Società

Cara Innocenzi, non c’è solo Buzzi a occuparsi di Rom (anzi)

6 Dicembre 2014

Quando in prima serata su La7 Giulia Innocenzi ripete più volte “Buzzi capo delle cooperative che gestivano i campi rom” commette un errore grave: butta nel calderone pieno di marciume di Salvatore Buzzi tutte le associazioni che da anni si occupano dei “campi nomadi della Capitale”, mescola il lavoro di tanti operatori sociali che ogni giorno convivono col disagio e la segregazione all’inciucio del braccio destro di Carminati. Probabilmente non lo fa consapevolmente, ma lo stesso contribuisce a creare un immaginario pericoloso.

 La semplificazione giornalistica spesso impedisce di cogliere la complessità dei fenomeni generando così vittime innocenti. In questo caso tutte le realtà del terzo settore che con le modalità criminose di Buzzi non hanno nulla a che fare. Realtà che in questi giorni stanno rivendicando il lavoro svolto e che si vedono costrette a giustificarsi per evitare di finire nel calderone di cui sopra. Scrive l’Arci Solidarietà in una lettera pubblica: “Noi e molte altre organizzazioni del settore operiamo con un codice etico investendo oltre l’80% delle nostre risorse nel lavoro e reinvestendo tutto il resto nei progetti sociali. Nulla resta nelle nostre tasche né va nelle tasche altrui per avere favoritismi. Tutte cose che possiamo dimostrare in qualsiasi momento, se solo un’informazione meno attenta al facile sensazionalismo fosse interessata a verificarlo e a farlo emergere”.

Antonio Ardolino, ricercatore ed educatore, in un’intervista di due giorni fa su Today.it sottolinea come “Gli operatori stanno facendo un lavoro clamoroso per due lire e la loro incolumità, insieme a quella degli utenti, è continuamente a rischio. Le operatrici di Tor Sapienza hanno gestito una situazione rischiosissima in prima persona“.

Chi, per mille euro al mese, lavora nei campi rom inciampando nella spazzatura, scontrandosi con i pregiudizi (da una parte e dall’altra), lottando per fare rispettare diritti e doveri non merita di essere accostato, nemmeno per sbaglio, a un disegno criminale e mafioso che nel terzo settore ha trovato terreno fertile per fare affari sporchi. Questi lavoratori meritano invece il riconoscimento del loro impegno che nelle periferie, nei campi rom e ovunque ci sia degrado e povertà, vale, in termini di sicurezza sociale, più di mille telecamere.

Ecco, su questo bisognerebbe ragionare. E forse allora una cosa buona può venire fuori da questa vicenda. Può servire a riaccenderei riflettori (o a puntarli nella direzione giusta) sul welfare a Roma. Un sistema che durante la giunta Alemanno è stato smantellato pezzo dopo pezzo. Dai progetti 285 nelle periferie, che offrivano a molti ragazzi un’alternativa al welfare delle mafie (vedi articolo di Carmen Vogani qui su Gli Stati Generali), ai servizi di riduzione del danno per i tossicodipendenti (che sono tornati a stazionare sotto i ponti), ai disabili che si sono visti tagliare drasticamente le ore di assistenza.

Nei prossimi giorni ci saranno due momenti importanti per riflettere sul presente e immaginare il futuro: l’assemblea di domani (7 dicembre) “Mafia Capitale, per una città dei diritti” alle 16.30 Sala  Consiliare del Municipio 5, Piazza della Marranella,a Tor Pignattara e l’11 dicembre alle 11 al Cesv in via Liberiana con il Roma Social pride (che riunisce molte associazioni e cooperative capitoline)  per un incontro dal titolo “Rigeneriamo Roma, rigeneriamo il welfare”. L’occasione per ripartire e ricostruire è ora e la speranza è che la parte sana del terzo settore si allei sulla base dei principi, investendo sui punti comuni e lasciando da parte le differenze e il protagonismo dei singoli. La posta in gioco è troppo alta e sarebbe un peccato sprecare questa occasione.

 

 

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