Cibo
La nuova ristorazione fra sostenibilità e sperimentazione: donne, giovani, green
A Modica Bassa, in Sicilia, una chef di 23 anni, Francesca Barone, insieme alla sorella Carla di 25, ha dato il via a luglio a un ristorante innovativo e sperimentale, fondato sul connubio fra sostenibilità e cucina gourmet.
Solo pochi mesi prima Francesca e Carla si sono trovate a discutere col padre delle sorti di Fattoria delle Torri, storico ed elegante locale che lo chef Peppe Barone gestiva da anni, a cui erano affezionate, in cui erano cresciute e che dopo tanto tempo aveva bisogno di trasformarsi. Così è arrivata una piccola rivoluzione. Sono state loro, con le loro idee fresche e in sintonia con il mondo contemporaneo, a prenderlo in mano e dargli nuova linfa.
In cucina, Francesca ha coinvolto Chiara Danielli: trent’anni, milanese, si erano conosciute nel 2019 in Perù, durante uno stage in un ristorante di Lima ed entrambe nel pieno di un viaggio per l’America Latina, guidate dalla curiosità di assaggiare e conoscere. Così si sono ritrovate due anni dopo a immaginare insieme un menù che non dimenticasse le scoperte fatte viaggiando e che non fosse imbrigliato in nessun preconcetto. L’unica parola d’ordine è sostenibilità.
Così, se prima l’idea del ristorante era quella di portare materie prime anche dall’esterno e trasformarle adattandole alla cucina tradizionale siciliana, ora si fa l’opposto: materie prime della zona, possibilmente a chilometro zero, vengono trasformate per creare sapori e accostamenti inediti. Per evitare ogni forma di spreco, tutte le parti commestibili di vegetali e animali vengono usate, dalle interiora alla cotenna, magari in forma di chips! Ed è proprio questa assoluta attenzione all’ambiente che stimola continuamente a innovare e sperimentare.
Se entrate a Fattoria delle Torri, dunque, vedrete uno staff composto quasi solo di donne (Francesca e Chiara in cucina, la lavapiatti Maria e Carla, direttrice e sommelier, in sala insieme a Paolo Monello), sempre che non siano in giro per le campagne della zona a cercare produttori ed erbe aromatiche.
Qualche settimana fa sono andata a trovarle e, chiacchierando davanti a un dolce al carrubo e fave di cacao con gelato alle susine, è nata un’intervista a Francesca.
Avete dato il via alla nuova gestione di Fattoria delle torri a luglio di quest’anno. Ci pensavate da tanto? Raccontaci com’è iniziata e come hai preso questa decisione.
L’idea concreta di prendere la gestione di Fattoria è nata lo scorso inverno insieme a mia sorella e nostro padre, il quale ci ha interrogate su quale pensavamo potesse essere il futuro del ristorante. Io e Carla eravamo molto insicure sulla risposta da dare: da un lato ci sentivamo legate emotivamente a quel posto che dopo trent’anni è un po’ casa nostra, ma dall’altro ci sentivamo troppo poco preparate per affrontare una responsabilità grande come la gestione di un ristorante sotto ogni punto di vista. Dopo un breve confronto, ci siamo ritrovate da un giorno all’altro a dover decidere di quale colore tinteggiare le pareti e quale stoffa utilizzare per tappezzare i divani. Insomma come fosse la cosa più spontanea ci siamo immerse completamente nell’organizzazione per la riapertura. E alla fine, anche grazie al supporto di nostro padre, ce l’abbiamo fatta.
Innovazione e sperimentazione culinaria: che cosa cercate?
In questo momento a Fattoria stiamo impostando un tipo di cucina che parta da gusti e abbinamenti già consolidati e che si volga sia verso la tradizione gastronomica italiana, modificandone però le consistenze, le acidità, la sapidità, sia verso tradizioni culinarie del resto del mondo in modo da arricchire il boccone finale e renderlo più divertente. Per questa ragione penso che, in questa fase iniziale di Fattoria, innovazione e sperimentazione si fondano. Poi chissà come ci evolveremo!
Parliamo delle materie prime: quali sono le priorità nello sceglierle e quali sono le difficoltà che si incontrano?
Prima di scegliere un prodotto preferisco sempre scegliere il produttore, parlare con lui e visitare la sua azienda, mi piace sentirlo parlare e raccontare del suo lavoro. Ci sono dei criteri che tengo molto a rispettare nella scelta della materia prima: in particolare la stagionalità e l’utilizzo di metodi di produzione non intensivi ma che rispettino l’andamento e la crescita dell’essere vivente in questione senza forzature di alcun genere e che quindi siano sostenibili.
Le difficoltà che stiamo incontrando sono la scarsa disponibilità di alcuni prodotti con un rapporto qualità prezzo sostenibile e il fatto che la consegna di questi tipi di prodotto sia poco agevole per i ritmi di un ristorante. Per quanto riguarda la pesca, poi, è molto difficile trovare o rintracciare una cooperativa che faccia pesca sostenibile.
Ti ho sentita dire che il cliente non ha sempre ragione, tutt’altro: va educato. Questa è una visione del mondo. Ce la racconti?
