Legislazione
Born in the USA: lo ius soli negli Stati Uniti, e noi
Si torna a parlare di diritti civili. Matteo Renzi aveva fatto dello ius soli uno dei punti portanti del suo programma, sia alle primarie del 2012 che a quelle del 2013. A quanto pare il governo fa sul serio e a breve si discuterà in Parlamento la sua proposta , appoggiata anche da Forza Italia. Il progetto prevede uno ius soli attenuato, può diventare italiano chi è nato su suolo italiano e abbia fatto almeno un ciclo scolastico completo. Allo stato attuale invece occorre che lo straniero nato in Italia risieda nel nostro paese fino al compimento dei 18 anni, momento in cui deve farne richiesta all’ufficiale dello stato civile del comune di residenza.
È interessante analizzare la legislazione in materia di cittadinanza di uno stato come gli USA, dove lo ius soli è adottato in maniera integrale: chi nasce su suolo americano è statunitense, senza alcuna procedura, filtro o temperamento. Un principio del genere è lontanissimo dalla cultura giuridica europea, perché nasce in un contesto a noi fortunatamente sconosciuto. Il risultato politico più importante raggiunto dopo la guerra civile americana fu l’abolizione della schiavitù, ottenuta con l’approvazione del tredicesimo emendamento proposto da Lincoln e dal Partito Repubblicano. ll 18 dicembre 1865 venne formalizzata la ratifica dell’emendamento che si affiancò al Proclama di Emancipazione del 1863; i circa 40mila schiavi che ancora vivevano in territorio statunitense furono quindi liberati.
La tensione tra gli ex confederati ed il governo federale rimaneva comunque altissima: gli Stati Uniti avevano sì reso illegale l’utilizzo di schiavi ma moltissimi stati del sud erano riusciti ad aggirare la disposizione costituzionale con leggi o comportamenti contrastanti, ad esempio ignorando, o addirittura incoraggiando, disparità basate sul colore della pelle nella fase di registrazione alle liste elettorali (in America per votare bisogna fare esplicita richiesta al collegio elettorale di residenza). Il governo federale provò ad intervenire con il Civil Rights Act senza troppo successo. Una legge ordinaria infatti presentava due problemi: il primo, intuitivo, è che sarebbe bastata una maggioranza semplice al Congresso per modificarla; il secondo, non meno importante, è il rischio di incostituzionalità, particolarmente elevato viste anche le precedenti sentenze della Corte Suprema, caso Dred Scott v. Sandford del 1857 su tutti.
Si arrivò così all’approvazione del XIV emendamento, grazie al quale il birthright citizenship divenne un principio costituzionalmente protetto. Nella prima parte l’emendamento contiene una definizione molto ampia di cittadinanza: “Tutte le persone nate o naturalizzate negli Stati Uniti e soggette alla loro sovranità sono cittadini degli Stati Uniti e dello Stato in cui risiedono”. Mediante le tre successive clausole, l’emendamento protegge i cittadini da eventuali abusi degli stati di appartenenza: “[1]Nessuno Stato porrà in essere o darà esecuzione a leggi che disconoscano i privilegi o le immunità di cui godono i cittadini degli Stati Uniti in quanto tali; e [2]nessuno Stato priverà alcuna persona della vita, della libertà o delle sue proprietà, senza giusto processo, [3] né rifiuterà ad alcuno, nell’ambito della sua sovranità, la uguale protezione accordata dalle leggi.”
Nei decenni successivi il XIV emendamento ha contribuito notevolmente all’emancipazione degli afroamericani, ma ha anche contribuito a consolidare l’identità nazionale americana. Gli Stati Uniti sono stati fondati da immigrati e per grandissima parte della loro storia hanno incentivato l’arrivo di stranieri nel loro paese. In questo, lo ius soli ha giocato una parte fondamentale, tanto da rendere proverbiale l’attaccamento che gli Americani hanno nei confronti della loro madre patria.
Negli ultimi anni tuttavia, la politica statunitense in materia di immigrazione è per forza di cose cambiata. La forte richiesta di stranieri non esiste più ed anzi riuscire ad ottenere un visto è cosa piuttosto complicata. Inoltre, specialmente negli stati del sud ovest confinanti con il Messico, la percezione di essere “invasi” è aumentata sensibilmente. Secondo Wikipedia tra il 1º ottobre 2003 ed il 30 aprile 2004, 660.390 persone sono state arrestate dalla polizia statunitense mentre cercavano di attraversare illegalmente il confine, e considerando che in questo calcolo non sono computati i clandestini non arrestati il fenomeno ha proporzioni gigantesche. Per rendere l’idea basta ricordare che sulle coste italiane nel 2013 sono arrivati 42.925 migranti.
