Costume
Contabilità (Stra)Ordinaria
Non è gratificante tenere il conto dei morti e dei mutilati nel corso di un massacro. Neanche per chi in quel massacro non è – o non è ancora – direttamente coinvolto e non ha quindi da enumerare, nel novero, i cadaveri di persone a lui care. Tuttavia è un conto che va tenuto. Perché è l’unico conto che conta. Al confronto, il resto è vaniloquio, talvolta solo insulso e talaltra invece indegno. In guerra non si crepa per cause naturali. Chi muore, muore ammazzato. E dove c’è un ucciso c’è anche chi lo uccide. L’uccisore, qui, non uccide in preda a raptus, né ammazza per rabbia o per passione, neppure per odio personale perché non conosce l’ucciso né questo conosce lui. Uccide per paura d’essere a sua volta ucciso e perché lo si costringe a farlo. In guerra l’omicidio ha sempre dei mandanti che, al sicuro e senza nulla rischiare, ricattano i loro sicari al prezzo della vita stessa: uccidi o verrai ucciso dal nemico. E se il nemico non ti uccide lo farà, per lui, il sistema. I veri mandanti di quest’assassinio non pagheranno mai per il loro crimine. La loro presenza è troppo vaga, eterea, lontana. Sono in prima linea solo quando c’è da cantare la bellezza o quanto meno la necessità della guerra. Oppure quando si tratta di proclamarsi vittoriosi e passare all’incasso. Consiste proprio in questo ciò che rende la guerra un gioco così appetibile per chi la dichiara e se ne fa garante: l’assoluta impunibilità che essa assicura ai potenti e a chi la propaganda. Muoiono gli altri e muoiono a migliaia, ma per la loro morte non è necessario cercare alcun colpevole visto che ce n’è uno già pronto: IL NEMICO. E così, a farla franca, sono proprio i mandanti di quella carneficina, che se ne stanno al sicuro nelle loro ville, nei loro studi televisivi o, male che vada, nei loro bunker super attrezzati. Sotto le bombe non ne troverai uno neppure a cercarlo con il lanternino. E’ questa codardia ipocrita che li rende ripugnanti. Una viltà che rimane sempre al riparo della spessa muraglia di retorica patriottarda che pennivendoli prezzolati dagli stessi assassini edificano e manutengono; una truppa di genieri che, sui giornali, provvede nel contempo ad additare i capri espiatori, le streghe e le spie. Di questi crimini, però, dobbiamo tenere il registro anche se è un compito ingrato e anche se farlo si rivelasse inutile. Ne va infatti del nostro povero diritto – ormai cosa da nulla considerato lo stato della specie – di definirci uomini. Nella strage che avviene sotto i nostri occhi sono morti, fino ad oggi – i dati sono ovviamente in continua evoluzione grazie al meraviglioso flusso di armamenti garantito da chi quelle armi produce e commercializza – centomila soldati ucraini e altrettanti soldati russi. Ci sono dunque duecentomila famiglie (centinaia di migliaia di esseri umani) che, senza averne alcuna responsabilità, saranno segnate per tutta la loro rimanente esistenza dalle stimmate del massacro. Sono le famiglie degli ultimi, tra ucraini e russi. Quarantamila civili morti e parecchie migliaia di feriti e mutilati. Sono sempre gli ultimi tra gli ucraini. L’apparato infrastrutturale ucraino (viabilità, energia elettrica, distribuzione idrica…) al collasso e milioni di ucraini ormai senz’acqua e a lume di candela. I più poveri, naturalmente. Del rischio nucleare non parla nessuno. Pare che non esista. Per i prossimi decenni, comunque vada, l’Ucraina sarà una nazione a sovranità limitata, strozzata dai debiti e dipendente da altri perfino per la carta igienica. Ma questo non riguarda né Zelensky né il suo entourage di eroici milionari e figli di papà che hanno studiato ad Oxford e dirigono le operazioni dalla piscina di casa: loro non sono mai stati ricchi come adesso e si arricchiranno ancora di più grazie alla insperata notorietà che questa guerra gli regala. Riguarda invece migliaia di ucraini – sempre e solo loro: gli ultimi e i poveri – che già emigrano in condizioni disperate e che fra qualche anno conteremo a centinaia di migliaia o a milioni. Ma per loro e per allora ci saranno un Salvini e una Meloni a provvedere. Per adesso invece ci accontentiamo della signora Concita De Gregorio, nota femminista progressista, che, tra un’audace sortita in parrucchieria, una temeraria azione commando dall’estetista e una eroica permanenza nella trincea degli studi di La7, con i curatissimi capelli sciolti al vento della vittoria, comincia così il suo articoletto su Repubblica, mirato a denunciare i traditori e a metterli alla gogna: “La disastrata armata russa si ritira da Kherson e gli ucraini escono in strada a festeggiare”. Quello che gli ucraini hanno effettivamente da festeggiare in strada l’ho appena elencato. Peggio della retorica con cui si ammanta il massacro c’è solo il trionfalismo dei massacratori.
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