Costume
Coincidenze
Da anni ormai ce lo spiega anche il barista sotto casa – tra il cornetto e il cappuccino: “quest’epoca, signore caro, ha abolito le distanze e ha trasformato il pianeta in un villaggio globale”.
Resta inteso, ovviamente, che spostarsi da qui a lì se non hai l’auto (ma anche se ce l’hai) è fatica che fa tremare i polsi e richiede più tempo di un volo intercontinentale, ma questi sono dettagli. Diciamo pure che il barista, per linee generali, potrebbe non avere tutti i torti a dire quello che dice. E’ quello che non dice, però, che in realtà andrebbe detto prima che si freddi il cappuccino. Le distanze tra i punti x e y, infatti, non sono state abolite per merito del teletrasporto bensì perché quei due punti sono venuti magicamente a coincidere diventando lo stesso, identico, punto e x=y (e anche a,b…z).
Insomma il punto è questo: che quel punto (e ogni altro) coincide col punto nel quale il barista filosofo mi serve il cornetto e nel quale io me lo mangio mentre ancora è caldo.
L’intero pianeta è quel punto.
Perché l’intero pianeta si è trasformato in un solo luogo.
Un luogo comune di dimensioni planetarie che fagocita tutti i luoghi comuni baristici sul villaggio globale e che, pur preservando la difficoltà titanica di spostarsi da qui a lì senza mezzi propri fa sì che quel qui e quel lì siano la stessa cosa.
C’erano, una volta, tantissimi posti. Tutti raggiungibili – più o meno, per quanto scomodamente e a tempo debito – oppure no… ma si sapeva che c’erano. Quei posti sono scomparsi, tutti, anche se formalmente continuano a figurare sulla carta geografica.
Abbiamo dato via la Cina in originale e, in cambio, abbiamo ricevuto a domicilio una gigantografia del nostro tinello, che non sappiamo dove mettere. Dato via il Giappone, sostituito da una replica del calendario appeso in cucina. E l’India, il Tibet, la Persia…e con loro tutti gli altri Orienti. Perfino la Russia ci è venuta meno. Questa splendida, amorevole matrioska con il culo a oriente e gli occhi a occidente che ne conteneva un’altra col culo a occidente e che alluzzava a oriente, che ne conteneva ancora un’altra di nuovo rivolta a occidente e così via. Tutto è finito nel termovalorizzatore. Incenerito per produrre l’energia necessaria a tenere in movimento il mercato globale. In modo ecosostenibile, s’intende.
E le cose, ovviamente, non vanno meglio, dal lato degli Occidenti.
Le Americhe sono svanite: dal Canada alla Terra del Fuoco.
In cambio abbiamo ricevuto via mail Disneyland, Las Vegas e Hollywood che, alla fine, sono sempre lo stesso posto. Così possiamo andarcene in giro in pantofole da una parte all’altra del pianeta, come su un tapis roulant piazzato in camera, persuasi d’essere viaggiatori di lusso. Con le nostre Nike fatte in Malesia, i blue jeans cuciti a Delhi e uno smartphone iperaccessoriato confezionato a Pechino che ci misura la frequenza cardiaca e la pressione sanguigna – per farci praticare diete inverosimili e strabilianti follie alimentari – e ci fa fotografare tutto; un tutto che è sempre la stessa cosa.
Intanto per spostarci da qui a lì buttiamo sangue sopra un’automobile per metà coreana e per l’altra metà giapponese, uguale all’auto del nostro vicino che per metà è americana e per metà inglese. Vediamo film d’ogni nazione ma è sempre lo stesso film, diretto e prodotto da una replica in versione di lusso del nostro barista che, infatti, ci serve il cornetto in un bar che si chiama Hollywood. Oppure Vegas, Venice, London o Tokyo Cafè, dove se vuoi ti preparano anche il sushi. Tanto è sempre lo stesso, identico, posto. La bussola è impazzita e Oriente e Occidente si sono perduti negli anfratti della storia del mondo. Al posto loro abbiamo trovato un bigliettino con su scritto “torno subito” ma sappiamo benissimo che non è vero e che tra non molto perfino sulla luna troveremo lo stesso barista, lo stesso bar, lo stesso cappuccino, lo stesso cornetto e, on demand, lo stesso sushi e gli stessi profondissimi pensieri sul villaggio globale. Siamo relegati al perno intorno al quale girava l’ago di una bussola che non funziona ormai da un pezzo.
Perciò, purtroppo, quando penso a Damasco non mi vengono più in mente Harun al Rashid e le Mille e una Notte ma solo rovine.
La guerra? No, non c’entra nulla. E’ lo stesso per Londra e per Parigi. Solo che lì, tra le rovine, quelli che se lo possono permettere – e solo loro – ci fanno shopping, gli altri immaginano di andarci come immaginerebbero di vagare tra i campi del Tennessee e se ci vanno davvero ci vagano allo stesso modo, immobili e ubiqui, tanto un luogo vale l’altro perché ogni luogo è quello in cui già siamo.
Non saprei dire se è un bene o un male: a me, in fondo, non dispiace nemmeno (e poi ci ho sempre Jules Verne…) è solo che quando il barista, dopo le riflessioni sul villaggio globale e il cornetto mi serve col cappuccino quelle sui valori occidentali contrapposti a quelli orientali io, in preda alla disperazione, cambio il mio percorso mattutino e vado a fare colazione altrove. Sapendo però che è perfettamente inutile perché ci ritrovo lo stesso bar con lo stesso barista e le stesse minchiate dal momento che né il barista né le minchiate hanno vita propria. Sono solo una replica di quelle dette e scritte ogni giorno da Federico Rampini che è una replica di Alan Friedman che è una replica di Massimo Gramellini che è una replica di Gianrico Carofiglio che è una replica di…
Devi fare login per commentare
Accedi