UE

Ursula! Le parole sono importanti!!

Quando la guerra diventa sinonimo di pace, la politica ha già fallito.

11 Marzo 2025

“Chi parla male, pensa male, e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!” gridava Nanni Moretti in Palombella Rossa. Perché le parole non sono mai neutre. Non descrivono soltanto la realtà: la creano, la piegano, la giustificano. Ed è con le parole che si riscrivono i confini del pensabile, spostando in silenzio il limite di ciò che è accettabile.

È quello che accade quando la Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, al Consiglio Europeo dichiara: “L’Ue deve riarmarsi, finite le illusioni. Momento della pace attraverso la forza”. Un’espressione che capovolge il senso delle cose, scambiando la logica della guerra per un orizzonte di pace.

Eppure, la pace è un’altra cosa. Non è una tregua armata, né un equilibrio di minacce. “La pace non è solo assenza di guerra, ma anche ritessere e ricostruire”, diceva il Cardinale Ravasi. La pace è relazione, riconoscimento dell’altro, capacità di aprire varchi nel conflitto invece di cristallizzarlo. Non è un atto di potenza, ma un esercizio continuo di ascolto e compromesso.

Quando si inquina il linguaggio, quando la guerra diventa un sinonimo della pace, si legittima l’irreversibile. Perché ciò che si può dire si può fare. E se la parola smette di essere il luogo dell’incontro e della mediazione, resta solo il dominio della forza. Non a caso, da tempo la politica ha smesso di pensarsi come luogo di parola. Ora è narrazione, gestione dell’immagine, performance. La parola non crea più mondi, non apre più possibilità: è usata per chiudere, per ridurre la complessità a slogan.

Ma la realtà non è uno slogan. E neppure la pace. La frase di von der Leyen non è solo retorica bellica: è un passaggio di epoca. Perché pace attraverso la forza è un altro modo per dire guerra necessaria. E se la guerra è necessaria, la politica ha già fallito.

Quello che resta è l’economia di guerra. Gli investimenti miliardari nell’industria bellica. La retorica dell’emergenza permanente. Il linguaggio che trasforma le spese militari in sicurezza e la diplomazia in debolezza. E in questo rovesciamento, le parole non servono più per comunicare: servono per addestrare.

Le parole sono importanti: definiscono la nostra percezione del mondo e orientano le nostre azioni. È nostro dovere critico smascherare l’uso distorto del linguaggio perché, quando il lessico della pace viene piegato alla logica del riarmo, siamo già entrati in una guerra. Anche senza sparare un colpo.

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