Società

Qual è il filo che lega antisemitismo e islamofobia?

5 Luglio 2017

Un convegno dal titolo “difficile”, tanto da suscitare contestatzioni al solo “accostamento” tra l’antisemitismo e l’islamofobia. Eppure, un convegno prezioso, perché ha messo allo stesso tavolo intellettuali di diverse provenienze e formazioni e anche, soprattutto, rappresentanti delle comunità ebraiche ed islamiche.

«Il futuro delle metropoli si gioca sul multiculturalismo, mi ha detto il sindaco Giuseppe Sala quando abbiamo organizzato questo convegno». Comincia con queste parole Daniele Nahum, salutando i presenti alla tavola rotonda “Antisemitismo e islamofobia: due facce della stessa medaglia?”, ringraziando Sala e ricordando quanto Milano lavori per essere accogliente e modello di integrazione.

L’iniziativa “ebraico islamica”, organizzata dallo stesso Nahum e dal Coreis e con il patrocinio del Comune di Milano, si è tenuta oggi pomeriggio, martedì 4 luglio, nella Sala Alessi di Palazzo Marino.

È stata l’occasione per confrontarsi sulle buone pratiche messe in atto in città, in risposta alle drammatiche spinte che minacciano la coesione sociale e la coesistenza pacifica. Buone pratiche che rendono Milano un’avanguardia per la riflessione sul pluralismo, sulla necessità di una reazione conoscitiva, capace di andare in profondità senza lasciare che possano prevalere il pregiudizio, la rabbia, la violenza, la paura del diverso o l’ignoranza.

L’incontro è stato aperto dai saluti istituzionali del Presidente della Comunità ebraica di Milano Milo Hasbani e, appunto, da quelli del Sindaco di Milano Giuseppe Sala.

«Milano non vuole essere solo la città che guida lo sviluppo economico, – afferma Sala – ma anche essere avamposto politico, sociale e culturale del paese. Milano deve avere la volontà di svilupparsi in modo contemporaneo lavorando sul modo in cui gestire il multiculturalismo e tutelando i diritti di tutti. I numeri spiegano tanto, 70mila abitanti fanno riferimento all’Islam. La cosa più sciocca è non prenderne atto. I sindaci delle grandi città metropolitane si interrogano su come garantire i sevizi ai cittadini, ma anche sul futuro della vita sociale della città».

Qualcuno si è lamentato del titolo dato a questo convegno, alcuni hanno criticato la scelta del termine islamofobia, altri hanno contestato l’accostamento tra antisemitismo e islamofobia, due fenomeni molto diversi tra loro, ma – continua il Sindaco – «questo convegno è importante che abbia un punto di domanda nel titolo. La risposta non potrà che nascere nel rispetto dei confini, tra cui il primo è quello della costituzione che si basa su precisi dovere e diritti di cittadinanza. Viviamo in un momento in cui c’è bisogno di dare il buon esempio e dare risposte a domande che i cittadini sentono su temi quali integrazione e sicurezza».

La collaborazione tra Islam ed Ebraismo? Può nascere solo dalla condanna all’antisemitismo e della violenza, dice Noemi Di Segni, Presidente Unione delle comunità ebraiche italiane, specificando, nella sua relazione, che i fenomeni dell’antisemitismo e della paura dell’Islam sono assolutamente distinti, e che quindi no, non sono due facce della stessa medaglia. Ai musulmani la Presidente dice: «Dovete dire “anche noi condanniamo”. La nostra voce si leverà sempre in difesa di ogni forma di violenza per la collaborazione».

Esigenza di collaborazione che emerge anche dalle parole dell’Imam Yahya Pallavicini, Presidente Coreis Italiana, che sottolinea la storica amicizia che lo lega all’Unione della comunità ebraica. «Antisemitismo e Islamofobia non sono due facce della stessa medaglia e vanno evitate confusioni – afferma Pallavicini, trovandosi d’accordo con Noemi Di Segni -. Ci troviamo spesso di fronte a delle false fobie, alla paura della religione, ma bisognerebbe conoscere la realtà nella sua complessità e ricchezza. E bisogna denunciare le vere violenze. Un cattivo credente è colui che vuole imporre il proprio pensiero contro un altro. La mistificazione dell’identità religiosa è questa, c’è un abuso della religione”.

