Cibo
La ricetta dell’aria fritta
Siete affascinati dai cocktail avanguardisti, dalla gastronomia critica o dalla cucina smaterializzata? Amate spiazzare il vostro tubo digerente in ogni circostanza? Rompete le palle a chiunque non vi prenda sul serio mentre parlate di parmigiane scomposte? Non vi giudichiamo, ciascuno ha le sue perversioni. Ad ogni modo, sappiatelo, lo chef veneto Nicola Dinato potrebbe aver introdotto nel proprio menù una pietanza in perfetta sintonia con le vostre attitudini: “l’aria fritta”.
“La servo come antipasto per ricordare ai miei clienti che devono sempre cercare di riempire la loro vita di esperienze vere”. E poi continua: “Aria fritta è un benvenuto di riflessione per far capire che stiamo vivendo un momento storico dove il nulla è sempre più importante. Contenuti volatili scorrono senza significato, facendo dimenticare i veri valori della vita”.
Caspita, niente male per un semplice stuzzichino. I salumi, i formaggi, le banali olive e altre pietanze vintage, non avevano mai osato un approccio pedagogico con l’avventore, almeno non esplicitamente. Si limitavano a rassicurarlo, a vendergli una prevedibilità confortevole, felice, illusoria, a massaggiarne il chiacchiericcio.
Su questa stessa linea, persino “il pelo nell’uovo”, proposto tempo addietro da uno chef molisano per ammonirci sull’inappagabilità della natura umana, ci sembra meno coraggioso, così come il pan bagnato servito agli amanti delle zuppe da uno chef lombardo a caccia di provocazioni kierkegaardiane.
Tuttavia, ne siamo consapevoli, la dialettica tra innovazione e tradizione, di cui sono piene le nostre orecchie gastrosensibili, non può arrestarsi, non può proprio, non ce la fa, glielo chiede il mercato, o la saggezza, difficile stabilirlo. Quindi, cerchiamo di capire meglio, al di là degli intenti didascalici dichiarati, in cosa consiste, tecnicamente, questa “aria fritta”: “Per friggere l’aria abbiamo pensato a una nuvola di tapioca, che andiamo a cucinare in forno e poi successivamente a friggere. Poi si avvolge nella carta assorbente, in modo da eliminare tutti i grassi. La cosa simpatica è che per dare quel tocco di aria andremo a inserire un po’ di ozono”.
Niente grassi, inutile accompagnarla con un flute di prosecchino spensierato per sgrassare, stonerebbe. Non c’è nulla da aggiungere a ciò che, per definizione, non aggiunge nulla. L’assenza dei “veri valori della vita” va in pressing sull’avventore proprio nel momento in cui si ritrova a consumare una portata prossima al niente, un niente insaporito, metafora perfetta dello spreco verbale, del discorso vuoto.
Quali siano, poi, questi “veri valori della vita” non ci è dato saperlo. A illuminarci dovrebbe provvedere l’incontro gustativo con la pietanza incriminata. Una roba simile a quella che accade con i biscotti della fortuna, senza ricorrere a fogliettini poco igienici e all’inizio del pasto, quando ha ancora senso introdurre dei concetti indigesti, spaesanti, nella testa dello sprovveduto convitato.
Ora, tutto questo astratto parlare di cibi astratti potrebbe aver scatenato in qualche oscurantista dalla fame barbarica una voglia incontenibile di prodotti impiastricciati, di indecifrabile provenienza, geneticamente modificati, di rutti cavernosi, di crapula altisonante. Una reazione viscerale – è il caso di dirlo – che, sebbene abbia una sua legittimità, non inficia il sacrosanto invito a non impantanarsi nell’aria fritta recapitatoci dal creativo chef veneto.
Meno aria fritta, dunque, e più silenzio, preferibile al discorso vuoto anche quando non offre in omaggio cosmesi spirituali o alta filosofia come avviene nei brani di Battiato, anche quando mette a disagio.
Il riprendere dimestichezza col silenzio potrebbe costituire il giusto completamento, la pars costruens, del percorso di problematizzazione del pasto avviato dalla frittura non metaforica dell’aria. Come tradurre il tutto in termini alimentari non è nostro compito, ma ci proviamo lo stesso.
Tentativo di ricetta: una collana di polpette impregnate di sugo tra loro inscindibili, da mangiare obbligatoriamente senza pause per evitare di macchiare qualunque cosa si trovi a tiro. Titolo del piatto: “il silenzio è d’oro” oppure “rumore di posate”.
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