più della Matematica, della Biologia, della Storia. Ecco perché ce l’hanno tutti con l’Azzolina, perché non ha introdotto come materia obbligatoria, come trait d’union tra cultura tradizionale e applicazioni tecniche, il Presepe complementare, da portare alla maturità; e chi non sa nominare tutte le statuine, dal portatore d’acqua, alla meretrice, allo spaventato, bocciato, perché immaturo e non conosce la vera e profonda identità degli italiani. Ora, io che nel presepe, pur conoscendolo perfettamente, non mi ci riconosco ma forse mi riconosco più nel Canzoniere di Petrarca o nel Tempo perduto di Proust, che ho studiato a scuola mentre il presepe me lo faceva la nonna a casa e non a scuola, immagino che sarei un pericoloso e anarchico apolide. Propongo una rivoluzione proustiana per un’identità collettiva più consapevole, il presepe lasciamolo alla Soralella che ama trastullarsi coi plastici in scatola di montaggio.

Qualcuno spieghi la complessità della realtà e le vere ansie di una nazione al Circo Italia ossia ai Capitani, alle Sorelelle d’Italia, ai Pinocchi di Rignano, ai Ciuchi pentastellati, ai Giuseppi, ai Gitanelli, (all’ex-cavaliere senza più il cavallo, totalmente botulinico, ormai spiegare qualcosa è impossibile, forse anche perché cavaliere inesistente) a irremovibili e ignoranti funzionari e impiegati amministrativi, agli intellettuali resi muti dagli influencer che dominano l’attualità – e la banalità – e a milioni di cittadini concentrati su sé stessi e sull’orticello di casa. Anche con dei disegnini o coi gesti, qualora non sapessero leggere.

Alla fine l’arma del covid-19 di cui parlavamo all’inizio, il ribaltamento totale dei punti di vista, potrebbe essere la riflessione necessaria per un possibile rinnovamento di un sistema che ha smesso di funzionare già da tempo. Perché non cogliere quest’occasione? Già, che stupido. Occorre pensare.

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