Governo
Chissà se va
Chissà se va. E se non va, non c’è nemmeno una novità.
Tutto vecchio nel nostro paese, l’aria di presunto e assai millantato rinnovamento che promettevano Meloni e Salvini appare già stantia e parecchio tarlata. Non so come gli italiani si siano fatti abbindolare da questi due piazzisti così facilmente sgamabili. Forse perché erano raccomandati dal cavalierissimo, che garantiva lui per loro, anche se colui sarebbe stato assai poco credibile dopo tutti i suoi guai colla giustizia, colle troie e, negli ultimi tempi, con un principio di demenza, camuffata, anche quella. Ma finché c’era la zampata del capo, perché è stato comunque un indiscusso e carismatico capo, che col suo fare fuori dagli schemi (soprattutto nel male) ha sempre preso tutti alla sprovvista, gli italiani si sono fidati che avrebbero avuto veramente pensioni per tutti, gnocca a volontà, mille e un quiz, contratti cogli italiani che firmava in diretta tv, eccetera.
Mi viene in mente Nino Frassica che, tanti anni fa, nel ruolo del presentatore dei quiz in “Indietro tutta!”, diceva alla falsa concorrente telefonica: “Brava, signora! Lei ha vinto 100 miliardi di lire!”
Cifre a caso che fanno effetto. Noi siamo un popolo di concorrenti.
A proposito di cifre, Salvini, nel suo piccolo, ha promesso solo 100.000 (bum!) posti di lavoro nell’opera più colossale del mondo, ossia il Ponte sullo Stretto. Chissà se alla fine si costruirà in corallo, forse in Lego, più probabile, come nel numero di Topolino del 1982 che ha sbandierato fiero qualche settimana fa, come se Topolino fosse un trattato d’ingegneria. Ma sono ben poca cosa rispetto al milione di posti di lavoro del cavaliere d’Italia, buonanima, che sarà post mortem pure riuscito a imbrogliare prima Caronte, proponendogli di acquistare una barca nuova da qualche suo amico e poi da san Pietro, a cui avrà proposto un baratto vantaggioso 3×2, riuscendo a farsi dare la chiave del Paradiso, magari cantando una canzoncina napoletana (Dduje paravise, per esempio, “Ah, San Pié’, chesti ccanzone / Sulo Napule ‘e ppò fá / Arapite stu barcone / A sentite ‘sta cittá?) o raccontandogli una delle sue famose barzellette:
Almeno, Berlusconi era grottescamente divertente, guitto nato e cresciuto. Salvini e Meloni sono di una tristezza, ma triiiiisti, oltre che, naturalmente, non meno perniciosi. Se Berlusconi fosse andato a Caivano, oltre a dispiacersi, magari seriamente, per le due ragazzine giovanissime stuprate, davanti alla preghiera della madre disperata di portarle via da quel luogo, avrebbe sicuramente detto: “Signora, le prometto che le bambine da ora in poi faranno carriera nelle mie televisioni, e anche lei, sa. Parli con la signora Minetti, certo che non vi lascio qui, vi porto tutte con me. Farete alzare l’audience delle mie trasmissioni. Poi quando saranno più grandicelle un lavoro glielo troviamo, stia sicura. Sapesse a quante donne ho dato lavoro… (sorriso) Magari faremo un’isola dei famosi per bambini e le bambine potrebbero davvero essere le reginette dell’isola. Qui è veramente un postaccio, ha ragione. Non c’è nemmeno un centro commerciale adeguato. La gente, se non compra, si annoia. Lo costruirò io, non dubiti. Ho già costruito tanti centri commerciali…” E così via.
Invece Meloni è di uno scontato veramente dozzinale “Lo Stato non vi abbandonerà” quando in realtà lo ha già fatto, bugiardona, anziché scusarsi per l’assenza prolungata e aver soppresso il reddito di cittadinanza che per moltissime persone era l’unica ancora di salvezza. Le solite formule di circostanza per non farsi linciare. La gente è fessa e continua a credere alle favole.
