Cibo
Paladar Marconi Ouverture. Spezzatino alle Spezie con Zenzero e Semmelknödel
Era trascorsa una settimana intera, piovosa e immobile, dal pomeriggio in cui ho risposto alla mail di quelli di Chinese Whispers. Poche loro righe per invitarmi a far parte dell’associazione fondata a Zwolle nel 1979, poche righe mie per accettare e poi più nulla. Ho anche pensato a uno scherzo, ma nessuno si sarebbe divertito, nessuno ci avrebbe guadagnato, nessuno avrebbe potuto essere circuito o raggirato. Quindi, per quanto un’associazione di ristoranti domestici a offerta libera, che funziona solo col passaparola e a cui si accede su invito potesse sembrare una burla, era improbabile che lo fosse. E infatti mercoledì sera è arrivata la mail del primo potenziale ospite.
“Gentile signor Marconi, mi chiamo Petronio ho 53 anni. Mi piacerebbe cenare da lei la prossima domenica. Ho chiesto le sue referenze alla signora De Witt, moglie di un ex collega la cui casa frequentavo in Olanda, quando andavo alla Philips, azienda nella cui sede italiana allora lavoravo. Oggi faccio altro, vivo in Campania e con la mia fidanzata sarò a Milano per qualche giorno. Le sarei grato se facesse ritrovare a me, ma sopratutto a Lina che non lo conosce, quel genere di cucina nordica semplice, che ricordo dai tempi delle visite ad Eindhoven, senza però la sua grevità, la sua assenza di senso del peccato direi. Non abbiamo allergie, intolleranze, ne seguiamo una particolare dieta. Cordiali saluti Petronio Cervellati ”.
La signora De Witt ho immaginato fosse Abigail De Witt, che stando alla firma in calce alla prima mail di qualche giorno prima é la Presidente di Chinese Whispers, che quindi parrebbe esserci e funzionare davvero. Ammesso che una terza e-mail potesse render la cosa più reale di quanto fatto dalle prime due. Intanto però non capivo se questo signore fosse campano, milanese o cosa. Sembrava un esperto del nord Europa un po’ all’italiana, di quelli che quando gli dici Amburgo ti dicono che anche a loro piacciono le robe tedesche perchè vanno in Alto Adige fin da bambini. Insomma come dire che c’è un po’ di Boschi in molti di noi. Questo Petronio chiede cucina nordica come quando andava in Olanda alla casa madre della sua azienda, ma il nord culinario si estende da Bolzano a Helsinki. Io da mangiare cosa gli faccio?
Ci ho pensato per un’oretta, percorrendo mentalmente le ipotesi mentre cambiavo la terra al Mario, la pianta cui ho dato il nome di un amico e che da una settimana perdeva foglie. Poi ho risposto, “Gentile Signor Cervellati, grazie per la richiesta. Va bene, l’aspetto alle otto e mezza. Le ricordo che Chinese Whispers prevede una libera offerta in quanto contributo alle spese dichiarate. Cordiali saluti, Gerineldo Marconi.” La formula finale è un’altra regola dell’associazione, va scritta in calce alle accettazioni che a loro volto possono avvenire solo via mail; l’unica forma ammessa di contatto con i possibili ospiti. Credo una scelta per contenere gli incontinenti dello smart phone. L’ho inviata così, senza altre domande sul menù che avrei deciso io, anche perché non volevo passare troppo tempo in cucina tra sabato e domenica. La richiesta infatti era capitata in un momento inopportuno, volevo trascorrere due giorni a leggere Telex da Cuba; lo avevo comperato unicamente per aver visto su The Talks una foto della sua autrice, Rachel Kuschner: la cosa più Rock & Roll che abbia visto negli ultimi anni.
