Società
10 straordinarie protagoniste del 2018
Il 2018 è stato un anno importantissimo per le donne di tutto il mondo. Il New York Times ha addirittura definito il 2018 “the Year of the Woman”, ed è davvero difficile non concordare con il prestigioso quotidiano.
È stato l’anno di grandi scienziate come la canadese Donna Strickland (nella foto di copertina) vincitrice del Nobel per la fisica, e come la statunitense Frances Arnold, vincitrice del Nobel per la chimica. È stato l’anno in cui le donne saudite hanno finalmente ottenuto il diritto di guidare. È stato un anno di vittoria per le femministe irlandesi, che hanno ottenuto l’abrogazione di un emendamento della Costituzione che rendeva illegale l’aborto. Ed è stato l’anno del primo incontro internazionale tra donne monache buddiste e cristiane, in quel di Kaohsiung, a Taiwan.
Ma il 2018 è stato anche l’anno in cui la giornalista investigativa Viktoria Marinova è stata stuprata e uccisa in un parco della Bulgaria del nord. L’anno in cui è stata assassinata, a Rio de Janeiro, la femminista Marielle Franco, consigliera comunale, e dura critica delle violenze della polizia nelle favelas, e con lei anche l’autista Anderson Pedro Gomes. Nel 2018 in Sud Sudan in solo dieci giorni sono state stuprate, dai miliziani, almeno 125 donne (comprese bambine di pochi anni, ultrasessantenni e donne incinte), e in Italia si sono superati i cento femminicidi.
Insomma, molte luci e altrettante ombre in un anno che ha visto le donne lavorare e lottare nei più svariati settori: dalla politica allo sport, dalla scienza al giornalismo, dalla difesa dei diritti umani alle arti, dall’imprenditoria alla tutela dell’ambiente. Ecco, quindi, 10 donne che di quest’anno sono state protagoniste straordinarie, ciascuna nel suo ambito. In realtà di donne l’articolo ne racconta undici: c’è anche Mariasilvia Spolato, matematica e attivista per i diritti delle persone omosessuali, morta a Bolzano proprio quest’anno.
1. Donna Theo Strickland
La prima fu Marie Curie, nel 1903. Poi fu Maria Goeppert-Mayer, nel 1963. Poi, più niente, per oltre mezzo secolo. Sino al 2018, quando una canadese secchiona originaria dell’Ontario ha vinto il terzo Nobel per la fisica mai assegnato a una donna. La scienziata si chiama Donna Theo Strickland, e ha vinto il prestigioso premio (insieme ai colleghi Gérard Mourou e Arthur Ashkin) per aver sviluppato la Chirped pulse amplification, una tecnica per generare impulsi ottici ad alta intensità e ultra-corti. Strickland è una pioniera nel campo dei laser pulsati, una delle aree più interessanti nel settore, in rapida espansione, dei laser (basti pensare che quattro anni fa aveva vinto il Nobel un altro genio dei laser, Shuji Nakamura). La vittoria di Strickland ha riacceso il dibattito sulla disparità di trattamento (e visibilità) delle donne nella scienza. Quando ha saputo di aver vinto il Nobel, Strickland ha commentato: «dobbiamo festeggiare le fisiche perché esistiamo, siamo là fuori».
2. Nadia Murad
Nessun iracheno aveva mai vinto il Nobel per la Pace. Nadia Murad, una ragazza di venticinque anni dalla figura esile ma dallo sguardo coraggioso, lo ha vinto, «per i suoi sforzi per porre fine all’uso della violenza sessuale come arma in guerra e nei conflitti armati». E mai Nobel per la Pace fu più meritato. Murad appartiene alla comunità di fede non islamica degli yazidi, che dal 2014 al 2015 è stata perseguitata con tremenda ferocia dal Daesh (il cd “Stato Islamico”). A ventun anni Murad fu rapita dal suo villaggio e portata a Mosul da combattenti del Daesh. Lì venne schiavizzata, torturata e stuprata: un’ordalia che avrebbe spezzato molte donne (e uomini), ma non lei. Fuggita dai suoi aguzzini, accolta come profuga in Germania, oggi Murad è una delle più ascoltate testimoni del genocidio degli yazidi, e si batte per ricostruire la regione del Sinjar, nell’Iraq settentrionale, patria del suo popolo. Per questo motivo ha deciso di usare il denaro del Nobel per contribuire alla ricostruzione di un ospedale nel Sinjar.
