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Beata ignoranza
Si parla tanto, troppo, del fatto che, in Italia, la cultura “di sinistra” sia stata talmente invadente da escludere qualsiasi altra cultura. Ci chiediamo: quale?
Lo vediamo ripetutamente: non appena un intellettualoide orientato a destra o un politico di quell’area sente l’esigenza di esprimersi, di cultura non ce n’è proprio traccia.
Questo mito della cultura “di destra” che, adesso che c’è un governo di destra, e di estrema destra, finalmente potrà esprimersi è una baggianata, come baggiani sono tutti coloro che sostengono questa posizione. Addirittura, per sentirsi blasonato e quindi autorizzato a parlare di cultura di destra, il neoministro della cultura (!) Sangiuliano è arrivato a partorire l’idea che perfino Dante, il padre della lingua italiana, fosse il fondatore della cultura di destra. Un delirio.
A destra, ben lungi da esserci il nulla, non c’è una cultura come la intendiamo comunemente, fatta di letteratura, arte, musica. C’è una sottocultura, fatta di una degradazione di cianfrusaglie prese in soffitta o raccattate al bar sport e staccate da un contesto, riassemblate per darsi un tono e credere che quella sia una cultura colla C maiuscola. Di questa sottocultura fanno parte i riti psicofascisti con miniadunate in costume, braccia alzate, cori di faccette nere et similia. Carnevalate molto shabby e niente chic.
Ovviamente l’unico punto di riferimento per le persone di destra, in Italia, è quando la destra ha preso il potere colla dittatura fascista, per mano di Benito Mussolini, e tutti sanno come andò a finire, sebbene personaggi come il presidente del Senato continuino a sostenere che non è stato così e a minimizzare gli eventi storici ormai assodati. Le sue affermazioni e le polemiche scaturite dalla sua visione dell’attentato di via Rasella hanno mostrato quanto poco colui sappia di Storia. A denti stretti ha dovuto celebrare il 25 aprile istituzionalmente, povero caro.
L’esaltazione della classicità come legante per una nazione formata da pochi anni indusse, quello sì, a esplorare l’antica cultura classica greca e latina seppure per fertilizzare l’idea imperiale del duce e per cercare di motivare gli italiani a sentirsi uniti come nazione. Romanticismo esasperato e degenerato.
D’Annunzio, pur discutibile personaggio, fu un esteta appassionato e intriso di cultura classica e fece di tutto per indagare il patrimonio culturale italiano del passato, con particolare attenzione alla musica, prima e durante il fascismo. E, forse, in quel periodo che finì infaustamente, di cultura nel paese ne girava, e parecchia. Gli artisti, gli scrittori, gli intellettuali che restavano nel paese, avevano una profonda cultura di base ed esprimevano qualcosa, va detto. Nella maggior parte dei casi quel qualcosa era manipolato da un potere assoluto e invadente, certo, che censurava il dissenso e impediva la libertà di stampa, deformava l’ottica e mostrava il lato grottesco della realtà ma preso come se fosse l’unico modo di vederla e interpretarla. La deformazione del mondo diviso in razze, per esempio, che era comunque figlio di un’antropologia di vecchio stampo, ottocentesca, non presente solamente in Italia ma in tutto il mondo. Le questioni razziali negli altri paesi, nel corso della seconda metà del Novecento, le abbiamo viste. Anche nella cosiddetta culla della democrazia, gli Stati Uniti d’America, tuttora, bella roba.
Ma restiamo in Italia e vediamo perché qui la cosiddetta cultura della destra non esiste.