Meloni, e con lui tutti, ma proprio tutti, gli esponenti del governo usano formule e formulette che non significano nulla se non i soliti luoghi comuni della politica, ancora una volta, senza neanche lo sberleffo del cavaliere il quale, col suo sorriso porcellanato, riusciva a far cantare a tutti “Meno male che Silvio c’è”.
Certo, è da lì che parte tutto, e se questi guitti che improvvisano un governo sono lì lo devono a lui. Lui, invece aveva le idee ben chiare di come fare i propri interessi, facendo finta che fossero gli interessi di tutti gli italiani e riuscendo a illudere le stesse persone che oggi seguono Meloni e Salvini come fossero il Messia. Ma nel frattempo è successo qualcosa di irreversibile. In primo luogo Berlusconi non c’è più, il tempo passa inesorabile.
In secondo luogo la società è notevolmente peggiorata.
Si sta estinguendo la generazione che ha formato il Paese del dopoguerra, lavorando sodo senza tanti fronzoli, ed è una cosa cronologicamente naturale.
Per i motivi più vari si è accentuato il divario sociale che invece si era stabilizzato creando una classe media né ricca né povera ma che era la colonna portante del Paese.
Si è prodotta una fascia di giovani sempre più inconsapevoli e sempre più consumatori di sciocchezze, inducendo bisogni fittizi e costosi.
Si è confusa la ricchezza, legale e illegale, con benessere ed evoluzione sociale.
Si è prodotta una scuola che ha impoverito sempre più sia il bagaglio culturale generale che la reale possibilità di capire, seguire e sviluppare i talenti dei giovani ma il discorso della scuola è molto più complesso e forse va affrontato in un’analisi a parte, più approfondita e con tutti i dettagli, legati anche alla trasformazione della società e alle nuove tecnologie. Arriverà prossimamente, lo prometto.
Si è fatta strada, insieme al decadimento culturale e un aumento dell’analfabetismo di ritorno, la percezione di un mondo che sfugge di mano perché impossibile da raggiungere seppure promesso dalla politica, mostrato come una trappola per allodole con tutti i lustrini del caso. E la mancanza del raggiungimento del sogno promesso produce frustrazione e rabbia. Così ci si rifugia in futuri radiosi consumistici con prodotti a basso costo provenienti dall’Oriente o da paesi dove la manodopera costa quasi nulla, decentrando le imprese italiane in quei luoghi lontani e impoverendo il territorio nazionale, insieme all’esperienza artigianale tutta italica formata in anni di pratica. Spazzata via e irrecuperabile perché non c’è stata una continuità, una trasmissione della memoria, anche manuale. In compenso però, in quei paesi popolatissimi, è cresciuto un desiderio di rivalsa consumistica imitativa dei paesi dell’Occidente che a sua volta ha prodotto un enorme quantità di rifiuti dei nuovi miliardi di consumatori in crescita esponenziale, creando problemi epocali al pianeta.
Si è creata una nuova popolazione asservita al potere e dipendente dai media, acriticamente, facilmente manovrabile, dove non esiste più la riflessione approfondita ma una comunicazione fatta unicamente di slogan.
Meloni e Salvini, e non solo loro, sono il frutto di tutto questo ma chi se ne rende conto? Forse nemmeno loro. Un’opposizione fatta da persone anche quelle per buona parte fuori dal mondo, incapaci di elaborare nuove strategie per evitare derive dittatoriali e antidemocratiche, che da un lato corteggiano ambientalismi superficiali dall’altro antiche formule marxiane decontestualizzate, formulando bislacche teorie sul lavoro, sempre in un’ottica consumistica d’impronta statunitense, scimmiottando i presidenti (ora “democratici” ora conservatori, a seconda di chi governa) senza rendersi conto che di veramente democratici (considerare progressisti Obama e Hillary Clinton, che hanno acceso guerre per ogni dove mi sembra un insulto al progresso, anche se al confronto con Trump sembrano, di certo, “comunisti”) negli Stati Uniti non c’è nessuno: Yes, we can e cose così, ricordando Walter Veltroni. Parodie.
