Parlamento

C’era una volta un Fato Smemorino…

20 Maggio 2021

Oggi il politicamente corretto e i suoi cortocircuiti fanno indignare i soliti leghisti che s’infuriano per il gender e per i suoi eccessi, a loro dire.

Il solito Simone Pillon non ne perde una per indignarsi ogni qualvolta ci siano gay di mezzo, chissà perché… Dicono gli psicanalisti o anche gli psicologi che chi s’indigna e urla allo scandalo in genere è perché l’oggetto dello scandalo è un suo problema non risolto. In termini proprio spicci, per la casalinga di Voghera (sperando di non essere portato in tribunale per discriminazione contro le casalinghe) equivale al “chi disprezza compra”. Sarà così anche per Pillon? Nessuno vuole insinuare, per carità, ma insomma, ci sono studi psicologici notevoli su casi così. Si sbaglieranno, certo, che volete, la psicologia non è una scienza esatta.

Stepmothers in love secondo José Rodolfo Loaiza

La pietra dello scandalo è che nella prossima versione di Cenerentola al cinema non ci sarà la Fata Madrina o Smemorina – che evidentemente era stanca di fare sempre lo stesso ruolo e magari avrà accettato finalmente di fare la Fatalona in qualche altro film – ma un Fato e pure nero e pure gay. Scandalissimo! Il massimo della trasgressione! Così s’insegna ai bambini il gender! È una vergogna, poveri cinni, indifesi davanti a un Fato gay che fa sognare Cinderella e la fa arrivare al ballo tutta agghingondata. Signora mia, manco le favole si salvano più.

Naturalmente all’ignoranza non c’è mai fine. È l’amara constatazione che ci tocca constatare davanti alle esternazioni o, più adeguatamente, starnazzamenti, di chi spesso si erge a difensore del pudore. Sembra quasi un film di Pietro Germi, ricordate Signore & signori (1966)?

Accade che le favole, attraverso i secoli, cambino personaggi e, cambiando i personaggi, cambi a volte anche il sesso dei personaggi. Questo pochi lo sanno, Pillon insieme a milioni di altri che non lo sanno, forse. Accade, che ci possiamo fare.

Restando su Cenerentola andiamo a un esempio illustrissimo e tutto italico. Non si potrebbe trovare di meglio per far emergere l’ignoranza e il pregiudizio di questi moderni paladini della purezza e della morale.

Jacopo Ferretti, che scrisse il libretto de La Cenerentola di Gioachino Rossini, uno dei nostri massimi compositori, i cui resti giacciono in Santa Croce a Firenze, fece uno stravolgimento gender nel 1816 (il 25 gennaio 1817 avvenne la prima al Teatro Valle di Roma, la città del papa!) della nota fiaba di Charles Perrault (Contes de ma mère l’Oye, 1695-97). Udite, tutti udite! La matrigna diventò un patrigno, Don Magnifico, e la fata fu sostituita da Alidoro, precettore del principe Don Ramiro che alla fine sposerà Angelina, ossia Cenerentola. Le sorellastre rimangono sorellastre. Alidoro s’introduce travestito da mendicante nella casa di Don Magnifico per esplorare la purezza d’animo e la generosità delle tre sorelle in modo da individuare la sposa adatta a un principe. Non c’è scarpetta di vetro abbandonata (invenzione di Perrault) ma uno smaniglio. Tutti vissero felici, contenti e perdonati. Che Alidoro fosse etero o omo, questo il libretto non lo dice. Di certo era scapolo, che per quei tempi poteva essere sospetto, ma ai fini della narrazione le sue scelte sessuali importavano poco, erano più importanti quelle di Angelina e del principe. Nero forse potrebbe esserlo, Alidoro, qualora il basso che lo interpreta lo sia. Non credo si possa impedire né scandalizzarsi, e neanche se la cantante che copre il ruolo di Cenerentola sia nera (o gialla, o rossa, o verde).

Nessuno si scandalizzò del cambio di sesso dei personaggi, ed eravamo a Roma nel 1817.

