Sanità
Beato quel popolo che non ha bisogno di eroi, ma si prende le sue responsabilità
In questi giorni, dai social network ai media tradizionali, ricorre con altissima frequenza l’uso della parola eroe applicata a chi, in realtà da sempre, lavora per tutelare la nostra salute. Eroi i medici, gli infermieri, il personale sanitario, Oss e addetti alle pulizie. La parola eroe ci piace, perché mette a posto la nostra coscienza, il nostro bisogno di mostrare gratitudine – sacrosanta – nei confronti di queste categorie, ma non richiede alcun tipo di azione, alcuna reazione rispetto al sistema che ci ha portati a domandargli tanto sacrificio. Eroi nazionali, come in tempo di guerra e come in tempo di guerra non ci si domanda, troppo spesso, quali siano state le cause che hanno scatenato la battaglia.
Certo gli eroi sono coloro che tutti i giorni si battono sul campo, ma la guerra, vera o metaforica che sia, chi l’ha causata? La similitudine costante, utilizzata nella narrazione giornalistica, fra questa epidemia e la guerra personalmente non mi piace, ma se può servire a qualcosa, questo qualcosa è la miglior comprensione delle dinamiche che stiamo vivendo. La diffusione del Covid 19 non è la causa profonda di questa guerra (la Storia ci insegna che, in ogni fenomeno di conflitto umano esistono cause profonde e cause scatenanti), ma la causa scatenante. Una sorta di assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando. Le cause antiche sono invece quelle che hanno condotto al quasi collasso del sistema sanitario nazionale, che hanno impedito, di fatto per settimane, un intervento più drastico di restrizione, per motivazioni di tipo economico (e non si dica per tutelare qualche tipo di libertà di aperitivo, il problema ha ben altra portata rispetto al divertimento o al fatturato di un bar), motivazioni che chiederanno il conto, in modo ancor più assurdo dato che le altre nazioni hanno avuto l’esempio italiano come apripista, a tutto il sistema di produzione capitalistico.
La scelta di tagliare costantemente la spesa pubblica anche se in modo indiretto (che significa meno fondi per la sanità, per il sociale, per le diseguaglianze) si paga e lo stiamo vedendo ora. Non si tratta semplicemente di una scelta politica, ma della scelta di un Paese che, nella sua maggioranza, ha sempre espresso un sincero fastidio per il termine tassazione e contributo, che vede un tasso di evasione fiscale sempre crescente e un numero di lavoratori in nero che si stima attorno i 2,9 milioni di persone. Questo cosa comporta? Comporta tagli di spesa, perché se i soldi non ci sono non si possono investire. Quindi meno posti in rianimazione, meno contratti per medici, infermieri e personale sanitario, meno investimenti in prevenzione.
A questo si aggiunga il tema della sanità privata, della regolamentazione di un sistema che prevede convenzioni ormai di carattere strutturale, funzionali forse in un momento di quiete (e anche su questo si potrebbe discutere), ma non efficaci in tempo di crisi. Ed ecco che le cause della guerra appaiono molto più complesse rispetto all’arrivo inaspettato di un virus che abbiamo preferito pensare fosse da “ristorante cinese”.
Eppure, anche nella percezione del problema, siamo passati da capro espiatorio a capro espiatorio. Prima i cittadini con tratti somatici orientali (spero non vi siate già dimenticati i pestaggi nei confronti di cittadini italiani di etnia cinese, filippina, coreana…), poi i forzati dell’aperitivo o della cena fuori, poi i ragazzini nei parchi, ora chi corre. E poi?
Ci sono lavoratori che quotidianamente escono per svolgere il loro lavoro, funzionale alla nostra quarantena, come chi lavora nei supermercati, i piccoli commercianti, chi lavora ai mercati generali, gli addetti alle telecomunicazioni, i farmacisti, chi lavora in banca e nei servizi essenziali, badanti e assistenti domiciliari, gli autisti di mezzi pubblici, ma anche soprattutto gli operai in fabbrica. Sono tanti. Li vediamo per strada e spesso devono anche sorbirsi gli insulti di chi, per dovere morale, si sente titolato a passare il tempo sul balcone a vigilare sul passaggio. Persone che si sentono anche rimproverare il mancato controllo di figli che – non so se ci siamo tutti dimenticati di come ragionavamo a quattordici anni – tendono ad ignorare il pericolo e le raccomandazioni di genitori “pesanti” non appena questi escono di casa.
Capri espiatori che ci fanno sentire meglio, nella nostro ruolo di cittadini responsabili, come ci fa sentire meglio utilizzare la parola eroe. Eroi e antieroi di una guerra di cui ci sfugge il mandante.
Se nel mare magnum degli appelli che in questi giorni si susseguono (giustamente) sullo stare a casa ne potessimo aggiungere alcuni a noi stessi, forse non sarebbe sbagliato. Smettendola, magari, d’inseguire la retorica dell’eroe. I nostri medici, infermieri, oss e personale impegnato negli ospedali tutto sono dei professionisti di altissimo livello e grande responsabilità. Sono dei cavalieri del lavoro casomai, sono persone alle quali dobbiamo riconoscenza e soprattutto riconoscimento.
Non vorrei che, finita l’emergenza, finito il momento di pathos nazionalpopolare del “siamo tutti orgogliosi di essere italiani, onore a voi!” e degli applausi da terrazzo tornassimo a ritenere tollerabili frasi come “occorrono tagli alla spesa pubblica” oppure a considerare pubblico e privato come equivalenti “dai alla fine si va in convenzione”.
Non vorrei che considerassimo eroi coloro che – e ringraziamo, premetto – hanno fatto una lauta donazione per la salute di tutti potendoselo permettere (dovremmo ringraziare ancora di più chi ha donato 50 euro con una pensione minima) e ci dimenticassimo che l’Italia è il paese dell’evasione fiscale, dei furbetti che “tanto se mi ammalo poi mi curano, ma dichiaro un terzo di quel che guadagno”.
Non vorrei che ci dimenticassimo di chi, dalla cassa di un supermercato alla varechina per le pulizie, si sta facendo comunque il mazzo mentre noi lieti panifichiamo e ci sentiamo molto responsabili, magari mentre rimproveriamo dal balcone la persona sbagliata, che non si sta facendo un giretto, ma sta andando ad aprire il negozio che ci consegnerà la frutta nel pomeriggio, permettendo che vengano retribuiti il minimo e con contratti spesso inappropriati.
Non vorrei che tornassimo a dire che gli insegnanti non fanno un cazzo, i dipendenti pubblici sono lavativi, i medici tutti ricchi col macchinone.
Ve la ricordate la retorica del terremoto in Emilia? I vigili del fuoco eroi, la protezione civile eroi, i medici degli ospedali eroi. Poi finita la bagarre abbiamo comunque permesso che i tagli venissero fatti. Non ne faccio un discorso politico, ne faccio un discorso culturale. Non è tutta colpa della politica, ma di chi ha espresso, chiaramente, con opinioni e comportamenti, linee d’indirizzo verso le quali la politica si è orientata. Perché la politica è rappresentanza di un paese e non viceversa. Per quanto ci piaccia pensare di essere molto diversi da chi ci rappresenta, chi ci rappresenta lo fa in base a una nostra scelta e a linee d’indirizzo considerate vincenti perché maggioritarie. Noi siamo la radice culturale di queste linee. Perché tasse non ci piace, eroi molto di più.
Beato quel popolo che non ha bisogno di eroi, scriveva Bertolt Brecht. Beato davvero.
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