3. Jasmine Abdulcadir
Nata e cresciuta a Firenze, questa dottoressa italiana di origini somale è la speranza di centinaia di donne vittime di mutilazione genitale femminile (MGF), che si rivolgono a lei per complicatissimi interventi di ricostruzione dei genitali, e per recuperare la salute sessuale e riproduttiva. Ostetrica e ginecologa all’Ospedale universitario di Ginevra, Abdulcadir è “figlia d’arte”: suo padre (somalo e musulmano) è stato in Italia un pioniere nella cura della MGF, mentre sua madre (italiana e cristiana) è sessuologa. Cresciuta in un ambiente multiculturale (a casa sua si festeggiava sia il Natale che l’Aid al Fitr, cioè la fine del Ramadan), Abdulcadir ha studiato in Italia e in Francia, e oggi è anche docente universitaria: nell’ospedale ginevrino ha addirittura introdotto un corso sulla storia, l’anatomia e la biologia della clitoride per gli studenti di medicina del secondo anno. Nel novembre 2018 il presidente Sergio Mattarella le ha conferito l’onorificenza di Cavaliere dell’ordine al merito della Repubblica italiana.
4. Silvia Marchesan
Ricercatrice friuliana con un PhD in chimica conseguito presso l’Università di Edimburgo, gestisce il laboratorio Superstructures Lab dell’Università di Trieste, e quest’anno è stata consacrata dalla prestigiosa rivista scientifica Nature come una degli undici più promettenti giovani scienziati del mondo. Grazie a un approccio innovativo Marchesan ha creato un gel a base d’acqua con proprietà antimicrobiche e biocompatibili, utile per riparare i tessuti del corpo e rilasciare farmaci. Marchesan è uno dei casi (purtroppo ancora rari) di “cervello di ritorno”: dopo gli anni all’estero la scienziata ha infatti deciso di tornare in Italia per far crescere il figlio vicino alla famiglia. In una lunga intervista la ricercatrice ha lanciato un appello per la parità di genere, nei laboratori e fuori: “L’Italia ha i cervelli, ha le potenzialità: lanci un messaggio a tutti su come si possono abbattere queste differenze [di genere] e sarà un bene per chiunque”.
5. Danah Boyd
In un mondo che galoppa a tutta velocità verso l’intelligenza artificiale, Danah Boyd riflette (e scrive) sulle conseguenze dei big data e del machine learning in termini di equità e accountability. Digitale e società, adolescenti e social network, big data e sfide culturali. Ecco alcuni dei temi sui quali lavora quella che il Financial Times ha definito “la sacerdotessa dell’amicizia su Internet”, una delle massime esperte mondiali di interazioni fra tecnologia e società. Ricercatrice principale di Microsoft Research, fondatrice e presidente del Data & Society Research Institute, boyd (scritto così, in lettere minuscole) si presenta come un’accademica, attivista e madre di due figli. Adolescente esplosiva, con interessi che spaziavano dalla batteria alla politica, sognava di fare l’astronauta, ma la frattura di due vertebre cervicali la obbligò a sognare nuovi traguardi. Il suo saggio “It’s Complicated: The Social Lives of Networked Teens”, dedicato alle difficoltà degli adolescenti nel mondo dei social media, ha ricevuto il plauso di accademici, genitori e opinionisti, ed è stato tradotto in sette lingue. Quest’anno boyd è stata inserita nella graduatoria Forbes delle 50 donne più influenti del mondo in ambito tecnologico.
6. Asia Naurīn Bibi
Non è facile essere cristiani in Pakistan. Secondo molte ONG, la legge sulla blasfemia viene spesso usata per discriminare le minoranze religiose: specie quando si tratta di donne. Lo dimostra la storia di Asia Naurīn Bibi, pakistana cattolica che nel 2010 è stata condannata per blasfemia; solo il 31 ottobre scorso la Corte Suprema del Pakistan l’ha assolta, ponendo fine a una via crucis che aveva portato Bibi allo stremo delle forze. Tutto aveva avuto inizio dopo che la signora, lavoratrice agricola madre di cinque figli, aveva litigato con alcune contadine di fede musulmana; accusata di aver offeso il Profeta, era stata condannata all’impiccagione. Il mondo si era mobilitato per lei, ma ciò non l’aveva salvata da maltrattamenti e umiliazioni di ogni genere. Alla fine la giustizia ha prevalso. E lei ha già perdonato i suoi accusatori.
7. Abigail Allwood
Con tutta probabilità Marte sarà per il XXI secolo ciò che la Luna è stata per il XIX e il XX secolo. Ma condicio sine qua non per pianificare una missione su Marte è una conoscenza perfetta delle caratteristiche del pianeta. Da qui il ruolo cruciale di persone come l’australiana Abigail Allwood: 45 anni, geologa e astrobiologa, guiderà il team della NASA incaricato della realizzazione di una sofisticata tecnologia a raggi X per l’analisi chimica delle rocce marziane; la tecnologia, che sarà installata sul rover della missione Mars 2020, si pone come obiettivo la ricerca delle cosiddette biosignatures, cioè tracce di antichi microbi… in estrema sintesi, vita marziana. Allwood è la prima donna a guidare un team della NASA, e lei è ben consapevole del ruolo di apripista (forse avrà anche visto il film Il diritto di contare, sulla fisica e matematica Katherine Johnson e il suo contributo al programma spaziale USA).
