Memoria a colori
Il Giorno della Memoria è uno ma per diversi giorni sia precedenti che successivi nei media e sui giornali si sono succedute riflessioni e testimonianze. Quest’anno è emersa più dei precedenti il ricordo della ribellione di molti ebrei all’oppressione nazista. Non solo vittime ma esseri umani che hanno tentato di non subire passivamente alle deportazioni ma unendosi alla resistenza, armandosi all’interno dei ghetti, non solo quello di Varsavia e facendo esplodere alcuni crematori all’interno dei campi hanno reagito alla furia scatenata da Hitler.
E’ come se ogni anno l’allontanarsi nel tempo dei fatti, come un’onda che si ritira permette l’affiorare di nuovi episodi, l’affiorare di nuovi punti di vista possibili. In molti più documenti d’epoca è apparso il colore. Filmati originariamente in bianco e nero, sono stati colorati, ed ecco che le riprese fino ad oggi terrificanti sono più vicine. Il bianco e nero ci teneva più separati, dava la distanza che il tempo non permetteva, dando la sensazione di un “definitivamente concluso”, altro da noi, dal mondo così come lo vediamo quotidianamente, a colori.
Immagini di parate militari, bandiere rosse e nere, simboli, immagini di convogli giunti ai campi dai quali masse di persone smarrite, impaurite si riversavano all’inferno, immagini di aguzzini che trasudano soddisfazione e fierezza per l’andamento secondo i piani di azioni che consentirono, una dopo l’altra, il compiersi della soluzione finale, non sono più così lontane, non allontanabili.
Il colore risveglia la percezione e muove qualcosa di intimo, di attuale, di presente a chi guarda.
L’uomo scheletrico nello schermo, seppur pallido, ha il viso roseo come un uomo che abbiamo appena incontrato per strada o con cui condividiamo la casa. Un gruppo di bambini che si alzano la manica per mostrare i numeri tatuati sul braccio da dietro la rete di un campo, che non è verde, non è un campo da calcio ma di atrocità, sofferenza, morte.
Il colori fanno parte dello spettro della luce e vengono visti in base alla loro frequenza, questo ci dice la scienza. La frequenza vibra in noi e per questo vediamo uno o un altro. Il colore dei filmanti fa vibrare inconsciamente qualcosa che ha a che fare con la realtà e la verità, seppure con la mediazione dello schermo.
Forse banale ricordare la potenza del cappotto rosso della bambina del film Schindelr’s List. Un uso artistico e poetico che permette di seguire l’esperienza di una protagonista tra la moltitudine. Di poterla riconoscere dal momento della deportazione e seguire finché non la ritroviamo tra la catasta di corpi ammassati privi di vita
I documenti storici colorati non hanno nulla di poetico, ma la normalizzazione della forma ne rende ancora più spietato il contenuto, si fa tangibile quello che nessuno vorrebbe conoscere, ma che tutti dobbiamo. Le immagini di allora diventano tanto vicine tanto da diventare sovrapponibili che le immagini dei profughi che in questi giorni stanno affrontando condizioni disumane a pochi kilometri dal confine italiano ma quelle per uno strano effetto percettivo inconscio sembrano non fare effetto. Le immagini reali di oggi a colori solo troppo vicine, tanto da creare rifiuto, perché ci fanno sentire in colpa, mentre rispetto alle immagini a colori del passato, la colpa è riconducibile ad altri.
Le scene di oggi, pur a colori non ci toccano o se lo fanno destano al massimo imponenza quando non indifferenza, parola che la Senatrice Liliana Segre ha scelto di far scolpire al Binario21, da dove è partita per Auschwitz con migliaia di altri che non sono mai tornati, oggi memoriale della Shoah. I colori possono aiutare la memoria ma non bastano per destare dall’indifferenza, ma è necessario trovare un modo perché come ha ricordato ieri la Senatrice, in occasione di un evento promosso dalla comunità di Sant’Egidio: “L’indifferenza porta alla violenza, perché l’indifferenza è già violenza”.
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