Cibo
Tokyo Decadence. Il non Brasato senza Barolo
Come dire che da cosa nasce Cosa e molto spesso con Cosa, cosa non c’entra niente. Per esempio mangiare costa e anche viaggiare costa. E allora? E’ allora è passata l’epoca in cui rinunciavo a cosa o a Cosa nell’illusione gonfia di gioventù dei tempi migliori, perché oggi sospetto che di tempo buono non ce ne sia più moltissimo. Deve diventare l’epoca delle concessioni questa, roba minima s’intende, poco ambiziosa, ma reale. E’così che qualche settimana fa constatavo che il prossimo primo maggio sarà un lunedì e che il 25 aprile interrompe di martedì l’avvio della settimana lavorativa precedente. L’occasione per un viaggio low cost da solo? Per esempio mi piacerebbe tantissimo tornare a New York, ma mi sono immediatamente censurato per non indulgere nelle cose note, solo perché esenti dalla fatica di essere progettate. E così via pensando, seguendo non tanto propositi chiari, enunciati, ma vagando nella nebbia vaga che popola la mente quando raccoglie stimoli senza metterli in ordine. E nella nebbia si confondeva anche il fatto di non essere mai stato in Asia. Il fatto che l’anno scorso ho scartato l’idea di una vacanza in Giappone con Mariamedusa, perché ho immaginato fosse un’esperienza più adatta alle curiosità di un adulto. Il fatto di aver pensato che una buona idea per spendere meno, potrebbe essere separare i Paesi che hanno dismesso le pratiche di quantitative easing, da quelli che ancora le praticano più di noi e, per quanto difficilissimi da trovare, andare in questi ultimi. Quindi? USA no per il dollaro forte, Giappone sì per lo Yen debole. Un settimana sola vuole una città, ma una città importante, quindi Tokyo. Faccio una ricerca e stimo 450 euro per il volo, altri 500 per sette notti in albergo e altrettanti per stare là una settimana. Mille e cinque e si fa. Senza una vera ragione, ne ragionevolezza, speravo in qualcosa di meno dimenticando i cinquemilioni che costava un andata e ritorno tra gli anni ottanta e novanta. Ne parlo con Eleonora, la persona che più ha viaggiato tra quelle che conosco e lei mi obbliga a mettere nel giro almeno due giorni a Kyoto. Rifaccio dunque ricerche e conti, metto nel calcolo lo Shinkansen e un volo diretto che mi consentirebbe di stare via un giorno e una notte in più. Arriviamo sui duemila. Come faccio a recedere in zona mille e tre, mille e cinque? Da qui alla partenza, mi dico, posso provare a risparmiare in maniera strutturale sulla cucina e visto che prima della fine dell’inverno preparerò almeno tre o quattro volte il Brasato al Barolo, comincio da quello. Di solito lo cucino quando ho in casa un po’ di gente che non solo mangia il brasato al Barolo, ma che insieme al Brasato il Barolo vuole anche berselo. Tra quello buono, da bere e quello più semplice, per cucinare, fa almeno dieci bottiglie ossia tre o quattrocento euro di Barolo da qui a maggio. Un obiettivo può essere tagliare la cifra senza rinunciare completamente all’esperienza social-alimentare che rende possibile. Perché diciamocelo, se ben fatto un Brasato al Barolo cogli amici è questo ogni volta. Penso allora a una alternativa di carne che dovrà essere profumata di spezie, cotta nel vino e morbidissima. Da abbinare a una polenta morbida, ai Knoedel o a una Kartoffelsalat. Per la tecnica di cottura penso a quella del Peposo di Impruneta con il quale faccio sempre una bellissima figura con uno sforzo minimo. E’ così che dopo qualche tentativo è nato il Non Brasato (perché è più uno stracotto) Senza Barolo (perché sostituito da un altro vino).
Premessa
Io lo cuocio in una pentola di ghisa del diametro di 24 cm, ma immagino vada bene una qualsiasi altra pentola spessa, capace di resistere in forno per molte ore. Starei solo attento a non eccedere nel diametro: più largo il recipiente, maggiore la quantità di vino necessaria a ricoprire la carne.