8. Anna Burns
Il conflitto nordirlandese è per il Regno Unito, e per tutta Europa, una ferita che non ha ancora ben cicatrizzato. Lo dimostra, nei negoziati per la Brexit, la centralità dell’Irish border question, con le sue possibili ricadute sulla stabilità dell’Irlanda del Nord. E proprio raccontando uno degli aspetti più sottaciuti del Conflitto (le violenze subite dalle donne della regione per mano delle forze paramilitari), la romanziera Anna Burns, di Belfast, ha vinto nel 2018 il più prestigioso premio della letteratura in lingua inglese: il Booker Prize, in passato assegnato a scrittori come Arundhati Roy e J. M. Coetzee. È la prima volta che una penna nordirlandese vince il Booker, e il successo di Burns è tanto più significativo considerando che ha scritto il romanzo, “Milkman”, affrontando difficoltà finanziarie e lancinanti dolori alla schiena (frutto di una lesione). Qualcuno ha paragonato il romanzo d’esordio di Burns, “No bones”, a “Gente di Dublino” di Joyce; di sicuro la vicenda della romanziera è uno splendido esempio di resilienza artistica.
9. Katharina Schulze
In Germania è già una stella. 33 anni, originaria del Baden-Württemberg, Katharina Schulze è il volto femminile, grintoso ma alla mano, dei Verdi bavaresi. Che alle ultime elezioni statali nel Land più importante di Germania hanno ottenuto un successo clamoroso, conquistando il 17,5 % dei voti: prima di loro solo la CSU, con il 37,2% dei voti; molto distanti i populisti di estrema destra della AfD, con il 10,2%. E motore della vittoria dei Verdi in Baviera è stata proprio lei, Schulze. Che nel suo collegio elettorale, München-Milbertshofen, ha ottenuto più di un voto su tre. I suoi cavalli di battaglia? Temi che per certa vulgata dovrebbero risultare perdenti contro gli argomenti della destra populista: l’importanza della UE, la lotta al cambiamento climatico, la parità di genere, l’integrazione dei migranti nella società. Non a caso il successo della giovane politica è stato accolto con speranza dai progressisti di tutto il Vecchio Continente.
10. Le donne berbere del movimento Hirak
Se in Nordafrica i diritti umani sono violati soprattutto nella Libia post-Gheddafi e nell’Egitto del presidente Al Sisi, la situazione non è rosea nemmeno in Marocco, che pure è l’astro nascente dell’economia africana. Anzi, il regno maghrebino sembra aver scelto la via cinese allo sviluppo: crescita economica e restrizioni dei diritti umani. Ne sanno qualcosa le donne del Rif, regione montagnosa dove la quasi totalità della popolazione è berbera. Motore propulsore del movimento Hirak, le donne del Rif chiedono giustizia, dignità e libertà per una terra dimenticata, e storicamente sfruttata. La leader del movimento, Nawal Benaissa, è stata arrestata all’inizio del 2018, e la sua pagina Facebook da oltre 80mila follower è stata chiusa. Ma le donne del Rif non si arrendono. Protestano per un futuro migliore, per sé stesse e per i loro figli.
IN MEMORIAM
Mariasilvia Spolato
Era lesbica, in un’epoca che amava considerarsi aperta e progressista, ma in cui essere lesbica, o bisessuale, o transgenere, veniva visto con sospetto e disgusto. Fu una pioniera, in un’Italia provinciale e bigotta, a destra come al centro e a sinistra. Si chiamava Mariasilvia Spolato: la prima italiana a dichiararsi lesbica. Donna di grande intelligenza – si era laureata con 110 e lode in matematica – e di grande impegno civile e sociale, fu infaticabile attivista per i diritti delle persone omosessuali. Nel 1972 prese parte a una manifestazione femminista esibendo un cartello con scritto “Liberazione omosessuale”. Fu scattata una foto, che finì sulla copertina di Panorama, scoppiò lo scandalo: una docente omosessuale era inaccettabile. Spolato perse l’impiego all’università, il mondo degli affetti le si frantumò, il conto in banca si esaurì, iniziò la vita di strada. Ma anche da clochard non si arrese: continuò a leggere, a studiare, a viaggiare per l’Italia e l’Europa, a trascorrere giornate in biblioteca, dove talvolta si addormentava. È morta a Bolzano il 31 ottobre 2018. Da donna libera e indomita.
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