Alla tavola rotonda hanno preso parte, tra gli altri, Halima Benhanni (Consolato del Regno del Marocco), Giancarlo Bosetti (Reset), Olivier Brochet (Consolato della Repubblica di Francia), Gabriele Nissim (Giardino Foresta dei Giusti), Abd al-Sabur Turrini (Direttore Coreis Italiana) e Gadi Luzzato Voghera (CDEC).

«L’antisemitismo è un cancro della nostra società da secoli – afferma Olivier Brochet, Consolato della Repubblica di Francia -. Dobbiamo combattere forme di razzismo nei confronti di tutti. Per noi francesi è una questione di eguaglianza, libertà e fraternità. La violenza nei confronti di un ebreo o di un musulmano deve essere combattuta nello stesso modo». Brochet precisa inoltre che l’uso del termine islamofobia è oggetto di un grande dibattito anche in Francia, non solo di natura semantica: «Nessuno la sottovaluta come realtà, al pari dell’antisionismo. La società francese è però attaccata al principio che tutte le religioni possono essere sottomesse alla critica».

Ma allora qual è il filo che lega antisemitismo e islamofobia? E soprattutto esiste? Perché per molti oggi sembra proprio non esistere. Una risposta, stimolato da Jacopo Tondelli, moderatore dell’iniziativa, prova a darla Gadi Luzzato Voghera (CDEC).«Noi monitoriamo quotidianamente lo sviluppo dei linguaggi antisemiti oggi, per tener vivo l’allarme sul fenomeno. È pericoloso nella sua declinazione contemporanea perché si è creato un linguaggio politico efficace capace di raccogliere simpatie. Questo linguaggio è costruito sulla costruzione del nemico ebreo del tutto distaccato dalla realtà ed è un modello che ha dato vita a diversi modelli di utilizzo di questo linguaggio. Una delle ipotesi è che forse anche nella nostra società costruiamo dell’Islam un modello negativo distaccato dalla realtà. Dobbiamo interrogarci sulle fobie e purtroppo il nostro studio ci porta a segnalare la presenza allarmante di linguaggi antisemiti diffusi nel mondo islamico, anche di quello che viene in Europa. Se ne esce solo con uno sforzo enorme dal punto di vista pedagogico, combattendo la cultura del nemico da combattere».

Sforzo quest’utlimo che, secondo Gabriele Nissim (Giardino Foresta dei Giusti), oggi è fatto da pochi: «Viviamo in un contesto internazionale in cui il dialogo in medioriente è impossibile. Il dialogo tra islam ed ebraismo è fatto da pochi. E in Europa oggi, però, è più difficile essere musulmani che ebrei. Si deve dare la possibilità alla gente di pregare, per esempio. Dobbiamo rispondere a questo problema. Il tema delle moschee è un sintomo della paura dell’Islam. Non costruire moschee è islamofobia».

Giancarlo Bosetti, di Reset, tiene a precisare che è necessario ammettere che molti di coloro che stimolano questo dialogo spesso vanno incontro a diverse critiche e difficoltà. «Il dialogo tra le culture non è un’iniziativa buonista ma difficile. Non possiamo fare un parallelo tra antisemitismo e islamofobia, perchè ciascuno dei fenomeni ha una storia con radici profonde e millenarie. Dell’antisemitismo se ne scusò anche la Chiesa. Sono fenomeni che vanno affrontati singolarmente. Esiste un odio radicato odio per i musulmani oggi, anche sulla scena politica. A Sesto San Giovanni il risultato elettorale è stato determinato dalla posizione dei candidati sulla moschea. Al tempo stesso, sappiamo anche quanto antisemitismo sia presente in Europa. Ad esempio in Francia. E non parliamo dell’Egitto. L’Italia non è esente, ma dobbiamo essere coltivatori di dialogo, continuare su questa strada». All’incontro hanno portato la loro testimoniananza anche Sara Monaci, impegnata con Saffron Project nel lavoro di monitoraggio e prevenzione della radicalizzazione dei giovani musulmani, Antonio Albanese, esperto di intelligence applicata all’antiterrorismo, Vittorio Robiati Bendaoud del tribunale Rabbinico del Centro Nord Italia e Benaissa Bounegab, della Moschea di Via Padova. Il suo invito a lavorare insieme, con pazienza, per combattere la tentazione del terrorismo sul nascere è stata accolta da tutti e fatta propria. Le buone pratiche – si è concluso il convegno – iniziano da domani. Che poi è già oggi.

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