Società

Chi parla male, pensa male. E viceversa

10 Dicembre 2023

Massimo Arcangeli, nelle righe di chiusura del suo libro– Il generale ha scritto anche cose giuste (Bollati Boringhieri) -,  scrive che “dalle affermazioni e dalle posizioni ideologiche del generale [Vannacci] ha preso le distanze Guido Crosetto. Nei suoi riguardi il ministro della Difesa, di concerto con le Forze Armate, ha avviato un’indagine interna per un procedimento disciplinare da parte dei vertici militari di cui, al momento in cui scrivo, non si conoscono gli esiti”. Per poi concludere: “Restiamo pazientemente in attesa” [p. 117]

Non credo che la nomina, lo scorso 3 dicembre con effettività immediata, a capo di stato maggiore del comando delle forze operative terrestri/comando operativo esercito indichi o esprima un provvedimento disciplinare. Non mi pare.

Questo non significa che il volume di Massimo Arcangeli sia superato nei fatti. Anzi forse è ancora utile leggerlo per tornare a riflettere non solo sul libro che è stato il caso dell’estate – ovvero Il mondo al contrario – bensì sulle convinzioni profonde di un Paese che è sempre bene conoscere per quello che è.

Del testo di Roberto Vannacci si possono dire molte cose, ma certo quello che è più interessante è il fatto che il suo successo indica un dato su cui giustamente Arcangeli insiste: dice che c’è un profondo senso comune con cui non abbiamo fatto i conti, o che pensavamo di averli fatti.

Riguarda il concetto di contronatura il fatto che secondo Vannacci siamo molto solerti a curare gli animali, ma non ci prendiamo cura degli anziani. Oppure l’insistenza sui temi del genere, sul diritto all’odio, anzi sulla sua rivendicazione come macchina veritiera che rompe con un sistema di relazioni false (ma allora come la mettiamo con il rispetto per gli anziani?)

Comunque lo si rigiri, ed è questa probabilmente la vera utilità del libro si Arcangeli, il testo di Roberto Vannacci non mette a nudo i luoghi comuni, ma la fierezza di rivendicarli, l’orgoglio di dimostrare che non si è ceduto. In una parola che si veri e che tutto il sistema delle buone maniere è solo una finta.

Quello che sottolinea Arcangeli è forse minimale ma è essenziale.

Ovvero che problema è sicuramente che per parlare bene, occorre pensare bene e dunque capire il significato dele parole come ci ha invitato Beatrice Cristalli con il suo Parla bene pensa bene (Bompiani), ma che poi non è solo un problema di quante cognizioni abbiamo, ma della consapevolezza di essere in un tempo vuoto, in un tempo di malafede come aveva intuito molti anni fa Nicola Chiaromonte. E in quel tempo vuoto l’appello a dare importanza alle parole, per questo di parlare bene, o viceversa di “parlare male” per citare Michele Apicella in Palombella Rossa.

Non è più tanto l’invito a migliorare la comunicazione, ma prendere atto di un altro tempo.

Che già allora, nel 1990, era in via di estinzione e che ora sembra dominante.

Venti anni dopo, nell’estate del 2011, è stato Maurizio Viroli a sottolineare come quella condizione avesse fatto un passo ulteriore: educare le persone a sentire, pensare, e parlare bene, osserva Viroli, ora genera l’accusa infamante: “moralisti, elitisti!”.

La premura diviene non stimolare a crescere, ma proteggere il luogo comune che c’è, dargli dignità, riconoscerlo come «sapere». Come tutte le cose che si percepisce potrebbero declinare o essere minacciate dalla «barbarie» della cultura che avanza, proteggerlo, tutelarlo, riconoscergli la dignità di uno stile e dunque garantirne la vita.

Ovvero «viva ciò che si è» e, per carità, «niente trasformazione».

In tempi di dominio della paura, l’aspirazione al futuro è «stare fermi». Meglio se arretriamo.

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