Società

Coronavirus: facciamo giornalismo costruttivo

22 Febbraio 2020

Il Coronavirus è un fatto. Non si discute e non ci permette di tornare indietro. Ma non è di polemiche e attacchi politici che abbiamo bisogno in questo momento. Non di titoloni che facciano presa sull’istinto di negatività che ci appartiene come esseri umani. E non abbiamo nemmeno bisogno di articoli ridondanti e ripetitivi che ripropongono le stesse notizie minuto dopo minuto. È ciò che fa credere al nostro cervello che si tratti di nuovi contagi e nuove storie.

Prestiamo attenzione a ciò che sosteniamo e divulghiamo e chiediamoci se porta valore o terrore. Non abbiamo alcun bisogno, in questo momento, di amplificare lo stato di paura che arriva in dotazione con il Coronavirus. Scegliamo le fonti presso cui informarci con cura. Rintracciamo professionisti che portano valore e non perdiamoli di vista.

Cerchiamo le risposte alle domande: Cosa fare ora? Come farlo? Chi ha fatto meglio prima di noi? Questi sono i tre quesiti che dovrebbero trovare riscontro in ogni articolo o post social che viene messo in circolazione in queste ore. Insieme ai fatti aggiornati e non presunti. Abbiamo bisogno di un giornalismo che sia costruttivo, volto alle soluzioni e rassicurante là dove può esserlo. Andiamo a osservare come hanno gestito la situazione gli altri Paesi Europei, offriamo risposte da parte di chi può donarle, garantiamo ai lettori informazioni concrete e di qualità.

Prendiamoci cura dei contenuti che scegliamo di condividere con chi ci legge. Facciamo appello alla nostra responsabilità. Possiamo diventare utili in questo particolare momento. Ed è ciò che occorre più di polemiche, accuse, notizie distruttive. Quella che stiamo vivendo è una situazione che ci chiama tutti ad agire per uscirne al meglio.

Cambiamo i toni dei nostri articoli. Le misure di protezione per ridurre il contagio e la quarantena possono essere raccontati per far percepire il pericolo o per invitare a mantenere la calma. Scegliamo in favore della seconda opzione.
Arricchiamo i fatti raccontati. Ci sono i contagi, dobbiamo saperlo, si sono verificati decessi e le persone colpite dal virus sono in aumento. Ma raccontiamo anche che dal Coronavirus si guarisce. Il virus è infettivo ma non letale. L’esisto finale nell’assoluta maggioranza delle persone è, infatti, benigno. I dati diffusi dall’OMS sono molto chiari sebbene nascosti qua e là tra le notizie meno rassicuranti: in oltre l’80% dei casi si hanno sintomi simili all’influenza; nel 14% dei casi si può manifestare una polmonite virale e in circa il 5% dei pazienti si verificano condizioni molto gravi come insufficienza respiratoria. Il tasso di mortalità è del 2%. Non che questi dati non debbano preoccupare, sia chiaro, ma usiamoli per attivare l’attenzione non per generare impotenza.
Evitiamo falsi allarmi. Se una persona si reca in pronto soccorso con la febbre alta e la tosse non è un possibile nuovo contagio da raccontare sui media per poi smentirlo. È un caso da tenere in osservazione e raccontare solo se si rivela un paziente affetto da Coronavirus. Non è il momento di riempire pagine di giornale con ciò che destabilizza senza motivi validi.

Questa è una di quelle situazioni in cui siamo chiamati a fare bene il nostro lavoro di professionisti dell’informazione e di cittadini. Divulghiamo senza stancarci le misure di prevenzione da adottare: abitudini igieniche raccomandate anche per l’influenza; niente incontri con chi torna dall’Oriente per almeno 14 giorni; chiamate al 112 o 118 se si sta male senza piombare al pronto soccorso che deve restare un ambiente pulito; telefonate al 1500 per risolvere eventuali dubbi.

Usiamo i social media in modo costruttivo e facciamo passare l’idea che non siamo impotenti di fronte a quanto ci sta accadendo.

Non è obbligatorio, per noi giornalisti, trasformarci in allarmisti. Non è questo che significa «stare sul pezzo». Atteniamoci al valore della professione e alla nostra deontologia. Questa è una buona occasione per fare appello al giornalismo costruttivo che invita a offrire risposte e soluzioni più che nuovi elementi per avere paura.

Non perdiamola, ancora una volta, l’opportunità di fare bene.

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