Quando parlo di educare il cliente mi riferisco a due aspetti della comunicazione con quest’ultimo. Uno fa riferimento al gusto e ai preconcetti che molto spesso il cliente ha quando guarda e legge il menù, l’altro si riferisce a come molto spesso manca (da parte del cliente) quel pizzico di rispetto per chi lavora, per chi vive emozionalmente di questo lavoro, per chi è un professionista.
Tornando al primo aspetto, quello a cui tengo di più, molto spesso il cliente si limita a scegliere ciò di cui già conosce il gusto, o che pensa di conoscere, scartando ciò che crede non gli piaccia o di cui ha fatto brutta esperienza. Per evitare il problema ho scelto di lasciare le diciture citando solo gli ingredienti principali che compongono il piatto e nel menù degustazione ho deciso di non elencare nessun piatto. Il risultato è che la maggior parte dei clienti rimane sorpreso da ciò che ritrova nel piatto rispetto all’idea che aveva di esso.
Raccontaci un po’ qual è stato il tuo percorso e come ti sei formata.
Ho iniziato ad approcciarmi al mondo della cucina all’età di 14 anni a Fattoria, durante i mesi estivi, dopo una riflessione con mio padre sul mio futuro in cui gli dissi che volevo fare la cuoca: un po’ perché mi affascinava e volevo saperne di più e un po’ perché in quel mondo ci ero nata e cresciuta. Dopo due estati trascorse a Fattoria, mi mandò dalla sua amica Marilù del ristorante Pocho di Makari, vicino San Vito Lo Capo. Finito il liceo ho frequentato il corso di cucina presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Carlo Petrini a Pollenzo, durante il quale ho fatto anche uno stage presso il ristorante Ratanà a Milano e uno presso il ristorante Combal.zero di Davide Scabin. A queste esperienze sono seguiti gli stage presso La Montecchia della famiglia Alajmo, un breve stage presso il ristorante Malabar di Pedro Schiaffino a Lima, in Perù, e infine un periodo più lungo presso l’Hotel Signum della famiglia Caruso a Salina.
Com’è essere una donna in questo settore? E soprattutto, ora che hai il tuo posto a conduzione quasi esclusivamente femminile, cosa ti sembra che cambi?
Un giorno un mio collega mi disse che dovevo organizzare i miei lavori in cucina in modo da non dover mai avere bisogno di nessuno. Inizialmente risposi senza pensarci più di tanto, ma dopo mesi mi tornò in mente quella frase e mi accorsi che senza pensarci mi muovevo proprio così, senza dover chiedere aiuto a nessuno: non c’era pentola che io non potessi sollevare o stipetto a cui non potessi arrivare. Per una donna il lavoro è molto duro se circondata solo da uomini, è come se avessimo ritmi diversi, e non dimentichiamo le molestie che le donne devono subire dagli uomini sul posto di lavoro.
Quella di Fattoria è la mia prima esperienza tutta al femminile e sento veramente la differenza nell’atmosfera che si respira all’interno del ristorante: pacata, più collaborativa, rispettosa.
La ristorazione, almeno in Italia, è famosa per avere orari abbastanza inumani: turni che vanno dalle nove del mattino a mezzanotte, pochissimo tempo libero ed è un lavoro che (ancora) non è nemmeno riconosciuto come “usurante”. Posso immaginare che tutto ciò sia il risultato di un costo del lavoro troppo alto e che quindi difficilmente un ristoratore possa fare scelte diverse. Ma credi che ci sia margine di miglioramento?
Dopo la fine dell’ultima chiusura a causa della pandemia si è verificata una grandissima difficoltà nel trovare personale, nel campo della ristorazione in particolare, e la causa più comune è dovuta proprio al rapporto tra ore di lavoro e stipendio che non sono sempre direttamente proporzionali.
Nonostante le condizioni di lavoro nel corso del tempo siano migliorate, penso che questo sia un urlo da parte dei lavoratori per richiamare l’attenzione e rivedere tutto il sistema che regola le condizioni di lavoro nel settore della ristorazione in particolar modo.
Adesso che ho un punto di vista più completo, cioè sia da dipendente che da gestore, credo che prima di tutto il dipendente debba essere informato di più sui proprio diritti e doveri di lavoratore e quindi pretendere rispetto sul posto di lavoro; ma è anche fondamentale che lo Stato non carichi i proprietari di piccole imprese con infinite tasse da pagare per potersi permettere dei dipendenti.
Il cambiamento sta già avvenendo.
Alimentazione e ambiente sono due fra i temi che nella nostra epoca hanno più bisogno di attraversare, e stanno già in gran parte attraversando, una rivoluzione. Sono due questioni strettamente intrecciate, che stanno producendo enormi scontri anche generazionali: si pensi a Greta Thumberg al vertice Onu del 2019 e ai movimenti Fridays for Future, o a progetti come SoulFood Forestfarm che a Milano si occupa dell’agro-forestazione del Parco della Vettabbia.
Francesca Barone è una perfetta esponente di questa generazione, in cui il desiderio di innovazione e di guardare al futuro non può essere separato dall’urgenza della lotta al cambiamento climatico, né dal rispetto in sé della Terra e degli esseri viventi di cui poi ci nutriamo. Tutti aspetti che le precedenti generazioni si erano dimenticate, fra grande distribuzione, estrattivismo, colture e allevamenti intensivi.
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