Imprenditori
Continuare Insieme: il Family Business oltre la crisi
La matematica della natura e le traiettorie dell’evoluzione si fondano su opposti paradigmi. Da un lato la natura insegue la conservazione dell’equilibrio – che sia energetico, di un sistema o di una specie poco cambia – raggiunto il quale cerca di cristallizzarne i processi che lo hanno generato e che proteggiamo col mantra abbiamo sempre fatto così. Dall’altro l’evoluzione prende le mosse dall’instabilità del contesto che quell’equilibrio ha reso obsoleto (inefficiente) – se non addirittura pericoloso per la sopravvivenza (inefficace) – accendendo i motori della creatività e della capacità di guardare oltre il presente (pre-vedere) per indovinare una nuova situazione di stabilità.
Accade così che contesti dove il cambiamento è la regola mettano a rischio la continuità del sistema (organizzazione, impresa, società) nella misura in cui l’accelerazione della complessità, ovvero della quantità e velocità delle informazioni da processare, supera la capacità di comprensione del singolo individuo.
Quella che chiamiamo oggi crisi globale è un ciclo pluridecennale particolarmente accidentato, all’incrocio tra:
- il crack della finanza del 2008, che ha messo a nudo i limiti del capitalismo così come lo conosciamo, facendo della nostra una crisi di civiltà, prima che economica;
- la Quarta rivoluzione industriale che ha accelerato digitalmente la discontinuità culturale e generazionale
- la Trans-Nazionalizzazione delle filiere globali nelle quali l’impresa opera, che ci ha messo in rete con una pluralità di culture
- la pandemia COVID-19, che ha generato una discontinuità cognitiva nella nostra capacità di comprendere il contesto e prevederne l’evoluzione
La competizione si sta spostando così su modelli di business chiamati a sostenere non più la mera transazione economica di prodotti e servizi, ma la ben più differenziale transazione di valore e di fiducia sottostante, nel nome di un equilibrio economico e sociale per tutti gli stakeholders e per l’ecosistema locale e transnazionale nel quale l’impresa è inserita.
Se a questo aggiungiamo che il 50% degli imprenditori familiari al comando ha più di 60 anni e la metà di questi più di 70, l’impresa familiare italiana ha bisogno oggi più che mai di indovinare le scelte giuste per la continuità, partendo dalla consapevolezza del vero valore complessivo dell’impresa, aprendosi a modelli di governance che rendano solidale e di mutuo interesse la partecipazione di tutti gli stakeholders e pianificando tempestivamente la trasmissione dell’impresa e del suo valore nel tempo.
Eccoci dunque scivolati nel nuovo decennio, il terzo del terzo millennio, un battere di ciglia di poco più di 500 settimane da aggiungere agli oltre 5 milioni di dominio della catena alimentare da parte di homo sapiens.
Eppure, nella misura in cui il tempo definisce l’evoluzione di una specie e ne perfeziona i meccanismi di sopravvivenza e continuità, la stessa intelligenza che ci ha resi signori della natura, non ha ancora prodotto modelli solidi e solidali che garantiscano uguaglianza, equa distribuzione delle risorse, sviluppo sostenibile e convivenza socialmente responsabile. Anzi. È bastato un virus – un microscopico aggregato di materiale biologico, che per l’incapacità di trasformare il cibo attraverso il metabolismo o di riprodursi da solo, non sappiamo neanche se catalogare o meno tra gli esseri viventi – a ricordarci la fragilità degli usi e costumi (questo il volgare nome della morale) che regolano la nostra vita economica e sociale.
Questo decennio – proprio questo – ci dirà se e come manterremo lo scettro, all’incrocio tra accelerazione digitale, discontinuità cognitiva e disillusione delle narrazioni fallite nell’ultimo secolo. Fascismo e Ordine, Comunismo e Uguaglianza, Finanzcapitalismo e Ricchezza.
Questo decennio nel suo avvio così imprevedibile, chiama tutti noi imprenditori familiari – fabbri e custodi dei saperi tecnici ed economici che producono l’80% del PIL globale ed impiegano due terzi della forza lavoro fisica e mentale dell’umanità – a ri-fondare le nostre imprese, progettandone allo stesso tempo la continuità. Non solo per sostenibilità economica, ma per l’impegno morale contratto con tutti gli stakeholders che nell’impresa mettono speranze, valori e prospettive.
Ecco che in queste condizioni la parola d’ordine della continuità diventa insieme, una rete di intelligenze al lavoro intorno allo stesso obiettivo, ideale, missione o visione, per superare i confini dell’individuo (non solo imprenditore), che sull’onda della stabilità che fu e dell’analogia con un passato che oggi è appena un ieri, cade nelle trappole dell’autoreferenzialità prima e della paura poi. Dietro alla retorica populista dell’imprenditore come padrone ricco ed evasore, la stragrande maggioranza delle imprese familiari – a parte rari casi di evasione, non dal fisco ma dagli impegni contratti con tutti gli stakeholders – rischia moltissimo tra crisi e incertezze, tra solitudini e burocrazie, e si merita a pieno diritto di essere trama e attore di un tessuto imprenditoriale che funzioni, alimentando non solo una sana economia di cui è la base, ma il progresso stesso della nostra civiltà e della sua antifragilità.
Nella misura in cui sapremo rileggere il contributo economico-sociale dell’impresa alla luce della meta-commodity fiducia – alla base di tutte le relazioni umane, di business o personali che siano – potremo aggregare tutte le intelligenze intercettabili nel perimetro degli stakeholders, aprendoci a modelli partecipativi sui quali costruire la continuità di impresa ed una governance virtuosa che la sostenga. Una continuità che spesso predestiniamo alla sola opzione del passaggio generazionale tout-court, precludendoci le numerose varianti che l’apertura di management, governance e capitale hanno da offrirci, fino all’estremo opposto del disimpegno. Disconsiderando (volutamente?) le preliminari e fondamentali verifiche su motivazione, inclinazione e preparazione delle nuove leve, consegniamo all’attuale crisi (che dal greco krisis significa proprio «scelta») un processo – quello del passaggio generazionale – talmente fallace da uccidere 85 tentativi su 100 di arrivare alla terza generazione.
Questo decennio ci chiama dunque tutti a mettere a sistema le nostre intelligenze, non solo nella dimensione professionale e personale che già dominiamo, ma in quella zona grigia nella quale dovremo per forza scrivere una nuova narrazione in cui riconoscerci protagonisti fieri e orgogliosi di abitare non tanto questo mondo, quanto la nostra dimensione umana e rendendo dignitoso quel futuro che abbiamo preso in prestito dai nostri figli.
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