Diritti
2014, l’Europa non è un continente per ebrei
Il 2014 non è il 1938, e nessun leader europeo è lontanamente paragonabile ad Hitler o Mussolini. Eppure, qua e là, riemergono i segni di una vecchia malattia di cui l’Europa non è mai guarita del tutto. E un senso profondo di disagio attraversa le comunità ebraiche. Silenziosamente, per paura, molti ebrei ricominciano a fare le valigie: destinazione Israele. I dati ufficiali del ministero israeliano dell’Aliyah (l’immigrazione) indicano che dall’inizio di quest’anno al 21 settembre sono emigrati in Israele 18.356 persone. Il primo paese di provenienza è la Francia, con 4.925 “olim” (immigrati”). Seguono l’Ucraina in guerra civile (3.666) e la Russia di Putin con 2.871 fuoriusciti. A colpire è la fuga dalla Francia. Difficile che si tratti, come qualcuno suggerisce, solo di motivazioni economiche. «In un unico anno, e per la prima volta nella storia, una comunità ebraica in Occidente sta mandando un punto percentuale tondo dei suoi ebrei a costruirsi una vita in Israele – ha detto a giugno, al quotidiano israeliano Jerusalem Post, il presidente dell’Agenzia ebraica Natan Sharansky – Credo che si arriverà a 6mila olim, e non è finita».
«Negli ultimi tre, quattro mesi sono stato chiamato “fottuto ebreo” due volte – rivela a Gli Stati Generali Auguste, un giovane ebreo francese che preferisce mantenere riservato il suo cognome. «Non voglio attirare le attenzioni di qualche pazzo fanatico», dice. Auguste non è l’unico ebreo francese a pensarla così. Il New York Times ha raccontato la storia di Tiffany Taieb Nizard, donna ebrea che con la famiglia ha deciso di lasciare l’Europa. «Amo la Francia, è il mio paese, ma ora sono disgustata. In Israele c’è un esercito che ci proteggerà. Qui non vedo più un futuro per i miei figli». Nella patria della Révolution sembra che l’antisemitismo sia duro a morire. Basti pensare che gli ebrei francesi sono circa mezzo milione – meno del 10% di tutta la popolazione – ma sono vittima del 40% dei crimini d’odio, secondo stime della comunità.
La cronaca nera francese degli ultimi anni abbonda di casi. Nel 2006, a Parigi, un giovane ebreo di nome Ilan Halimi veniva rapito e torturato a morte dalla cosiddetta gang des barbares. Nel 2008 un altro ragazzo francese di origine ebraica veniva rapito e seviziato. Nel 2012 il giovane franco-algerino Mohammed Merah uccideva un insegnante e tre bambini all’entrata di una scuola ebraica a Tolosa. Il 24 maggio di quest’anno, infine, il massacro al Museo ebraico del Belgio di Bruxelles, per mano di un altro giovane francese di origini algerine. E nessun ebreo francese può nemmeno dimenticare quanto è successo a luglio, in concomitanza con l’invasione israeliana di Gaza: attacchi a sinagoghe e negozi kosher dell’hinterland parigino, cori antisemiti, insulti e intimidazioni. «Potrebbe essere un sintomo di una più generale crescita dell’intolleranza contro l’altro, in un contesto depresso dal punto di vista morale ed economico. Inoltre il dibattito politico ha strumentalizzato il tema della cosiddetta identità nazionale. Le Ong e le personalità anti-razziste sono divise su come rispondere a quella che potrebbe apparire come una buona domanda o una richiesta popolare», spiega a Gli Stati Generali Martine Cohen, ricercatrice del Cnrs. A parere della studiosa «un’eccessiva espressione di pubblica ansietà da parte dei leader delle comunità ebraiche, per esempio il paragone di alcuni recenti avvenimenti a una “Notte dei cristalli”, non rappresenta una buona strategia per raffreddare gli animi. Sarebbe invece preferibile creare legami di solidarietà con altri gruppi discriminati, come successe negli anni Ottanta».
Raphael Gross, storico britannico e direttore del Jüdisches Museum di Francoforte sul Meno, avverte che «non bisogna dimenticare che la Francia non è solo la terra della Rivoluzione francese, ma anche quella dell’affaire Dreyfus. L’antisemitismo ha giocato un ruolo centrale nell’azione dell’élite politica e culturale negli ultimi duecento anni». Che la Francia del dopoguerra non abbia fatto tutti i conti con il passato prossimo è un fatto. Dal regime filo-nazista di Vichy al rastrellamento del Velodromo d’Inverno – circa 13mila ebrei arrestati a Parigi e poi deportarti ad Auschwitz –, per decenni il tema è stato un tabù. Solo negli ultimi vent’anni la Francia ha iniziato ad ammettere le sue colpe. Nel 1995 il presidente Jacques Chirac osò finalmente parlare di «ore nere che macchieranno per sempre la nostra storia». Cinque anni fa il Consiglio di Stato france ha finalmente riconosciuto le responsabilità statali nella deportazione di decine di migliaia di cittadini ebrei. Peggio ancora, ci sono politici francesi che di Vichy si ostinano a parlar bene: è il caso di Jean-Marie Le Pen, presidente onorario del partito di estrema destra Front National. Sua figlia Marine, attuale leader del partito, è stata però molto brava a de-demonizzare il partito. Secondo un sondaggio pubblicato a settembre, alle elezioni presidenziali del 2012, vinte dall’oggi impopolarissimo presidente socialista François Hollande, il 13,5% degli ebrei francesi ha votato per il Front National. Con buona pace del quotidiano israeliano Haaretz che ha definito la Le Pen “il falso messia per gli ebrei francesi”.