Il menù sarebbe stato uno spezzatino un po’ di lusso, accompagnato da un piatto di imperiale semplicità: i Knödel o Kloße. Meglio ancora Semmel Knödel, cioè fatti con il pane secco. Al senso del peccato ci avrebbe pensato lo spezzatino di vitello marinato alle spezie, paprika e curcuma, cotto poi con le fettine di zenzero. Pur restando fermi in un indefinito nord come con ogni stufato, umido, brasato o arrosto che non prevede il pomodoro, le spezie per marinare e lo zenzero mangiando, avrebbero aggiunto due ottave verso l’alto, facendo uscire il piatto dalla monotonia della carne.
Ipotizzo quantità per quattro persone. Quello che avanza si surgela.
Knödel o Kloße, ingredienti: 500 g di pane (secco, a cubetti), 250 cc di panna, una cipolla chiara, burro, prezzemolo tritato, sale, pepe noce moscata. Per sicurezza tengo a portata di mano del pangrattato e del latte.
La preparazione. Il pane secco in casa nessuno ce l’ha più, o almeno non nelle quantità che servono a preparare i vari piatti con i quali una o due volte la settimana si riciclava il pane. Io per fare i Knödel allora ne compero di vari tipi, purchè a crosta morbida, per un totale di circa mezzo chilo, lo taglio a cubetti piccoli e lo metto su due tegliette da pizza a seccare per qualche giorno. Il pane può anche essere un misto di bianco, scuro e comprendere le Brezel. Se ho avuto tempo per farlo seccare, bene! Altrimenti lo metto in forno a metà altezza, a 80 gradi e con la ventola/aria, dopo una ventina di minuti è secco e asciutto. Non va abbrustolito, , quindi di solito apro, controllo e rimesto i cubetti. Metto questo pane secco in una ciotola abbastanza grande. Intiepidisco la panna, molti dicono il latte, ma io uso la panna, che è il vero trucco per trasformare in qualcosa di soffice tutto ciò che prevede il pane e deve assumere le sembianze di una polpetta, comprese quelle di carne. Aggiungo un pizzico di sale, il pepe e una grattata abbondante di noce moscata e poi verso il liquido sui cubetti di pane. Faccio riposare e raffreddare dopo avere girato e schiacciato l’insieme. Intanto scaldo il burro in una padella per fare imbiondire la cipolla tritata fine, a fuoco basso, aggiungendo eventualmente un po’ d’acqua. Insieme, gli ultimi cinque minuti faccio andare un’abbondante manciata di prezzemolo tritato. Aggiungo il tutto all’impasto, mischio, in qualche minuto si raffredda, quindi sbatto le due uova e ci metto anche loro. Lavoro la massa con le mani per un paio di minuti: dovrà diventare soda e omogenea, ma anche morbida e lavorabile. Quando ritengo sia pronta, provo a fare il primo Knödel: dopo aver bagnato le mani (è un trucchetto importantissimo), prendo un pizzicone di impasto e formo una palla del diametro di circa 4 centimetri. Una sfera più piccola di una palla da tennis e più grande di una da golf. La palla formata deve essere fatta ruotare nel palmo delle due mani: se tiene e risulta soda sarà fatta, altrimenti nessun problema, il rimedio esiste. L’impasto troppo liquido si aggiusta aggiungendo il pangrattato, quello troppo duro aggiungendo con attenzione del latte tiepido. Le quantità indicate dovrebbero permettere di formare circa 12 Knödel.
Se cotti immediatamente non occorre fare altro, quando invece devono aspettare qualche ora, li ricopro con un velo di farina (basta spargerne un po’ su un tagliere e farci rotolare sopra la pallina) per evitare che attacchino tra loro e sul piatto nel quale li ripongo. I Knödel vanno cotti immediatamente prima di essere mangiati. E’ semplice e non impegna: porto a ebollizione una pentola con abbondante acqua, quando bolle abbasso al minimo affichè non bolle più, pur restando calda, quindi immergo i Knödel per una ventina di minuti. C’è gente, anche fior di tedeschi, che fa un Knödel di prova per vedere se l’impasto tiene. Io no, ma non è detto che abbia ragione. I Knödel di troppo possono essere surgelati e poi cotti nella medesima maniera di quelli non surgelati. Se invece ne avanzano di già cotti, possono essere mangiati il giorno dopo ripassati in padella con un filo di burro. Per me questa consuetudine però è troppo straniera.
