Sindacati
Sogei. Smart working “selvaggio”, i lavoratori scioperano
I dipendenti del gioiello informatico dello Stato in 16 mesi di lavoro da casa hanno fruttato all’Azienda 9 milioni di euro, lavorando di più ma costando di meno, ma non riescono a concludere un accordo per regolamentare lo smart working e scioperano. Mentre le retribuzioni del management crescono. Ma si può risparmiare sul lavoro in un’azienda oggi più strategica che mai?
Il gioiello informatico della Pubblica Amministrazione in tempo di pandemia risparmia sul personale. Come? Ad esempio beneficiando di una montagna di lavoro straordinario non pagato. È quanto denuncia la RSU di Sogei, società tanto sconosciuta quanto strategica, gioiello informatico dello Stato, controllata al 100% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, i cui servizi spaziano dalla fiscalità ai bilanci della Ragioneria Generale dello Stato fino alle corse ippiche, ma di recente si è occupata della app Immuni, del Green Pass e del PNRR. La “mission” di Sogei, infatti, è contribuire alla modernizzazione del paese, partecipando attivamente al processo di trasformazione digitale della Pubblica Amministrazione. 2.300 dipendenti, quasi tutti a Roma, perlopiù personale con qualifiche elevate, quadri e settimi livelli metalmeccanici, Sogei è un classico esempio di quei sempre più numerosi posti di lavoro dove il tradizionale contratto delle tute blu si applica a ingegneri, sistemisti, gente abituata a maneggiare il mouse più che il tornio e a programmare più che a saldare.
L’Azienda risparmia, i lavoratori ci perdono
Venerdì i dipendenti Sogei hanno scioperato – le adesioni secondo la RSU sono intorno all’ 80% – per protestare contro uno dei tanti paradossi di questa azienda, dove da marzo del 2020 il 95% dei dipendenti lavora in smart working, ma non si riesce a fare un accordo sindacale per regolamentare questa pratica e l’azienda dal prossimo gennaio potrebbe decidere di farlo in modo unilaterale con un regolamento aziendale. “Il mondo va in una direzione, l’azienda che fa da traino all’innovazione tecnologica del paese va nella direzione opposta” hanno scritto i rappresentanti sindacali dei lavoratori in un dossier diffuso nei giorni scorsi a sostegno delle proprie ragioni.
Nel documento il sindacato denuncia che in 16 mesi di smart working l’Azienda ha risparmiato circa 3 milioni di euro sul costo del lavoro (trasporti, pasti, utenze, trasferte e straordinari) e beneficiato di maggiore produzione per 6,6 milioni di euro grazie alla riduzione delle assenze retribuite (malattia, congedi, 104, maternità ecc., non ultimi 1.263 giorni equivalenti di formazione in orario di lavoro non effettuata, una riduzione del 18%). È come se nel corso del 2020 alle dipendenze di Sogei avessero lavorato 81 persone in più. Del resto si tratta di un fenomeno caratteristico dello smart working, perché stando a casa lavori anche se hai un po’ di febbre o se hai i bambini nell’altra stanza a letto con l’influenza. Il sindacato, ci spiegano, chiede a Sogei un accordo per dare delle regole a questa situazione, ma, denuncia, “Dopo 16 mesi che lavoriamo da remoto ci hanno comunicato che ‘i tempi non sono maturi’ per un accordo sullo smart working”.
“Come RSU è da prima della pandemia che chiediamo di regolamentare questa materia”, ci raccontano, “e la risposta della direzione due anni fa è stata che i nostri sistemi non erano attrezzati per reggere un carico simile per tutti i dipendenti. Invece quando è arrivato il lockdown ci siamo ritrovati da un giorno all’altro col 95% dei dipendenti in smart working e solo un centinaio inchiodati in ufficio perché l’Azienda li riteneva troppo importanti perché possano lavorare fuori sede. Eppure i sistemi hanno retto eccome”. Perciò a luglio dell’anno scorso il sindacato torna alla carica, ma la risposta è: “Non è il momento, ce ne occuperemo dopo la pandemia” e a settembre-ottobre Sogei comincia a richiamare i dipendenti in sede. Dura poco, però, perché ci sono i primi contagi della “seconda ondata” e così di nuovo tutti a casa, continuando a lavorare senza regole perché manca un accordo che metta dei paletti.
“Un accordo che invece” ci fanno notare i rappresentanti dei lavoratori “è stato fatto al MEF alla Consip, ma anche presso tutti i fornitori informatici della PA, aziende come ad esempio IBM e Almaviva, per intenderci”. Il sindacato chiede la possibilità di rendere strutturale il lavoro da casa per tutti i dipendenti per un numero di giornate che va da 4 a 20 al mese (successivamente ha abbassato la richiesta da 4 a 12 giorni), i buoni pasto, il diritto alla disconnessione e un ristoro (più un una tantum per i 16 mesi pregressi ) perché mentre l’Azienza con lo smart working riduce i costi, i lavoratori invece subiscono un aggravio (utenze, riscaldamento, hardware). “L’Azienda ci ha risposto che è disponibile a concedere un massimo di 8-10 giorni di smart working al mese e non per tutti, ha detto no al buono pasto (riservandosi di parlarne dopo la pandemia) e sui ristori ha bocciato l’una tantum e ventilato la possibilità di riconoscere una manciata di euro al mese, non in busta paga ma in forma di welfare. Così come ci ha risposto picche sulla disconnessione”.