Non che l’antisemitismo sia un problema solo francese. Dalla Grecia all’Austria, dalla Svezia al Belgio, sono pochi i paesi europei che non devono fare i conti con rigurgiti anti-ebraici. Giovanni Matteo Quer è italiano, vive in Israele ed è postdoctoral fellow al Vidal Sassoon Center for the Study of Antisemitism dell’Università Ebraica di Gerusalemme. A suo parere «l’Europa è un continente ancora antisemita, senza dubbio. Quanto accaduto in estate lo dimostra: episodi di antisemitismo notevoli in Francia, Belgio, Germania, Paesi Bassi commessi da persone appartenenti all’estrema destra, all’estrema sinistra e a minoranze islamiche». Secondo Quer, tutte le forme di antisemitismo sono da condannare con eguale forza ma «con l’antisemitismo di sinistra la gente è del tutto spiazzata, perché rifiuta l’idea stessa che possa esistere un antisemitismo di sinistra». In effetti il crescendo antisemita di quest’estate dimostra come frange della sinistra radicale europea tendano a confondere la protesta contro l’esercito israeliano con gli oltraggi ai luoghi di culto e agli esercizi commerciali di concittadini di un’altra religione.
L’antisemitismo tra i musulmani d’Europa è questione doppiamente delicata. Loro stessi sono spesso vittima di forme di razzismo. Una sintesi del 2006 dell’allora European Monitoring Centre on Racism and Xenophobia (oggi European Union Agengy for Fundamental Rights, FRA), evidenziava che «indipendentemente dalla loro origine etnica e dal loro approccio alla religione, molti musulmani europei si vedono costretti ad affrontare discriminazioni sul lavoro, nell’istruzione e nelle condizioni abitative». Ma subire discriminazioni e pregiudizi non sempre è vaccino efficac. A settembre, sulla versione internazionale del New York Times, Jochen Bittner, giornalista del settimanale tedesco Die Zeit, ha “la triste verità con cui tanti in Europa non vogliono confrontarsi è che molta dell’ostilità anti-ebraica nasce tra europei con retroterra musulmano”. Hans-Georg Maassen, presidente del BfV (il controspionaggio tedesco), conferma la lettura: «Abbiamo sempre associato l’antisemitismo al nazionalsocialismo, all’estrema destra. Ora stiamo scoprendo che molti immigrati arrivati in Germania nutrono pregiudizi antisemiti». Seconda una ricerca di Günther Jikeli, studioso del Kantor Center dell’università di Tel Aviv, «molti giovani musulmani mostrano atteggiamenti antisemiti, e alcuni ricorrono alla violenza. I sondaggi rivelano da un lato che solo una minoranza di musulmani europei ha opinioni antisemite, ma dall’altro che il livello di antisemitismo è significativamente più alto tra i musulmani che tra i non-musulmani». Per Jikeli vari fattori contribuiscono all’antisemitismo tra i musulmani d’Europa: in alcuni casi conta l’identità etnica o religiosa, e una particolare interpretazione dell’Islam. Altre volte pesa l’odio verso le politiche di Israele; altre volte ancora l’antisemitismo è alimentato da stereotipi esistenti in Europa da tempi immemori.