Lo spezzatino di vitello alle spezie e zenzero. Ingredienti. Premetto una constatazione importante, benchè banale e forse per questo particolarmente vera come tutte le banalità: dopo molte delusioni da spezie amare o incapaci di contribuire ai piatti con l’aggiunta di sapore (sopratutto nel caso di curry, curcuma, pepe, ginepro e paprika dolce) ho constatato che spendendo qualcosa in più, parlo di pochi euro, anche cercando on line si trovano prodotti molto igliori. In questo caso per esempio ho adoperato la Paprika e la Curcuma de Il Mercante di Spezie. Dunque: 1 kg di spezzatino, bocconcini o polpa di vitello (non parti magrissime), mezzo litro di brodo meglio se di carne, altrimenti fatto con il dado bio, una cipolla, paprika, curcuma, una grossa radice di zenzero, sale e olio di semi buono.
La Preparazione. Da 24 a 4 ore prime di cuocerlo, unisco alla carne tagliata in grossi cubetti un cucchiaio raso di paprika dolce e altrettanta curcuma, 4 cucchiai di olio di semi, mischio in maniera da ungere e cospargere compiutamente la carne, ne siggillo il contenitore e faccio riposare in frigo in base al tempo di cui dispongo. Al momento della cottura la estraggo una mezz’ora prima e intanto sbuccio e taglio a fettine di uno o due centimentri la radice di zenzero. Copro poi il fondo di un tegame da 28 con un filo di olio di semi e faccio soffriggere una cipolla chiara tagliata fine, facendo attenzione a che non si bruciacchi. Quindi aggiungo la carne e la faccio rosolare da cinque a dieci minuti. Infine le fettine di zenzero, un primo pizzico di sale e due mestoli di brodo. Poi copro il tegame lasciando un ampio spiraglio, in maniera da far evaporare il liquido e addensare il contenuto che dovrà sobbollire. Lo spezzatino sarà pronto in circa un’ora, qualora seccasse troppo, aggiungo attentamente il brodo senza mai esagerare. Al termine dovrà esserci un sughetto abbondante, ma denso. Il sale si regola alla fine.
Petronio e Lina sono arrivati puntuali e perfettamente a proprio agio. Evidentemente ero l’unico alla sua prima volta con un ristorante domestico. Mi è sembrato corretto farli accomodare in sala, offrire l’aperitivo Paladar Marconi, un bicchiere di bianco Masieri e olive di Cerignola e lasciarli soli ad acclimatarsi. Si sono messi a scorrere i titoli sulla libreria. In sottofondo una complation di registrazioni di Duke Jordan con pezzi che andavano da quelli dei tempi americani a quelli registrati per la Steeplechase Records in Danimarca. Tanto per metterci ancora un po’ di Nord preso alla larga. Petronio era un uomo veramente grande, completamente privo di capelli nella metà anteriore della testa. Arrivando mi aveva stretto la mano forte e con un’aria serissima, che poteva intimorire se non fosse stato per due occhi azzuri e vivacissimi che esprimevano sorriso e calore. Lei una signora scura di capelli, ma con la pelle chiara e trasparente, era cordiale e molto disinvolta.
Dopo una ventina di minuti ho servito in tavola sei Knödel caldissimi, lo spezzatino e l’insalata iceberg. Io la detesto, ma al nord è comunissima. Da bere una Dreher da 66. Alla fine ne sarebbero servite due oltre a un altro paio di Knödel. Negli andirivieni dalla cucina ho osservato che lui era un mangiatore vero: metodico e inarrestabile. Mi ha colpito come tagliasse i bocconcini di vitello e sulla forchetta infilasse un pezzo di carne e una mezza fettina di zenzero, a volte unita a un po’ di Knödel, altre così, solo carne e zenzero o solo Knödel.
