Cibo

Ma è l’Expo della nutrizione o una grande abbuffata?

7 Aprile 2015

La cosa più certa è che si mangerà da bestia quando una ragione sociale come “Nutrire il Pianeta” avrebbe forse meritato se non l’esatto contrario, almeno una certa sensibilità per quella parte enorme di mondo che cibo non ne ha e di cui Expo Milano dovrebbe farsi pudicamente carico. Dice al proposito il sito di Expo (www.expo2015.org): «Per sei mesi Milano diventerà una vetrina mondiale in cui i Paesi mostreranno il meglio delle proprie tecnologie per dare una risposta concreta a un’esigenza vitale: riuscire a garantire cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti i popoli, nel rispetto del Pianeta e dei suoi equilibri».

Quando si dà un titolo alle esposizioni planetarie, si cerca di racchiudere in un’unica espressione il senso di un grande problema condiviso. “Nutrire il Pianeta” in questo senso era un’espressione felice, tre parole appena per illuminare l’oscurità umana, e chi voleva trasferire agli esecutori materiali, almeno nelle intenzioni originarie, un carico reale di responsabilità nello sviluppo del progetto, era certamente animato da buona fede e da buoni propositi, ma non poteva garantire che gli uomini, con i loro difetti e le loro debolezze (culturali e non), avrebbero poi dato un nobile seguito a quell’assunto iniziale.

Parliamo di noi, com’è giusto che sia come Paese organizzatore e come traino di una enorme macchina produttiva. Oggi, a pochissimi giorni dall’apertura, quel senso è completamente ribaltato, si sono invertiti vorticosamente i pianeti e chi doveva ricevere perché aveva poco o nulla, ora si ritrova ad avere ancora meno, perché la parte che avrebbe dovuto “cedere” porzioni di cibo, nel senso più filosofico ma anche in quello più letterale, è passata spaventosamente all’ingrasso di se stessa, producendosi in un’oscena e stellata moltiplicazione dei pani e dei pesci, come se la sovrintendenza di Expo 2015 toccasse alla Guida Michelin e non alla cultura stessa di quei Paesi.

Un’operazione commerciale che è riuscita a mettersi in moto per tempo e a non morire sotto i colpi degli scandali perché il food ne è ancora fortunatamente esente e che in mancanza di una guida spirituale (sì, ci sono state due o tre lamentazioni alte di Carlìn Petrini ma finito lì, come in una stanca, solita, rappresentazione) hanno preso pienamente il proscenio e non hanno alcuna intenzione di mollarlo.

Basta visitare alcuni dei siti più accreditati sul food (scattidigusto.it o dissapore.com) per accorgersi che questa macchina non ha attivato sostanzialmente nulla intorno alla cessione di “potere” nei confronti dei Paesi meno attrezzati, anzi se ne disinteressa bellamente, piuttosto imbastisce un grande giostra del cibo intorno ai suoi personalissimi fini estetico/pubblicitari vista la vetrina etico-planetaria. E quindi a “Identità Golose”, celebrato presidio dell’eccellenza culinaria, viene affidata l’organizzazione “di un temporary di classe con più di 150 coperti per la cui realizzazione sono stati scomodati due archistar” come Giulio Cappellini e Davide Groppi e in questo temporary, come cavolo lo chiamano loro, sguazzeranno per il tempo dell’Expo 26 grandi cuochi stellati che cucineranno le loro meraviglie, con prezzi che varieranno da 75 a 90 euro .

Niente di più niente di meno della lussuosa e annuale manifestazione di Identità Golose, che tanto piace perché libera da sensi di colpa mondialisti. Così il buon Farinetti. Il quale da straordinario venditore ed eccellente imprenditore ce la mena da mesi e mesi con la sua visione salvifica del food, con la biodiversità italiana, con i presidi, con i piccoli produttori e con il fatto che per Expo ci fa quasi un piacere a partecipare senza gara perché non ci guadagnerà (su questo lo scrivente non si “travaglia” granché, non mi scandalizza la mancata gara d’appalto, a pochi mesi dall’evento Eataly era una garanzia di solvibilità e Sala ha fatto un semplice ma intelligente atto di imperio).

Ma insomma, detto questo, parliamoci abbastanza chiaro Farinetti: ci sarà un ottimo Eataly all’interno di Expo2015 ma niente più di questo, nessuna istanza sociale, nessun respiro etico. Sarà affollato come tutti gli Eataly in giro per il mondo, ma nessuno, entrandoci, sarà portato a riflettere.  È mancata una regia. O proprio un regista. Ci sarebbe voluto Luca Ronconi a governare una nave che per un lungo tratto era impazzita, ci sarebbe voluto lui a far rispettare una sceneggiatura, il senso delle cose, il rispetto per un’emergenza del mondo. Ci sarebbe voluto lui, molto più di Cantone.

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