Per quattro o cinque
Cappello del Prete da 1,2 A 1,5 kg. Due carote, due coste di sedano, tre foglie di alloro, due chiodi di garofano, una decina di grani di pepe nero, un cucchiaio di bacche di ginepro, una stecca di cannella, una bottiglia di Chianti. 50 grammi di burro più un pezzo e 50 grammi di farina.
La sera prima. Pulisco il pezzo di carne dalla pelle ancora aderente per permettere alla marinata di penetrare meglio. Intanto faccio bollire per dieci minuti il vino, poi aspetto che si raffreddi nuovamente. E’ sufficiente che smetta di essere bollente, altrimenti se versato subito sulla carne, ne scotta la superficie esterna, impedendo alla marinata e ai suoi profumi di penetrare. Taglio in grossi pezzi la costa di sedano e una carota. Prendo due bustine da tè (di quelle vuote) e ci distribuisco l’alloro tagliato a pezzetti, la bacche di ginepro la stecca di cannella sbriciolata. Riunisco tutto nella pentola o contenitore che userò per marinare e lascio in frigo per la notte.
Il mattino successivo. Accendo il forno e attendo che si stabilizzi sui cento gradi. Filtro il vino e lo riporto a temperatura ambiente dopo aver buttato le verdure della marinata. Non le bustine da tè con gli odori: quelle le tengo. Nella pentola di ghisa metto il pezzo di burro e faccio un soffritto con una media cipolla bianca e una costa di sedano tagliati molto sottili, quindi faccio rosolare il pezzo di carne su tutti i lati. Poi riunisco vino, bustine da thè con gli odori, grani di pepe nero sbriciolati con il mortaio e un paio di pizzichi di sale fino. Porto a sobbolire sui fornelli, quindi inserisco la pentola sigillata dal pesante coperchio in forno e non me ne preoccupo più per otto ore. La carne andrà solo girata ogni due ore con strumenti di legno in pratica cuocendo immersa nel liquido due ore per parte.
Al termine estraggo la carne e la metto al fresco o molto fresco. Non potendola inserire in frigo così calda la copro con il domo pack e la metto sul balcone per un’ora quindi in frigo per un’altra. Questo è importante perché sarà talmente morbida che per poterla tagliare senza che si sfaldi è necessario che sia completamente fredda. Ovvio che se ho un’altra notte di tempo il problema non si pone, altrimenti è importante calcolare bene tutto. Se la cena è alle otto, per esempio, è bene che l’ambaradan non cominci oltre le nove del mattino.
Butto le bustine da tè, metto sul fornello la pentola di ghisa e aggiungo un cucchiaio abbondante di roux bruno che avro’ fatto con i cinquanta grammi di burro e farina. Semplicemente sciolgo il burro in una piccola padella antiaderente e ci cuocio la farina per una quarantina minuti, ma girando e schiacciando il tutto costantemente col cucchiaio di legno per evitare che bruci. Un compito molto noioso, che riesco ad alleviare solo ascoltando delle vecchie compilation di Oscar Peterson conservate sull’ipod dai tempi in cui andavo in Grecia con Virginia e i bambini. Il Roux che avanzasse può essere surgelato.
Alla fine taglio la carne fredda a fette non eccessivamente spesse e ripongo in un piatto tondo. Prima di servire riscaldo nel microonde le fette di Non Brasato Senza Barolo, quindi le dispongo sul piatto di portata e le servo coperte da un po’ del sugo denso. Servo in tavola dove metterò anche una o due ciotole contenenti il sugo restante. A tutti piace aggiungerne.
A conti fatti se invece dei 400 euro di Barolo, ce la faccio con 150 di Chianti o anche di una corposa e secca Barbera, già Tokyo scende sotto quota mille e sette. Riducendo anche i Partàgas D6 che capita di spipazzare nelle more delle lunghe cotture, direi che da qui a maggio l’obiettivo mille e cinque è alla portata. I’ll keep you posted…
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