L’antisemitismo europeo contemporaneo è un tragico paradosso, in un continente che ha fatto della memoria dell’Olocausto un pilastro della sua identità democratica. Anche se non tutti, in effetti, concordano su questo punto. Ad esempio l’italiano Francesco Matteo Cataluccio, saggista e profondo conoscitore della cultura ebraica. «Non è vero che l’Europa ha fondato la sua identità sulla riflessione sull’Olocausto. In realtà una vera riflessione in tal senso non c’è mai stata – spiega Gli Stati Generali – In Italia ogni 27 gennaio si tiene la Giornata della Memoria, che è senz’altro un’iniziativa meritevole ma è monca, perché noi italiani al pari degli altri popoli europei abbiamo posto il peso della memoria sulle spalle dei tedeschi. Anche noi però ci macchiammo di gravi colpe, e lo stesso discorso vale per la Francia, la Polonia, l’Olanda». Anche Stefano, ricercatore di origini ebraiche che vive in una città del Nordest italiano, è convinto che gli italiani abbiano dimenticato troppo in fretta la loro complicità con i tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale. E si sfoga: «Negli anni non può immaginare quanti insulti io abbia ricevuto a causa del mio cognome, chiaramente ebraico. Non solo da estremisti politici. Alcuni degli oltraggi peggiori sono venuti da altri colleghi ricercatori: gente istruita, con un PhD. Per questo motivo preferisco non rendere noto il mio nome: sarei visto, nella migliore delle ipotesi, come il solito ebreo vittimista e ipersensibile. Pensi, mi sono dovuto cancellare dall’elenco telefonico, stufo delle chiamate “indesiderate”». Quanto ad antisemitismo, l’Italia sembra essere in una condizione peggiore di nazioni del Nord Europa come il Regno Unito, i Paesi Bassi, la Danimarca o la Svezia, ma fa meglio di altri paesi mediterranei come la Grecia, la Spagna o la stessa Francia. Il 21% degli italiani ritiene che gli ebrei abbiano troppa influenza nel paese, il 40% che gli ebrei sfruttino a loro vantaggio l’Olocausto, il 27% che gli ebrei si interessino solo agli altri ebrei. «Non credo che gli italiani siano più antisemiti dei francesi o degli svizzeri, forse il contrario. – dice Stefano – Però noi ebrei italiani siamo 30mila, ed è facile essere tolleranti quando i numeri sono così ridotti. I pregiudizi comunque esistono, parlo per amara esperienza personale».
Nel novembre del 2013 l’Agenzia dell’Unione Europea per i diritti fondamentali (FRA) ha pubblicato i risultati di un’indagine online che ha coinvolto quasi 6mila ebrei del Vecchio Continente. In una sintesi del rapporto si legge: «Gli ebrei della UE continuano a subire insulti, episodi di discriminazione, molestie e persino atti di violenza fisica che, nonostante gli sforzi concertati da parte sia dell’UE che dei suoi Stati membri, non sembrano svanire nel passato. Sebbene la legge garantisca molti diritti importanti, le possibilità del popolo ebraico di godere di tali diritti nella realtà continuano ad essere ostacolate da pregiudizi diffusi e di lunga data». Il 66% degli intervistati ritiene che l’antisemitismo sia un problema europeo, e il 76% pensa che sia peggiorato negli ultimi cinque anni nel suo paese di residenza. Nel corso dei dodici mesi precedenti all’indagine, il 26% degli intervistati ha vissuto uno o più episodi di insulti verbali o molestie in quanto ebreo, e il 4% ha addirittura subito violenza fisica o comunque è stato minacciato in tal senso. Il 27% degli intervistati non frequenta certi luoghi del proprio quartiere perché potrebbero essere non sempre sicuri per un ebreo. Ancora, il 57% ha sentito o visto qualcuno negare l’Olocausto o svilirne l’importanza. In base a un recente sondaggio di due organizzazioni ebraiche europee, il 40% degli ebrei europei nasconderebbe la sua identità. Secondo uno studio dell’americana Anti-Defamation League (ADL), il 24% degli europei occidentali ha pregiudizi antisemiti. Risultati peggiori, nel mondo, si registrano soltanto in Medio Oriente e Nord Africa (74%) e in Europa orientale (34%). Nel dettaglio, il 69% dei greci, il 45% dei polacchi, il 41% degli ungheresi, il 37% dei francesi, il 27% dei tedeschi e dei belgi, e il 20% degli italiani nutre dei pregiudizi. «L’ADL non è il miglior “profeta” in questo ambito», contesta però Cohen – Gli Stati Uniti hanno sempre avuto una così buona opinione di se stessi che per loro la Francia potrebbe essere l’opposto della loro “buona situazione”». Gli ebrei, da parte loro, dovrebbero contribuire a dimostrare che l’Europa è ancora un posto per loro, altrimenti si tratterà di una profezia che si autorealizza». Semplice a dirsi. Nell’agosto del 2013 l’attivista svedese Annika Hernroth-Rothstein, vittima insieme al figlio di cinque anni di uno sgradevole episodio di antisemitismo. «Noi [ebrei] siamo ancora qui in Svezia, ma ci sentiamo soli e dimenticati», ha scrittto alla rivista ebraica Mosaic. «Mio figlio non indossa più la sua kippah in pubblico. Ora fa ciò che gli uomini della mia sinagoga hanno fatto per anni: la porta in tasca, e la indossa soltanto quando siamo al sicuro dietro i nostri cancelli. Protetti e nascosti dal mondo». Ma se per vivere tranquilli bisogna nascondersi e negare la proprià identità, forse, ancora una volta nella sua storia, l’Europa non è un continente per ebrei.
Devi fare login per commentare
Accedi