Ma c’è ancora di più! E qui ci avviciniamo ai tempi nostri, sebbene in un paese dalla Storia complessa e anche qui con problemi tra i generi. Si tratta del meraviglioso balletto di Sergej Prokof’ev intitolato, appunto, Cenerentola, la cui prima avvenne a Mosca nel 1945. I soliti comunisti! Potrebbe tuonare qualcuno. Tuoni pure, ma la Storia questa è, non si può cambiare. L’adattamento per il palcoscenico del libretto di Nikolaj Volkov, sempre traendo spunto da Perrault, previde un ampliamento della scena della vestizione delle sorellastre e la moltiplicazione della Fata: non più una ma ben quattro, le Fate delle Quattro Stagioni. Tutte femmine.

Ma andiamo alla pietra dello scandalo, che oggi farebbe inorridire il nostro Simone Pillon, che sicuramente non conosce tutti questi adattamenti delle favole. Le Sorellastre, udite, tutti udite!, sono interpretate da due uomini, travestiti e truccati da donne, con un effetto caricaturale esilarante.

Le sorellastre di Cenerentola secondo Prokof’ev

Sia La Cenerentola di Rossini che il balletto di Prokof’ev sono due titoli che si trovano perennemente in cartellone dei più importanti teatri del pianeta. E, ad assistere a questi capolavori dell’ingegno umano non mancano mai i bambini tra gli spettatori, che si divertono sempre un mondo tra gli spericolati vocalizzi di Angelina e di Don Ramiro e i travestimenti russi. Probabilmente Pillon non lo sa perché lui segue la sua idea di gender e della pericolosissima contaminazione che i bambini potranno subire andando a vedere il prossimo film hollywoodiano. O probabilmente perché a teatro non ci va mai e potrebbe quindi essere assai disinformato. Eppure dal nutrito cv che si trova su Wikipedia risulterebbe aver fatto studi classici e aver proseguito fino a laurearsi in giurisprudenza, oltre ad aver fatto il militare tra gli alpini, colla piuma sul cappello, che ci sta sempre bene. Vediamo oggi che figurone fa in giro il generale Figliuolo colla penna in capo, veramente decorativo.

Ma, aspetta, caro Pillon, che c’è di più! Tu non te lo puoi ricordare perché sei nato nel 1971, ma nel 1960 apparve un film, sempre a Hollywood, che si intitolava “Il cenerentolo” ed aveva come protagonista nientemeno che Jerry Lewis, oppresso dalla matrigna e dai fratellastri. E qui il suo padrino, un illusionista, gli farà avere la sua notte di sogno colla principessa. Che mi dici adesso, Pillon? Certo, si potrebbe rimediare colla cultura, ma è evidente a tutti, lippis et tonsoribus, ai ciechi e ai barbieri, che dalle quelle parti latiti.

Ma c’è ancora di più, caro Pillon, che se non ci fossi bisognerebbe inventarti. Proprio poco prima di quando nascevi tu, alla RAI (ALLA RAI! In tempi in cui c’erano censure rigorosissime e non si poteva neanche dire “membro” del Parlamento) ci fu un altro ribaltone genderico sempre sulla stessa favola: Il cenerentolo (1969), musical col bravissimo Lando Buzzanca, dove lui è, appunto, il cenerentolo, e si chiama Lucio. Io avevo nove anni e me lo ricordo benissimo. Gay avevo scoperto di esserlo già da qualche anno. Non fu la favola a farmi ripensare alla mia umana condizione.

Non vorremmo infierire ma purtroppo il dovere di informazione ci obbliga a considerare anche la trasposizione della favola secondo la visione partenopea di Roberto De Simone: La gatta cenerentola (1977), ispirata alla versione de Lo culto de li cunti (1636) di Giambattista Basile, precedente a Perrault, il quale vi si ispirò, dove i ruoli della matrigna e delle SEI sorellastre sono tutti interpretati da uomini… E magari scoprire così che la favola di Cenerentola in realtà si tramanda in mille versioni dall’antichità. Mi spiace dover infierire ma è così. La Storia e la storia non le ho fatte io.

Peppe Barra, la favolosa matrigna de La gatta cenerentola.

Ahi, ahi, ahi! Ma perché la mia memoria prodigiosa mi infligge queste sfide… E mi tocca infliggere una volta in più uno smacco alla superficialità dell’onorevole indignato.