Qualsiasi esponente politico di questa destra italiana è un ignorante diplomato. Eccettuato Vittorio Sgarbi, che invece di cultura ne ha tanta e ne è cosciente, a parte l’antipatia che può suscitare il personaggio mediatico, il resto dei politici è semplicemente imbarazzante. Già l’uscita del ministro della cultura Sangiuliano su Dante la dice lunga. I ministri della pubblica distruzione, peggio mi sento. La ministra del turismo abbiamo visto di cosa è capace di dire e di fare, ogni giorno che Dio mette in Terra: come un’illusionista tira fuori conigli ignoranti dal suo inesauribile cilindro di minchiate. I vari capitani e altri sodali che si esprimono su geografie, gastronomie, usanze di altri paesi che non conoscono – e anche del proprio – ma che minaccerebbero la cultura “italiana”, che manco loro sanno cosa sia, ormai imperversano da troppo tempo, spesso autocelebrandosi in selfie che poi gli si ritorcono contro. Gli intellettualoidi che si esprimono su giornali di destra che parlano di famiglie, di divinità, di patrie riescono a essere ancora più ridicoli dei politici a cui si rapportano.
Tutti costoro, se li interrogaste su ciò che era la cultura nel periodo del fascismo, la loro soffitta di riferimento, non saprebbero dirvi chi era Ottorino Respighi, per esempio. Che non è solo l’autore dei Pini di Roma, ma di una serie di composizioni strumentali e vocali di prim’ordine, poco considerato oggi da noi perché fu fascista (e chi non lo era se voleva restare a lavorare in Italia nel Ventennio?). I cosiddetti esperti di cultura della destra lo ignorano. Così come ignorano che Pirandello, nonostante avesse aderito al fascismo pure lui, e pure dopo il delitto Matteotti, è uno degli autori più rappresentati e apprezzati per la sua devastata visione della realtà borghese, perfino dalla cultura “di sinistra”. Se faceste una serie di domande al signor Meloni, alla Saint in What, a Sangiuliano e agli altri ministri su chi fossero, solo per fare degli esempi, Portaluppi, Respighi, Casella, Pizzetti, Sarfatti, Casorati, Carrà, Morandi – questi ultimi due non i noti cantanti – e molti altri, li cogliereste in fallo. Ignorano tutto, non c’è campo in cui non riescano a manifestare la propria inconsapevolezza. Cercano di scimmiottare uno dei punti fermi identitari del fascismo antico, l’italianità, con restrizioni linguistiche e resistenza ai termini stranieri e ridicole affermazioni sull’italica gastronomia, come starnazzano Rampelli e la Lollo del Parlamento, ma poi tutti leccano il culo agli USA perché nel frattempo il mondo è inevitabilmente cambiato rispetto a un secolo fa e l’Italia si trova in un’imprescindibile alleanza militare e commerciale sottoscritta alla fine della seconda guerra mondiale. Vorrebbero far credere ai loro elettori, ignoranti come loro, che l’identità dell’Italia passa attraverso quelle piccinerie, quando non sono nemmeno coscienti del proprio patrimonio artistico e culturale che non è di destra né di sinistra, è quello e basta, la nostra eredità.
Impadronendosi dei mezzi di comunicazione come radio, tv, cinema, teatro, e pretendendo di strapparla a conduttori televisivi, autori, giornalisti “di sinistra”, volendo emulare le arcaiche censure mussoliniane, i nuovi politici di destra dimostrano la loro inadeguatezza perché non hanno niente con cui riempire il vuoto che inevitabilmente la Cultura, cacciata dalla porta principale, lascerà. E hanno paura e schifo della satira, mentre un potere sicuro di sé non ne ha. Cacciano Fazio dalla RAI? E quello se ne va da un’altra parte, dove sarà forse anche più visibile di prima e continuerà a fare lo stesso lavoro senza restrizioni né scandali. Damilano dà fastidio? Troverà certamente un altro spazio in un’altra rete non pubblica dove continuerà a spargere informazione e saggezza. Chi li sostituirà difficilmente sarà all’altezza. Ci vorrebbe una striscia quotidiana di Mafalda fatta dalla Guzzanti al posto dei cinque minuti del ronzio della Vespa.
Ecco, questa è la “cultura di destra”. La mediocrità. Ed ecco perché non può esserci niente in alternativa, perché gli esponenti di quella “cultura” sono totalmente all’asciutto di qualsiasi base culturale che possa degnamente chiamarsi così. E i risultati si sono visti immediatamente: la parodia della cultura.
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