Costume
A volte ritornano…
Quando la signora Moratti era ancora la signorina Letizia Brichetto Arnaboldi correvano anni di rivoluzione e contestazione anche nella città di Milano. Ma lei, che proveniva da una famiglia antica e rispettabile, frequentava il famoso “Collegio delle fanciulle” dove studiava musica e danzava: si preparava al debutto in società. Ai tempi la sua cotonatura eguagliava in altezza quella di Margie Simpson, ma siccome i suoi relevè erano problematici per via dei lampadari, dovette addivenire a più miti consigli e cotonarsi per vie orizzontali. In quella nube d’inconoscenza che è la sua capigliatura, tuttavia, s’impiglia ancora di tutto ed è difficile distinguere i pensieri dalle forcine per capelli; ad ogni modo se qualche pensiero, un tempo, doveva pur esserci oramai c’è sopra tanta di quella lacca da averlo reso indistinguibile dal resto. Legioni di parrucchieri si sono esercitati su questa nave scuola, al punto che quando scese a Roma per fare la ministra di tutti i professori (aprendo la strada alla sua allieva Mariastella Gelmini) si verificò nel milanese un epocale sommovimento noto agli addetti del mestiere come “la rivolta dei coiffeures”: le importazioni di lacca vennero bloccate al Brennero, il prezzo dei phon e dei caschetti per la permanente precipitò con danni incalcolabili per l’economia padana. La rivolta ebbe anche esiti imprevedibili: fu allora infatti che Renato Schifani, messo alle strette, rinunciò per sempre al riporto, diventato ormai ingestibile; alla riapertura delle frontiere se ne pentì amaramente ma ormai era troppo tardi, il danno era fatto e lui s’era già ridotto all’ombra di se stesso…quello che sostanzialmente conosciamo oggi.
La cotonatura comunque costituisce solo il valore aggiunto di questo monumento alla Madunina e se è vero che non si potrebbe associare la polenta con una faccia diversa da quella di Calderoli è altresì ugualmente vero che se parliamo di risotto è a lei che dobbiamo rivolgerci.
Se la milanesità esiste lei ne rappresenta il Pirellone, i suoi discorsi sembrano galleggiare sui navigli, si perdono in uno sciabordio concettuale la cui dizione ha qualcosa di smussato; non finiscono mai a punta, bensì ad ombrello come la Torre Velasca: si espandono verso il vuoto e si pisciano addosso le parole in un gocciolante delirio di pluviali.
Partecipa ai talk show con lo stesso a plomb con cui, da signorina, piluccava une petite madeleine sorseggiando una barbajada, dalle zie nubili o in casa dei Trivulzio Belgiojoso; velata di grigio e, insieme, rilassata come un nebbioso pomeriggio domenicale al parco Sempione.
Non è però annoiata, lo sembra solamente perché quando si diverte non lo da a vedere e non s’accalora mai. Sorprende solo che, nell’impastato torpore in cui sembra appisolata, non si metta a lievitare trasformandosi in panettone.
Tuttavia in questo fermentare sonnacchioso si producono talvolta brontolii comprensibili che sembrano racchiudere qualcosa che ha a che fare con il pensiero. E’ solo un miraggio auditivo. Si tratta di semplici borborigmi.
Una volta, quand’era sindaca, venne fuori dall’amalgama questa broscia da maestra ad uso dei giovani: “Il cinquanta per cento della musica trasmessa per radio dovrebbe essere italiana”. Ogni volta che ascoltiamo una canzone di Joni Mitchell dovremmo pagare pegno con una di Toto Cutugno (anzi due, visto che durano meno…) e Tom Waits non andrebbe mai ascoltato senza fare penitenza con Iva Zanicchi e Gigi D’Alessio….eppure Letizia Brichetto Arnaboldi in Moratti lanciò quella bomba atomica con una faccia da reduce di un pomeriggio in visita di cortesia, un’aria pensosa, mestamente festiva, la stessa che devono avere le signore dei cummenda quando vanno a ballare e che si adatta contegnosamente ad ogni bisboccia: qualche pallina e un po’ di minilucciole alla cena di Natale, la fascia tricolore all’inaugurazione del centro parrocchiale.
Non si conosce esattamente la misura delle sue scarpe sebbene a giudicare dalla deambulazione non si escludono problemi di stabilità per carico di punta. Instabilità al piano terreno che, naturalmente, non resta senza conseguenze ai piani alti, c’è infatti nel suo eloquio qualche cosa di irrisolto, le sue parole rimangono nel vago, come se avesse qualcosa da concludere che però non conclude mai.
Può darsi, sosterranno i maligni, che in realtà quelle parole che dovrebbero concludere i concetti non esistano affatto. E, ahimè, che non esistano neanche i concetti. Va bene…e se anche fosse?
Che bisogno ha dei concetti una discendente degli Ajroldi di Robbiate?
E chi, meglio di lei, potrebbe occuparsi del welfare di una città come Milano?
Solo Sant’Ambrogio.
Devi fare login per commentare
Accedi