Che poi sono tutte esperienze bellissime che ho avuto nella mia vita e a cui mi ritengo fortunato di aver potuto assistere. Bene, devi sapere, caro Pillon, che nel lontano 1976, cioè quando tu avevi cinque anni, Rita Cirio scrisse un libro delizioso, dove interpretava la favola di Cenerentola secondo i punti di vista dei registi e drammaturghi dall’antichità classica alla contemporaneità. Cenerigone secondo Eschilo, Cenerentolina secondo Goldoni, Blue Boy era il principe azzurro in un Cenerentolo gay con una matrigna alcolizzata secondo Tennessee Williams, e poi Cenerentola che era anche la matrigna la fata turchina e le sorellastre tutte insieme secondo Pirandello, una scarpetta illuminata nel buio, tirata da una corda, con musica minimalista secondo Bob Wilson, una Cenerentola sepolta da scarpette da ballo secondo Beckett, una sorta di Giorni felici di Cenerentola, fino ad arrivare a Strindberg, Brecht, a Garinei e Giovannini e così via. Si intitolava Dodici Cenerentole in cerca di autore con illustrazioni di Emanuele Luzzati. Dodici esilaranti esercizi di stile. Ne fu tratto uno spettacolo indimenticabile dal Teatro della Tosse di Genova, con la regia dell’immenso Filippo Crivelli. Io lo vidi a Milano negli anni 80, al Teatro dell’Elfo. E poi ancora un’altra volta a Genova in una successiva ripresa, proprio al Teatro della Tosse, nei primi Duemila. Come vorrei rivederlo ancora, ancora e ancora e come sarebbe necessario, oggi, che ci fosse una testimonianza video di questo spettacolo. Ci scommetto che tu, Pillon, manco sapevi dell’esistenza di un simile capolavoro. Ci scommetto dieci euro. Giusto per il piacere del gioco.

Possiamo dire tranquillamente a Simone Pillon di tornare a studiare le favole – forse anche altro, anche un po’ di comunicazione, per esempio – visto che evidentemente non le conosce a fondo e soprattutto non conosce come le favole, in quanto tali, possono anche essere cambiate nel corso del tempo e adattate. Perfino nella prossima dove la Fata è un Fato e pure nero e gay. Pensiamo solamente alle antiche favole di Esopo, poi a quelle di Fedro che ispirarono La Fontaine e poi Trilussa. Pillon forse conosce a malapena la versione disneyana di alcune favole. Almeno questo si deduce dal suo povero post che alleghiamo per dimostrare che non ci inventiamo nulla.

Proviamo ad analizzare il messaggio che è stato pubblicamente rilasciato su un social. Si dichiara che i sogni dei bambini sarebbero in pericolo e strappati da qualcosa di non meglio definito. Vorremmo sapere, e rivendichiamo con orgoglio questa nostra richiesta, su quali testi è spiegato il sesso delle fate. Hanno un apparato riproduttore? Faranno le uova, come gli uccelli o gli insetti, visto che hanno le ali? Forse si riproducono per partenogenesi, generando fatini e fatine? Oppure sono sterili, o sono come gli angeli, senza sesso? Perché anche su questo, qualora si trovasse un testo valido, approvato dal consiglio accademico dell’Accademia delle Favole, è importante, perbacco. Soprattutto per salvaguardare l’integrità mentale dei poveri cinni che assisteranno a questo sconvolgimento. Ma soprattutto perché crescano con le idee chiare.

Buonini, buonini, buonini… forse ho trovato qualcosa. Risulta da un’accurata indagine che il Principe Schiaccianoci, il protagonista dell’omonima fiaba di E.T.A. Hoffmann, sia il figlio della Fata Confetto. Solo questa notizia, captata sfogliando qui e là. Forse è un’eccezione.

Per favore, quando non si conosce nient’altro che il proprio mondo che termina a dieci centimetri da sé stessi, come viene reso evidente – l’unica cosa evidente di quel post – al mondo intero, quello che sta oltre i propri dieci centimetri, forse sarebbe meglio stare zittini ed evitare di dire una minchiata dopo l’altra. Il politicamente corretto vorrebbe che un politico farebbe meglio a tacere per evitare magre figure. Spero che nel partito facciano una lavata di capo che non finisce più perché la Lega ha fatto una figuraccia epocale (una in più, certo, visto che le figuracce leghiste non si contano). Ricordatevelo, elettori, che tipo di problemi assillano i leghisti. Sic transit gloria mundi.

 

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