A parte questa cura minima della tavola da non lasciare mai sguarnita troppo a lungo, ho trascorso la serata in cucina, da solo, a leggere il libro della Kuschner e bere una Dreher anche io. Li ascoltavo chiacchierare: parlavano dei loro amici, dei miei libri, dell’Olanda, di altri posti in cui avevano mangiato. Finita le cena lei è andata in bagno, lui mi raggiunge in cucina e chiede quanto dovrebbe. Seguendo le regole di Chinese Whispers gli spiego che la cena è costata 13,2 euro per la carne, 4,79 il mezzo chilo di pane secco, 2 euro le due birre, 1,25 la panna, 1,42 per l’insalata, 1 euro per lo zenzero 0,8 il prezzemolo e un forfait di 5 euro per curcuma, paprika, cipolla, olio e condimenti minori. Immagino la regola ci sia oltre che per orientare le offerte, anche per permettere di capire a chi gira il mondo per case, cosa serve a cucinare in altri paesi e quanto costa.
“E l’aperitivo?” fa lui?
“Offre Paladar Marconi”, gli rispondo, “quindi il totale fa 29,46 euro di spese sostenute e tre ore e mezza trascorse in cucina.”
Sorride e dice, “scusami Gerineldo, in altri tempi avrei potuto essere più contributivo. Solo che è da un pò che va così.” E mi ha allungato un biglietto da venti e due da cinque. ” Io e Lina siamo insieme da soli sei mesi, prima ero sposato con due figlie. Che ho ancora. In effetti e per fortuna anche quella che era mia moglie c’è ancora. Quattro anni fa ci era sembrato di esserci arenati con la vita, quindi con lei abbiamo progettato di trasferire la famiglia negli Stati Uniti, per cambiare completamente le prospettive di tutti: la nostra di cinquantenni che sembrava dovessero essere grati al destino, non al proprio impegno, di avere un lavoro. Ma anche quella delle figlie studentesse incastrate a dimostrare di essere capaci di sopravvivere al sistema scolastico italiano, punitivo e frustrante. L’America ci era sembrata un posto un po’ più giocoso. Sono partiti loro, io li avrei raggiunti in un paio d’anni, intanto facevo avanti e indietro come potevo.”
Ha alzato le spalle sorridendomi con gli occhi, come per dire “semplice no?” E ha ripreso, “la faccio breve, Claudia, mia moglie però è arrivata in salita. Sopratutto all’inizio e per oltre un anno la scelta che era stata bella da pensare, era per lei difficile da vivere. Cosa fosse la solitudine e la nostalgia che ti scava lo stomaco noi mica lo si sapeva. E nemmeno l’importanza che può avere una nuova prospettiva in questi casi. Lei l’ha trovata nel marito della titolare dell’agenzia di viaggi per cui si era messa a lavorare.”
Si ferma un po’ e ironicamente fa schioccare lingua e palato in un “Thats it!” E prosegue, “il progetto americano, sopratutto per le ragazze, però resta in piedi e io continuo a doverlo sostenere. Mi sento come Domenico Mastronardi, un amico di quando ero ragazzo, lui più grande di me, che ha pagato per 5 anni una R4 rossa che aveva distrutto portandola a casa dalla concessionaria.”
L’ho ascoltato un po’ stupito della confidenza, ma anche dal suo giustificare i pochi soldi che mi aveva dato. L’offerta libera e indiscutibile la accettavo come parte del gioco.
Gli ho detto solo, “che brutta cosa ti è successa Petronio. Mi spiace.”
E lui, mentre sentivo Lina aprire la porta del bagno e riattraversare il corridoio verso la cucina “ma và! Cosa vuoi che sia successo, è successa la vita. Solo che mi concedo ancora il mangiare fuori, cosa che mi piace moltissimo, ma i ristoranti non posso più permettermeli”.
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