Per capire l’attualità ci vuole un buon esercizio di memoria, sia corta che lunga, la quale, nel nostro paese subisce vuoti notevoli. Si hanno rigurgiti di memorie arcaiche, meno facili da investigare e più semplici da accettare per un popolo di ignoranti, che a stento riesce a leggere nella propria lingua, e ci si scopre improvvisamente psicofascisti, una forma di fascismo lontana dai fasti del Ventennio ma profondamente ispirata al razzismo e alla superiorità del maschio alfa bianco, come dimostrano le derive sociali che riempiono le cronache dei quotidiani.
Lo psicofascismo è subdolo perché ovviamente non può far capo a personaggi ormai condannati dalla Storia, ma attinge a un concetto distorto di patria, di etnia e di famiglia che riemergono, organizzati nella fiera delle banalità e delle minchiate ideologiche, nel capolavoro psicoletterario del generale Vannacci, e che ha un preoccupante seguito tra le masse ormai prive di senso critico e di autoconsapevolezza. L’opposizione non si oppone con la giusta forza a questa deriva, dovrebbe succedere il finimondo. Questa morbidezza nei confronti del regressismo è indice di quanto le opposizioni siano blande, incapaci di un pensiero davvero nuovo e democratico organizzato. Si arrabattano dietro flebili posizioni realmente democratiche ma poi seguono il mainstream consumista, senza indicare una vita alternativa auspicabile e autenticamente possibile, non precettini della domenica da Grazia o Annabella.
Giusto per fare un esempio di quanto siano sulla strada sbagliata i “democratici”, basti pensare a cosa ha fatto una pluridecennale giunta come quella fiorentina, democratica solo di nome, che ha permesso la trasformazione di Firenze in una Disneyland senza frontiere, snaturando per sempre la città e distruggendone la società. L’idea di Grande Bellezza secondo i criteri di consumo americani è puramente fittizia, si apre bottega alle 9 e si chiude alle 18. Poi la “movida”, ossia la giungla. E la città, dopo essere stata usata tutto il giorno da cavallette, diventa ostaggio di tutti, turisti per caso, studenti per caso, ubriachi per scelta, delinquenti per scelta. Ma il bello è che la parte politica che si opporrebbe a questa svendita della città farebbe perfino peggio, proprio perché, oltre alla conoscenza reale del territorio e della Storia, manca anche una vera visione. Ovviamente, entrambe le visioni delle due parti politiche sono estremamente provinciali, come è provinciale ormai tutto nel nostro Paese. Ho fatto l’esempio di Firenze perché è il più evidente, ma il Paese è costellato di esempi così. La “movida”, in tutte le città, è diventata una calamità. E si riallaccia alla trasformazione della società di cui parlavo prima.
Pasolini, genio di un secolo fa, queste cose le aveva viste e comprese più a fondo di tutti e aveva lanciato i suoi avvertimenti. Scomodo, naturalmente. Via, fatto fuori. Se chiedete a un giovane medio chi fosse Pasolini risponderebbero: un calciatore? Un vip del Grande Fratello? Un cantante? Sì, c’è una via che si chiama così che sta in periferia, al Trionfale, ma chi era? Boh.
Forse bisognerebbe ripartire dall’analisi dei suoi scritti, cercando di riprendere la trama del ricamo perverso che è stato realizzato negli ultimi decenni e capire cosa si deve sostituire per un futuro migliore per tutti. È un’impresa titanica, naturalmente, anche perché la maggior parte della gente non è in grado di capire ed è esasperata, non ha la voglia né la pazienza di fermarsi e riflettere, ha solo rabbia. Il tutto e subito ha la sua doppia faccia, fondendosi coll’egocentrismo e l’intolleranza tipici dei nostri tempi. E non mi sembra che la politica abbia voglia di occuparsene. Io posso limitarmi a ricordarlo, almeno per non perdere la memoria. E così si va avanti per inerzia, se per caso cadesse il mondo io mi sposto un po’ più in là.
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