Palermo
Palermo multiculturale, un falso storico
Dire che Palermo sia stata storicamente e continui a essere una città multiculturale, come purtroppo tendono ad accreditare taluni più per propaganda politica che per razionale convincimento, è quanto di più inesatto si possa affermare e solo volgare superficialità o ignoranza crassa possono chiaramente avvalorare una tale asserzione. Palermo, come peraltro tutta la Sicilia, a partire dal XVI secolo – gli arabi e la cultura islamica erano stati espulsi definitivamente con la pulizia etnica di Federico II nel XIII secolo e, proprio nel 1493, con la cacciata degli ebrei era infatti scomparsa l’ultima cultura “altra” – è stata una città tutt’altro che multiculturale.
Essa si è, piuttosto, presentata come una realtà urbana chiusa, non solo fisicamente, all’interno delle sue mura e gelosa delle sue tradizioni. Un ruolo particolare ha svolto, in questa direzione la Chiesa che, per lungo tempo, si è posta come una sorta di gendarme a tutela dell’identità cattolica. Una città, dunque, che ha sempre mostrato diffidenza, se non addirittura ostilità, nei confronti delle culture diverse, in particolare di quelle mediterranee. Una diffidenza dovuta soprattutto allo scontro, mai venuto meno, con i vari e aggressivi potentati islamici delle coste del Maghreb e accentuata da quella guerra di corsa, vera e secolare piaga, che ha profondamente inciso, negativamente, sulle opportunità di sviluppo commerciale della città e di tutta la stessa Sicilia.
Non è un caso, e siamo alla fine del settecento quando molti equilibri si erano modificati e la potenza navale inglese si era già da tempo consolidata come egemone nel Mediterraneo, che il viceré di Sicilia Domenico Caracciolo – lo sfortunato illuminista che si era proposto di riformare le antiche istituzioni siciliane per agganciare l’isola al treno della modernità – fra i suoi provvedimenti più significativi avesse annoverato anche quello della sicurezza dei traffici marittimi. Era stato proprio Caracciolo a disporre che flottiglie armate scortassero le imbarcazioni commerciali. Non è un caso, ancora, che non si riuscisse a trovare un solo palermitano, e forse un solo siciliano, in grado di parlare l’arabo così da potere dialogare con l’ambasciatore marocchino che, nel dicembre 1792, era naufragato sulle coste siciliane. Tanto è vero che, in quell’occasione, i palermitani caddero nella trappola di un impostore come l’abate Vella, il protagonista della sicula impostura, descritta ne “Il consiglio d’Egitto”, il bel romanzo di Leonardo Sciascia.
A Palermo non solo si può parlare di inesistenza di società multiculturali ma, perfino, di mancanza di interesse verso altre culture e, se qualche eccezione c’è pur stata, essa ha riguardato soprattutto qualche spezzone delle classi alte, che ha manifestato questa curiosità come richiamo dell’esotico, capace in ogni caso di destare meraviglia piuttosto che coinvolgimento culturale. Anche in questi anni, nei quali le correnti immigratorie hanno in qualche modo modificato il panorama cittadino, parlare di una Palermo città multiculturale o, ancor più correttamente, interculturale – la multiculturalità eretta a sistema ha registrato vistosi fallimenti nei luoghi in cui tali assetti socio-culturali si sono realizzati – costituisce nella migliore delle ipotesi una petizione di principio. Palermo resta, ancora città monoculturale, che non riesce ma, anche, non vuole, trovare un equilibrio idoneo ad integrare in un corretto progetto interculturale le nuove risorse umane che, nel bene o nel male, ne hanno arricchito la sua componente demografica.
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