Società
Brescia leonessa di teatro (sociale)
Si avverte un interessante fermento tutto teatrale a Brescia.
In un fine settimana capita, infatti, di passare dalle proposte del CTB, lo storico teatro stabile nato nel 1974, a un festival indipendente, giovane e già vivacissimo, che mette assieme spettacoli che nascono dal lavoro nel disagio sociale ad altri che fermano percorsi storici di assoluta qualità.
Così, nelle pulitissime vie del centro, si incontrano operatori di tutta Italia, chiamati a convegno proprio per discutere sul “movimento” – possiamo ormai chiamarlo così – di quanti fanno teatro d’arte nei territori complessi della marginalità. Dunque artisti, studiosi, organizzatori, si sono trovati a Brescia, a fine marzo, chiamati a raccolta dal Festival Metamorfosi, organizzato con passione e capacità dal gruppo Teatro19, in collaborazione con la compagnia Animali Celesti e UOP23 degli Spedali Civili di Brescia.
E la città, storicamente attenta alla funzione integrativa e interazionale del teatro, grazie anche alla solida presenza dell’Università Cattolica, riesce a coordinare bene tutti questi fermenti, coinvogliandoli in una rete (chiamata Extraordinario) fatta di slanci e collaborazioni, di incontri e prospettive diverse, che mette assieme amministratori locali – di grande impatto il coordinamento e l’orientamento dato dagli Assessorati alla Cultura e al Sociale della città –, teatro pubblico, gruppi indipendenti e alcune associazioni attive nel settore.
Allora, dicevo, capita di andare nella storica sala Santa Chiara del CTB Centro Teatrale Bresciano e trovarvi il nuovo lavoro di un regista e attore come Valter Malosti, che completa un trittico sentimentale all’interno dell’opera poetica di William Shakespeare. Dopo i bellissimi Venere e Adone e Lo stupro di Lucrezia, ecco dunque una robusta versione dei Sonetti, in una scelta di brani (ben fatta con il drammaturgo Fabrizio Sinisi), che diventa un lungo, articolato monologo. Nel piccolo spazio del Santa Chiara, allestito come un quadro rinascimentale, in cui primo piano e sfondo, movimento e staticità segnano prospettive di affascinante fuggevolezza, vagamente evocative di certe immagini care a Bob Wilson, ecco un clown irridente, amaro nel suo scintillante costume, mentre un simil-William tutto osserva e commenta senza farsi udire. È un Toro Scatenato alla fine della carriera, quel clown cui Malosti dà mosse quasi fosse un De Niro che – vestendo i panni del pugile Jack LaMotta ormai ritirato – in uno stanco cabaret racconta scherzi d’amore all’indirizzo di un ragazzo bellissimo e statuario (Marcello Spinetta). I giochi di parole, le invenzioni poetiche del Bardo diventano gag lanciate con autoironia, quasi con una blanda compassione per sé, per l’amore inseguito, sognato, desiderato: c’è una disperazione cupa e goffa, addirittura patetica, in quel desiderio inappagabile e forse inappagato.
Poi, smessi i panni del pagliaccio, ecco l’uomo, o l’attore, una valigia e i vestiti borghesi, quotidiani, trovare rinnovati, ma forse languidi slanci, una pulsione per la donna – qui è magnetica Michela Lucenti – la dark lady, misteriosa creatura che forse si incontrerà con il giovane tanto desiderato. Non tutto funziona, sicuramente lo spettacolo va rodato, ma è interessante e spiazzante quanto e come Malosti, nella sua regia, punti direttamente al versante fisico, eminentemente erotico, quasi osceno, dei poemi shakespeariani. Mostra un uomo desiderante, consapevole del tempo che passa, della caducità del corpo, del tepore che svanisce di amplesso in amplesso. Le parole sono il suggello a questa lenta, inesorabile mancanza d’amore. E la danza evidente, smaccatamente nuda di due giovani, il ragazzo desiderato e un poeta rivale (o se stesso in un’altra età, in un sogno, interpretato da Maurizio Camilli), sono forse il ricordo, l’ultima suggestione di amori che segnano per sempre la nostalgia.
Finito lo spettacolo, c’è poco tempo per correre al Palazzo Moca, al teatrino gestito dal gruppo Idra, altra realtà bresciana, per entrare nel vivo del Festival Metamorfosi e assistere a La ballata, studio sul Minotauro presentato dalla gentile e generosa Silvia Battaglio, in un lavoro ancora acerbo, aperto e in crescita; e poi per vedere il suggestivo L’ombra, tappa di un affondo sul tema del doppio, diretto da Francesca Mainetti, con i gemelli Giovanni e Roberto Lunardini, attori “non professionisti” che hanno talento e presenza intrigante. Anche in questo caso, un percorso di ricerca ancora in divenire, che potrebbe maturare presto, evocando quella che potrebbe essere una versione oscura e contemporanea di certi lavori di Rem&Cap.
Ancora una piccola pausa per poi confrontarsi con Commedia Matta, l’esito del laboratorio, non privo di ironia, degli utenti della UOP23 curato dalla stessa Mainetti con le altre fondatrici di Teatro19, Roberta Moneta e Valeria Battaini (anche in scena assieme agli utenti dell’Unità operativa psichiatrica).
Infine l’appassionato pubblico può entrare nelle meravigliose estasi di The Hidden Sayings, presentato dal Workcenter Jerzy Grotowski and Thomas Richards, Open Program, con la guida sicura e garbata di Mario Biagini. È un viaggio nello spazio e nel tempo, questo lavoro che unisce scritture bibliche e canti popolari, con piccole danze che compongono raffinate, impalpabili, millimetriche coreografie degli impeccabili protagonisti biancovestiti. E lo spettatore si trova dolcemente accompagnato nel cuore dell’Africa o ai Caraibi, in Egitto o negli Stati Uniti, in un lontano Est Europeo oppure ancora in qualche paese sperduto del Sud America. Gli interpreti del Workcenter, come sempre magistralmente presenti a loro stessi e al pubblico, regalano questa poetica “cerimonia del canto”, condividendo delicati gesti, sorrisi, sguardi, movimenti. L’esito è un’armonia (che sanno creare: non c’è bisogno di amplificazioni, in questi casi!), semplice e ricchissima, immediata, misteriosa, antica e sempre nuova.
Voglio citarli, come sempre, tutti: con Mario Biagini sono la soave Agnieska Kazimierska, Pauline Lulhe, Eduardo Landim, la sempre brava Felicita Marcelli, Daniel Mattar, Jorge Romero Mora, Graziele Sena Da Silva. Ed è bella, va detto, la potente presenza del Workcenter in un festival dedicato al teatro sociale d’arte: quando si tratta di incontrare l’Altro o di provare a capire cosa rende l’uomo simile all’uomo attraverso la ricerca teatrale.
(In copertina, una scena di The Hidden Sayings, foto di Piotr Nykowski Poza Okiem)
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