Tutto ciò ha generato un forte dibattito sull’opportunità di mantenere il XIV emendamento. Anche perché, come spiegato da Michealne Risley sull’Huffington Post, lo ius soli ha creato due tipi di abuso della modalità con cui si acquisisce la cittadinanza americana.
La prima forma di abuso viene colloquialmente definita “anchor babies” e si tratta della pratica adottata dagli immigrati clandestini: avere un bambino negli USA per “ancorarsi” in quel paese. Ciò comporta un effettivo costo a carico del contribuente americano (si calcola che ogni anno nascono 340.000 bambini da genitori immigrati illegalmente) anche solo per l’allestimento delle sale parto e per la degenza post-parto delle madri. L’ala conservatrice del partito repubblicano considera queste persone come parassiti, usufruiscono della sanità e della scuola americana a bassissimo costo, si dice, quando invece gli stranieri arrivati legalmente sono costretti a pagare rette maggiorate.
L’anno scorso Paul Ryan, peso massimo del Partito Repubblicano e candidato alla vicepresidenza con Mitt Romney nel 2012, ha usato parole durissime nei confronti degli immigrati irregolari, dichiarandosi favorevole ad una modifica del XIV emendamento e all’introduzione dello ius sanguinis. Questa dichiarazione ha chiaramente sollevato molte polemiche, soprattutto per il termine utilizzato: “anchor babies” è ritenuta un’espressione molto offensiva, e in genere anche i politici più conservatori in materia di immigrazione tendono ad evitarla. Va detto che le critiche al XIV emendamento provengono anche da una parte del Partito Democratico: nel 1993 il senatore del Nevada Harry Reid propose di eliminare il birthright citizenship, senza riuscirvi.
L’altra forma di abuso è conosciuta col nome di “birth tourist”. In alcune aree del paese negli ultimi anni il fenomeno, detto appunto, turismo delle nascite, ha conosciuto un vero e proprio boom: secondo il National Center for Health Statistics il numero di nati da donne straniere venute ogni anno apposta negli USA è aumentato del 49% dal 2000 al 2008 (da 5,009 a 7,462) . Queste persone, in genere piuttosto ricche, nelle ultime fasi della gravidanza volano verso gli Stati Uniti e soggiornano in speciali “hotel di maternità” . Le donne restano giusto il tempo di partorire e di ottenere certificati di nascita degli Stati Uniti e dei passaporti per i loro neonati, e poi tornano indietro. Questo fa sì che per i loro bambini in futuro sarà molto più semplice poter usufruire dell’eccellente sistema universitario americano: niente visto, niente problemi burocratici, eccetera. Tecnicamente un birth tourist potrebbe anche diventare presidente, se volesse.
In genere di questo fenomeno si parla di meno, è poco diffuso e dunque meno percepito, ma ultimamente ci sono state proteste all’esterno delle strutture che rendono possibile il turismo delle nascite. L’idea di garantire la cittadinanza a chi nasce su suolo statunitense è in ogni caso ancora considerata una policy vincente da gran parte dell’opinione pubblica americana, anche per il contesto storico in cui è maturata.
Tornando all’Italia, va chiarito che lo ius sanguinis, e cioè l’acquisto automatico della cittadinanza dei propri genitori, ha precise e motivate ragioni storiche. La ratio di una legislazione del genere è la sua capacità di tutelare i diritti dei discendenti dei propri cittadini. È infatti un principio adottato da paesi a forte emigrazione storica e caratterizzati da confini incerti, esempi importanti sono Italia e Germania, ma la tendenza è più o meno generale in tutta Europa. Nel nostro paese la questione degli emigrati storici è particolarmente importante anche a livello elettorale: alle elezioni politiche possono votare emigrati all’estero di terza o quarta generazione, perché in possesso di passaporto italiano.
La norma va certamente adattata al nostro tempo, ma non è “arretrata” o “assurda” come spesso viene detto nei dibattiti sul tema. Ai sostenitori dello ius soli senza se e senza ma andrebbe fatto notare che in Italia non esiste il problema di garantire i diritti degli schiavi appena liberati (grazie a Dio), e che al contrario l’adozione di una regola del genere, senza temperamenti, potrebbe addirittura produrre più danni che altro. Per questo la proposta del governo appare sensata.
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