Il tema della disconnessione è uno dei più delicati, perché, secondo la RSU, Sogei formalmente ha diffuso una direttiva che in teoria vieta lo straordinario, ma poi di fatto molti lavoratori lavorano dalle otto di mattina alle otto di sera, perché “oggi la PA lavora tutta da casa, i dirigenti che prima della pandemia alla fine del loro orario di lavoro uscivano dai propri uffici oggi ti chiamano anche la sera dopo cena o di domenica per chiederti di risolvere un problema e non tutti i colleghi hanno il coraggio di non rispondere. Un meccanismo di timbratura virtuale delle ore lavorate manca e Sogei fa finta di non sapere ma sa e ne trae un beneficio” (rispetto alla spesa media per il lavoro straordinario nel triennio 2017-2019 l’Azienda, secondo le tabelle contenute nel dossier sindacale, in 16 mesi ha risparmiato quasi un milione di euro).
D’altra parte secondo i dati forniti dal sindacato la pandemia non ha fatto che accentuare una tendenza anteriore: se il costo del lavoro pro capite dei dipendenti nel triennio 2017-2019 è sceso dell’1%, quello dei dirigenti è aumentato di quasi il 7%; dal 2016 al 2020 i compensi dei direttori sono cresciuti fino a raggiungere punte del 28% e non fa eccezione l’ad di Sogei, Andrea Quacivi, che l’anno scorso, diventando amministratore anche della controllata Geoweb, ha visto crescere i propri emolumenti da 205.000 a 240.000 euro, il tetto massimo per un dirigente pubblico. Sempre secondo il documento della RSU nel biennio 2019-2020 Sogei ha pagato oltre mezzo milione di euro per le macchine dei 49 dirigenti, una media di circa 11.000 euro a testa, mentre in un triennio le spese legali affidate all’esterno sono ammontate a 550.000 euro, nonostante Sogei disponga di un proprio ufficio legale. Anche dal punto di vista occupazionale con l’aumento dei carichi di lavoro cresce il numero delle strutture organizzative (+28%), ma non altrettanto il numero dei dipendenti (+5%) e con l’ultima ondata di prepensionamenti, circa 300, e i nuovi criteri di assunzione la preoccupazione che serpeggia nel sindacato è che si stia assumendo lavoro meno qualificato, nonostante la mole e la qualità del lavoro da svolgere richiedano il contrario.
“Non ha senso lavorare così”
È una situazione che, secondo il sindacato, ha fatto lievitare la pressione sui dipendenti, con una forte crescita dello stress da lavoro correlato, che i rilevamenti aziendali non rilevano perché “nella misurazione sono stati utilizzati parametri tratti da uno studio dell’INPS che potrebbero andare bene in una fabbrica, ma non in un posto di lavoro con le nostre caratteristiche”, oltre al fatto che lo studio tiene conto dei fatti accaduti nel triennio 2017-2019, lasciando “casualmente” fuori proprio il 2020 e 2021. “Non ha senso lavorare così”, è lo sconsolato giudizio che ci viene dalla RSU, “non solo per i lavoratori ma per la stessa azienda”.
La cosa strana è che di solito a premere per riportare in sede i dipendenti sono le aziende dove si concentrano lavoratori meno qualificati, ad esempio i call center, mentre al crescere delle competenze si riduce proporzionalmente la necessità di uno stretto controllo sulla prestazione lavorativa. “Qui invece la tendenza al controllo continua a prevalere sull’idea di lavorare per obiettivi”. D’altro canto i lavoratori spingono per il lavoro da casa e nel contesto romano, dove andare a lavorare in ufficio per molti significa affrontare un’odissea quotidiana di 2-3 ore sui mezzi, è comprensibile, per non parlare dei lavoratori che si devono spostare con mezzi pubblici o privati avendo difficoltà fisiche o handicap. Anche se ciò impone al sindacato anche di rivedere alcune vecchie abitudini e convinzioni, perché creare una coscienza collettiva e la capacità di mobilitarsi quando è necessario in un posto di lavoro senza il contatto fisico non è semplice. “Ma ormai anche il sindacato si sta evolvendo”, ci raccontano, “Qui abbiamo una storia sindacale trentennale. Abbiamo sempre cercato di migliorare le condizioni dei lavoratori e oggi il contatto umano ci manca, però cerchiamo di adattarci, facciamo assemblee virtuali, raccogliamo gruppi di colleghi sulla base dei problemi comuni che ci segnalano e facciamo assemblee omogenee e del resto ci dobbiamo abituare perché il lavoro non sarà più come prima”.
E così si è arrivati allo sciopero e, se la situazione non si sblocca, potrebbero arrivarne degli altri perché “i lavoratori ci hanno dato un mandato in assemblea ed è di continuare fino a che non si ottengono dei risultati. Nel frattempo pensiamo che lo sciopero di venerdì e la risonanza che ha avuto qualche effetto lo avranno. Al MEF, ad esempio, qualcuno si chiederà che cosa sta succedendo un’azienda interamente controllata dal Ministero”.
Prima che qualcuno risponda mettendo mano alla mai sopita retorica del pubblico inefficiente per colpa dei dipendenti “garantiti” hanno fatto bene i rappresentanti dei lavoratori a a snocciolare un po’ di dati per spiegare ai cittadini che usano quotidianamente i servizi di Sogei, anche se magari non l’hanno mai sentita nominare, che anche qui c’è chi in questa pandemia ha combattuto contro l’emergenza sanitaria senza risparmiarsi e chi invece ha risparmiato su quel lavoro ma non sul proprio. Il problema è: ha senso risparmiare sul lavoro in un’azienda strategica, in particolare in un frangente delicato come quello che stiamo attraversando, e con quali risultati più generali in termini sociali? Una di quelle domande che bisognerebbe porsi prima che quei risultati vengano a galla, perché dopo, di solito, è troppo tardi.
Articolo tratto dalla newsletter di PuntoCritico.info del 20 luglio.
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